Poesie d'Autore


Scritta da: Fiorella Cappelli
in Poesie (Poesie d'Autore)

La Befana 2012

Sulla scopa a cavarcioni
porta er sacco su le spalle
ha le gambe a pennòloni
e le guance rosse e gialle

Come vecchia è proprio strana
ce rigala n'emozzione
è romana 'sta befana
che nun pija la penzione!

Sò tant'anni che lei vola
cò le toppe sur vestito
ma st'Italia nun mijora
e nun po' trovà marito

è pè questo che ha adottato
tanti bravi regazzini
lei je porta er cioccolato,
li dorcetti nei carzini

poi da quànno che ha saputo
che ce sò le innovazioni
s'è aggiornata in un minuto
così cià l'ordinazzioni...

ma è da un friccico de tempo
che a volà se trova male
beh, lassù c'è poco campo...
nun je pija er cellulare!
Composta domenica 1 gennaio 2012
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    Scritta da: Paolo Olivari
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Un S. Natale con gli occhi di un bambino

    Un S. Natale con gli occhi di un bambino...

    Se bastasse cantare in coro una bella canzone per far piovere Amore
    si potrebbe cantare un milione di volte, trasformando magicamente
    ogni notte in pioggia di stelle cadenti, preziose come i desideri del mondo!

    Se il mondo fosse un angolo di cielo noi voleremmo in alto per conquistarlo
    con quella fantasia tipica dei poeti e quella purezza d'animo dei bambini
    mai imitata, nelle scelte importanti, da tutti i politici e i governanti...!

    Il mondo osservato dai bimbi è colorato e gioioso, facile da raggiungere
    con le loro manine tese verso l'incontro con altre mani, grandi o piccine,
    cercando di donare un nome a un volto sorridente giorno dopo giorno.

    Ed è così che nasce in essi l'Amore, quell'Amore che trova i popoli adulti
    nascondersi spesso come i cacciatori di frodo nella boscaglia, sol freddi
    nelle loro strategie di dominio ben diverse da illuminanti condivisioni!

    Il S. Natale trova un bimbo come Voi, come noi in un tempo lontano,
    sorridente e pronto a tender la mano a chi vuole avvicinarsi piano piano:
    è colmo il suo cuore d'Amore e vorrebbe farlo sbocciare come un fiore!

    Osserva, il suo sguardo, il nostro mondo, e vorrebbe trasformarlo spesso,
    ovvero donando lavoro a chi non ce l'ha, fortuna a chi l'ha smarrita,
    forza a chi l'ha perduta, aiuto e conforto a chi soffre, bontà a chi non l'ha!

    Nella "notte dei desideri" vedo stelle che cadono ricche di luce e speranza
    in quel futuro ben diverso da quest'oggi con le crisi, con i popoli in guerra,
    con gli uomini che si dimenticano di esser stati bambini e di avere Amato
    come solo i bimbi, semplicemente, san fare spalancando la porta del cuore
    interpretando ogni giorno, con Amore, la loro piccola storia del S. Natale! AUGURI.
    Composta venerdì 16 dicembre 2011
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      Scritta da: Anna De Santis
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Alla fine

      Sembra una luce da seguire
      è solo l'illusione di guardare avanti e continuare
      ma ogni tunnel che incontri ti fa paura
      non vedi l'ora di trovare l'uscita ma la fine non arriva mai
      ogni volta ti volti indietro
      e non hai memoria
      finito un anno non c'è più storia
      rimane solo nebbia densa sul tuo ricordare
      ogni ferita ha fatto un solco nel tuo cuore
      ogni volta l'urlo si fa più forte
      e la rabbia ti distrugge perché niente si può cambiare
      ma non c'è verso di poter fermare il tempo e la sorte
      il tuo dolore è immenso
      alla fine stanca a tutto il succedere dai un senso
      ma purtroppo mai ti sembra giusto
      capisci che niente è per sempre, cerchi di fartene una ragione
      non c'è più luce sul tuo cammino né illusione
      in conclusione non c'è più gusto.
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        Scritta da: Giuseppe Freda
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La bovina tragedia

        Alfin giugnemmo, per ritorta via,
        ove l'oscura insegna si dispiega
        della bolgia c'ha nom "Democrazìa".

        Lo buon Maestro disse: "Spera e priega,
        qui ronfa e russa il popolo sovrano
        con sinistro fragor di motosega.

        Sta sulla porta Giò Napolitano,
        la cui loquela induce al viaggiatore
        un sì profondo sonno da divano

        che nol risveglian più dal suo torpore
        nemmanco la divina potestate,
        la somma sapïenza e'l primo amore.

        La giù tra l'ombre triste smozzicate
        s'ode la mesta nenia del vegliardo.
        Qui si parrà la tua nobilitate!".

        Io scorsi in quel budello, al primo sguardo,
        un omicciuol da'tratti famigliari,
        ch'in bolsi motti, di cui avea un migliardo,

        cianciava di dilemmi monetari.
        Vaghe stelle de l'Orsa, non credea
        ch'alle minchiate umane foste impàri!

