Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Nessuna Ruota può torturarmi -
L'Anima - in Libertà -
Dietro quest'Ossatura mortale
Ne è saldata Una più vigorosa -
Non si può forare con la sega -
Né trafiggere con la Scimitarra -
Due Corpi - dunque vi sono -
Legane Uno - L'Altro vola -

L'Aquila del suo Nido
Non si libera più facilmente -
E guadagna il Cielo
Di quanto puoi Tu -

A meno che Tu stesso sia
Il tuo Nemico -
Prigione è la Coscienza -
Così come è Libertà.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Autunno veneziano

    L'alito freddo e umido m'assale
    di Venezia autunnale.
    Adesso che l'estate,
    sudaticcia e sciroccosa,
    d'incanto se n'è andata,
    una rigida luna settembrina
    risplende, piena di funesti presagi,
    sulla città d'acque e di pietre
    che rivela il suo volto di medusa
    contagiosa e malefica.
    Morto è il silenzio dei canali fetidi,
    sotto la luna acquosa,
    in ciascuno dei quali
    par che dorma il cadavere d'Ofelia:
    tombe sparse di fiori
    marci e d'altre immondizie vegetali,
    dove passa sciacquando
    il fantasma del gondoliere.
    O notti veneziane,
    senza canto di galli,
    senza voci di fontane,
    tetre notti lagunari
    cui nessun tenero bisbiglio anima,
    case torve, gelose,
    a picco sui canali,
    dormenti senza respiro,
    io v'ho sul cuore adesso più che mai.
    Qui non i venti impetuosi e funebri
    del settembre montanino,
    non odor di vendemmia, non lavacri
    di piogge lacrimose,
    non fragore di foglie che cadono.
    Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
    su un davanzale
    è tutto l'autunno veneziano.

    Così a Venezia le stagioni delirano.

    Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
    non son che luci smarrite,
    luci che sognano la buona terra
    odorosa e fruttifera.
    Solo il naufragio invernale conviene
    a questa città che non vive,
    che non fiorisce,
    se non quale una nave in fondo al mare.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Sera di Gavinana

      Ecco la sera e spiove
      sul toscano Appennino.

      Con lo scender che fa le nubi a valle,
      prese a lembi qua e là
      come ragne fra gli alberi intricate,
      si colorano i monti di viola.
      Dolce vagare allora
      per chi s'affanna il giorno
      ed in se stesso, incredulo, si torce.
      Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
      un vociar lieto e folto in cui si sente
      il giorno che declina
      e il riposo imminente.
      Vi si mischia il pulsare, il batter secco
      ed alto del camion sullo stradone
      bianco che varca i monti.
      E tutto quanto a sera,
      grilli, campane, fonti,
      fa concerto e preghiera,
      trema nell'aria sgombra.
      Ma come più rifulge,
      nell'ora che non ha un'altra luce,
      il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
      Sui tuoi prati che salgono a gironi,
      questo liquido verde, che rispunta
      fra gl'inganni del sole ad ogni acquata,
      al vento trascolora, e mi rapisce,
      per l'inquieto cammino,
      sì che teneramente fa star muta
      l'anima vagabonda.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Alla morte

        Morire sì,
        non essere aggrediti dalla morte.
        Morire persuasi
        che un siffatto viaggio sia il migliore.
        E in quell'ultimo istante essere allegri
        come quando si contano i minuti
        dell'orologio della stazione
        e ognuno vale un secolo.
        Poi che la morte è la sposa fedele
        che subentra all'amante traditrice,
        non vogliamo riceverla da intrusa,
        né fuggire con lei.
        Troppo volte partimmo
        senza commiato!
        Sul punto di varcare
        in un attimo il tempo,
        quando pur la memoria
        di noi s'involerà,
        lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
        concedici ancora un indugio.
        L'immane passo non sia
        precipitoso.
        Al pensier della morte repentina
        il sangue mi si gela.
        Morte non mi ghermire
        ma da lontano annunciati
        e da amica mi prendi
        come l'estrema delle mie abitudini.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Autunno

          Autunno. Già lo sentimmo venire
          nel vento d'agosto,
          nelle pioggie di settembre
          torrenziali e piangenti
          e un brivido percorse la terra
          che ora, nuda e triste,
          accoglie un sole smarrito.
          Ora passa e declina,
          in quest'autunno che incede
          con lentezza indicibile,
          il miglior tempo della nostra vita
          e lungamente ci dice addio.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Viaggio a Montevideo

            Io vidi dal ponte della nave
            I colli di Spagna
            Svanire, nel verde
            Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
            Come una melodia:
            D'ignota scena fanciulla sola
            Come una melodia
            Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
            Illanguidiva la sera celeste sul mare:
            Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
            Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
            Lontani tinti dei varii colori
            Dai più lontani silenzii
            Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
            Già cieca varcando battendo la tenebra
            Coi nostri naufraghi cuori
            Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
            Ma un giorno
            Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
            Da gli occhi torbidi e angelici
            Dai seni gravidi di vertigine. Quando
            In una baia profonda di un'isola equatoriale
            In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
            Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
            Una bianca città addormentata
            Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
            Nel soffio torbido dell'equatore: finché
            Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
            Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
            Noi lasciammo la città equatoriale
            Verso l'inquieto mare notturno.
            Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
            gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
            Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
            Una fanciulla della razza nuova,
            Occhi lucenti e le vesti al vento! Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
            La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
            E vidi come cavalle
            Vertiginose che si scioglievano le dune
            Verso la prateria senza fine
            Deserta senza le case umane
            E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
            Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
            Del continente nuovo la capitale marina.
            Limpido fresco ed elettrico era il lume
            Della sera e là le alte case parevan deserte
            Laggiù sul mar del pirata
            De la città abbandonata
            Tra il mare giallo e le dune...
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Ottobre

              Un tempo, era d'estate,
              era a quel fuoco, a quegli ardori,
              che si destava la mia fantasia.
              Inclino adesso all'autunno
              dal colore che inebria,
              amo la stanca stagione
              che ha già vendemmiato.
              Niente più mi somiglia,
              nulla più mi consola,
              di quest'aria che odora
              di mosto e di vino,
              di questo vecchio sole ottobrino
              che splende sulla vigne saccheggiate.

              Sole d'autunno inatteso,
              che splendi come in un di là,
              con tenera perdizione
              e vagabonda felicità,
              tu ci trovi fiaccati,
              vòlti al peggio e la morte nell'anima.
              Ecco perché ci piaci,
              vago sole superstite
              che non sai dirci addio,
              tornando ogni mattina
              come un nuovo miracolo,
              tanto più bello quanto più t'inoltri
              e sei lì per spirare.
              E di queste incredibili giornate
              vai componendo la tua stagione
              ch'è tutta una dolcissima agonia.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Passato

                I ricordi, queste ombre troppo lunghe
                del nostro breve corpo,
                questo strascico di morte
                che noi lasciamo vivendo
                i lugubri e durevoli ricordi,
                eccoli già apparire:
                melanconici e muti
                fantasmi agitati da un vento funebre.
                E tu non sei più che un ricordo.
                Sei trapassata nella mia memoria.
                Ora sì, posso dire che
                che m'appartieni
                e qualche cosa fra di noi è accaduto
                irrevocabilmente.
                Tutto finì, così rapito!
                Precipitoso e lieve
                il tempo ci raggiunse.
                Di fuggevoli istanti ordì una storia
                ben chiusa e triste.
                Dovevamo saperlo che l'amore
                brucia la vita e fa volare il tempo.
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