        Farneticava di patria europea,
        di bund, di spread, di bot e altra trastulla,
        quale il villano che del vin si bea.

        E nella notte, nera come il nulla,
        risuona la barbosa tiritera
        che il volgo rintronato addorme e culla.

        Ancor m'assonna ricordar qual era
        la solfa sul Welfàre che tutto infesta
        salmodiata con blàtera straniera.

        Già m'assopiva, come al dì di festa,
        quando il mio duca, preso un grosso maglio,
        ruppemi l'alto sonno nella testa.

        E andamm'oltre, laddove s'ode il raglio
        d'orde di teleutenti assomarate
        dal bercio dei Santori e dei Travaglio;

        e i diavoli, prendendoli a pedate,
        li fan volar per l'aere senza stelle
        quali colombe dal disìo chiamate.

        Ma quei, lividi e pesti sulla pelle
        del deretano, plaudono alla suola,
        esultano al norcin che li macelle.

        E un asino dotato di parola
        ragliava scipitezze in voce trista,
        sì che pareva un preside di scuola.

        "Caduto è alfin il giogo del fascista!
        Destati Italia, gongola e sii lieta!
        Or c'è al governo un grande economista!".

        Mi mosse il suo delirio a tanta pièta
        che lo storpiai di calci né coglioni
        con la licenza del dolce poeta.

        Tale è la teologia di que'montoni,
        la cui "Democrazìa", c'han sempre in bocca,
        rinuncia volontieri all'elezioni.

        Additommi il Maestro un'alta rocca
        merlata, che maligna nel colore
        muta s'ergea sovra la mandria sciocca.

        Stavvi in cima l'eurocrate pastore,
        e reca al suo bestiame le nerbate
        ch'al cor gentil rempaira sempre amore.

        Lì ci appressammo, con larghe falcate,
        onde mirar da presso l'abituro
        da cui le genti vengon tartassate.

        V'era d'intorno un fosso fondo e scuro,
        pien di marmaglia dal color marrone,
        per ch'io: "Maestro, il fetor lor m'è duro".

        "Qui vedi gli empi autor del ribaltone",
        disse lo duca, "i sommi traditori,
        mutati in sterco assieme a Berluscone.

        Putono in questa pozza i suoi rettori,
        i ministri, i lacché, il portaborsame,
        le donne, i cavalier, l'arme, gli amori".

        Ahi serva Italia, putrido reame!
        Non donna di province, non bordello,
        ma biologica fossa di letame!

        Langueva in quel fossato di castello
        l'intiera alta genìa parlamentare,
        destra, sinistra, centro, questo e quello.

        Io chiesi: "Chi è la fetida comare
        che sì piangente come donzelletta
        tanto gentile e tanto onesta pare?"

        Rispuose'l duca a me: "Quella è Brunetta,
        che perse il posto; ma il suo piagnisteo
        è nulla a petto a quel di Gianni Letta.

        Il quale adesso ha fama di babbeo,
        d'uom che sì saggio era stimato prima,
        ché a suo danno del golpe fu correo".

        "O anime fetenti", io chiesi in rima,
        "dite qual colpa, pria che'l senno io perda,
        in forma d'escrementi vi concima?"

        Rispuosero: "Noi siamo la malerba
        che vi asservì all'atlantica baldracca.
        Uomini fummo ed or siam fatti merda".

        Ed un di lor, col lembo della giacca,
        s'asciugava dal naso i goccioloni.
        Piangeva, e le sue lagrime eran cacca.

        Io riconobbi in lui Bobo Maroni
        rettor del dicastero di giustizia
        che i popoli padani fè terroni;

        riscatto prometteva e diè tristizia
        d'Umberto la codarda celta prole,
        prostrandosi all'allogena milizia.

        Olea il suo pianto non proprio di viole,
        così volgemmo il guardo alla nimica
        rocca, sovra la qual mai approda il sole.

        Ci arrampicammo dunque, a gran fatica,
        verso l'uom che l'afflitto regno regge
        d'in su la vetta della torre antica.

        O Musa, or l'intelletto mi sorregge
        vacillante, acciocch'io qui racconti
        quel ch'agghiacciare può ciascun che legge!

        E perché i miei lettori sieno pronti
        all'orror che tremando metto in metro
        dirò che in cima io vidi Mario Monti.

        Io m'attendeva invero un antro tetro,
        di stalattiti ticchettanti gocce,
        e rospi e pipistrelli sottovetro;

        ma s'io avessi le rime aspre e chiocce
        discriver non potrei quell'uom dimesso
        qual pensionato al circolo di bocce.

        Ei sorrideva d'un sorriso fesso,
        d'un ghigno lento, come alla moviola,
        qual è in banca il brio finto del commesso

        ch'ognor rifila obbligazioni-sòla;
        e pure, i correntisti son felici
        di lasciar vino e prender Coca-Cola.

        Ei prometteva cruenti sacrifici
        quale un sovrano azteco o un lucumone,
        ed i sacrificandi eran suoi amici

        e ripeteano in coro: "Bè, ha ragione".
        S'io potessi ritrar come assonnaro
        li occhi della miserrima legione

        di moralisti, cui sognar fu caro,
        dianzi al caudillo di cui ho detto sovra,
        voi vedreste, oltr'al pupo, anche il puparo,

        l'empio poter che i popoli manovra.
        Io lo vidi, in quel Duce per procura:
        era il Zucconi ch'esce come piovra

        a rimbambir gl'intenti alla lettura,
        era l'Amaca squallida di Serra
        su cui sonnecchia e langue la cultura,

        era l'editoriale terra terra
        di Feltri, fermo all'era di Togliatti,
        era di Gad Lernèr l'urlo di guerra

        ch'i teleutenti rende mentecatti;
        era il tabloid con Raf nel paginone
        e all'interno un'analisi sui fatti

        di Libia, con annessa l'opinione
        di Maria De Filippi immacolata;
        tutto il pattume dell'informazione

        ch'allo stranier la strada ha già spianata;
        e tutt'intorno un brulicar di vermi
        che sanità di mente han divorata,

        un demente brillìo di maxischermi
        da cui scorrono cruente le parole:
        "Vexilla regis prodeunt infermi".

        E acclamano gl'infermi a mille gole
        il rege finanziario che s'insedia,
        acquetati da penne tristanzuole

        che da "sviluppo" pingono l'inedia.
        Così trascorre il loro più bel giorno.
        Poi il triste vespro chiude la Commedia.
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          Scritta da: Pietro Nigro
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Crisalide

          A che vi hanno inventato occhi nuovi
          se albero ne dite
          d'una testa sbocciata in verdi pensieri
          di foglie d'un nostalgico eden antico
          nell'eterna rigenerazione
          dell'eterno ciclo.
          A che questo modo diverso
          d'inventare la vita
          se dopo tanta cultura
          dopo tanta sapienza
          dopo tanta scienza
          dopo tanta arte
          dopo tanta politica
          dopo tanta noia
          dopo tanta vita così
          dopo tanta droga
          dopo tanto dramma
          dopo tanta potenza (anche d'amare)
          dopo tanta impotenza (anche d'amare)
          dopo tanta violenza
          dopo tanta ipocrisia
          su cui grufola il mondo
          dopo tanto pianto
          in cui s'affoga
          dopo sempre le stesse cose
          dopo tante ripetizioni
          dopo tante cose uguali
          dopo tanti sogni a spronare la vita
          dopo tante brume ad annunciare
          (sia pure) la più abietta metempsicosi
          di vermi e di fango
          una morte senz'anima
          ma con fiori con riti con lapidi
          e temporanee preghiere
          una notte-morte senza domani
          un sonno senza risveglio
          un sogno eterno
          dopo tante sciocchezze
          fin dove l'albero scorge l'erba
          che calzano le sue radici
          e penetra il cielo
          la vostra intelligenza
          se dopo tanta truffa di vita
          il nulla.
          ... ma a poco a poco
          m'opprime il cuore
          un rimpianto
          e mi turba
          il richiamo
          d'una vita che si perde.
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            Scritta da: Damiano Villi
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Il sogno di un cuore

            Siamo sdraiati fianco a fianco in riva al mare
            ti guardo e ad un tratto ti vorrei baciare
            mentre la brezza accarezza la pelle
            insieme guardiamo in alto le stelle
            il mare di notte ha un'altro colore
            e tutto acquista un altro valore
            la luna dal cielo ci sta ad osservare
            bella e bastarda col suo modo di fare
            mi avvicino piano e accarezzo il tuo viso
            e in cambio ricevo un tuo sorriso
            non sono morto ma sto in paradiso
            ma ancora non so cosa tu hai deciso
            ti sussurro all'orecchio che t'amo
            mi zittisci ti avvicini e ci baciamo
            il cielo schiarisce
            e la notte svanisce
            e il sogno di un cuore
            diventa la realtà di un nuovo amore.
            Composta giovedì 29 dicembre 2011
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              Scritta da: Pietro Nigro
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Vedo morire colori di campi

              Vedo morire colori di campi
              squarciati da fiumi di lava,
              da turiboli di pena espandersi fragranze
              di resine,
              ultimo addio di boschi agonizzanti.
              Non griderò inutilmente parole di collera
              retorici contorsionismi
              di chi aspira al plauso della folla.
              Non farò violenza ai violenti
              ad aggiungere anelli ad una stessa nefasta catena.

              Vorrei sentire urla di coscienze ridestate
              e aprire occhi ciechi
              per troppe tenebre di prigionia
              in angusti anfratti di evoluzioni mancate,
              e cantare canzoni
              composte per questa occasione,
              e avere compagni i gabbiani, e il vento
              che porta aromi di mare
              alle montagne assetate.
              E il canto dirà che l'attesa non fu vana.

              Siederemo allo splendore della vigna ritrovata
              sotto la saggezza dei vecchi ulivi
              in rassegnata attesa di anni.
              Risentiremo i grilli di notte riempire di nostalgie
              spazi di memorie
              e non sembrerà triste la notte
              come i giorni dietro le grate
              dell'attesa tradita.
              E navigheremo tra le stelle dei nostri antichi desideri
              alla ricerca di approdi che abbiano un senso.
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