Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Una Valentina

È scritta questa rima per colei i cui occhi
lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
troveranno il suo stesso dolce nome annidato
sulla pagina, celato ad ogni lettore.
Osservate i versi attentamente! Vi è in essi
un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
che si deve portare sul cuore. Osservate poi
il metro - le parole - le sillabe!
Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica!
E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano
che senza una spada non potreste disciogliere,
se solo n'afferraste il soggetto.
Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute,
tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome.
Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente,
come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Enigma

    "Di rado troviamo", dice Salomone Allocco,
    "una mezza idea nel più profondo sonetto.
    Attraverso i suoi sottili espedienti scorgiamo
    agevolmente, come in un berretto di Napoli -
    ciarpame! Robaccia! - come può portarlo una signora?
    E più pesa, però, della vostra stoffa petrarchesca -
    piumate assordità che un lieve soffio disperde
    e ammucchia in cartaccie sol che l'esaminiate".
    E Salomome ha invero ragione.
    I soliti versi tuchermaniani sono bubbole
    notorie - effimere e così trasparenti -
    ma questa mia, ora - potete esserne certa -
    è solida, nitida, immortale - e tutto questo
    a causa dei cari nomi che vi sono celati.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La valle dell'inquietitudine

      Un tempo sorrideva silenziosa
      una piccola valle dove nessuno più abitava:
      la gente era partita per le guerre,
      affidando ai miti occhi delle stelle, a notte,
      dalle alte torri azzurre, la custodia
      di quei fiori, sopra i quali, per tutto il giorno,
      pigramente indugiava la rossa luce del sole.
      Ora invece al viandante che di lì passasse
      si mostrerebbe il tristo stato di quella valle.
      Nulla è ora lì che stia senza un moto:
      nulla, tranne l'aria che immobile sovrasta
      su quella magica solitudine.
      Oh, non un soffio più sommuove quelle fronde,
      che ora palpitano come gelide onde
      d'intorno alle nebbiose, lontane Ebridi!
      Oh, non un vento sospinge quelle nuvole,
      che con gravezza si spostano nel cielo inquieto,
      dal chiaro mattino fino a sera,
      sui fitti campi delle viole non colte -
      miriadi d'occhi umani d'ogni foggia -
      e sui gigli che ondeggiano e gemono
      sopra una tomba che non ha nome!
      Ondeggiano: dalle cime profumate
      rugiade cadono in gocciole immortali.
      Gemono: dagli steli delicati
      discendono gemme d'eterne lacrime.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Il giorno più felice
        Il giorno più felice - l'ora più felice
        questo mio inaridito cuore ha già conosciuto;
        ogni più alta speranza di trionfo e d'orgoglio
        sento ch'è fuggita via.

        Trionfo? Oh sì, così fantasticavo;
        ma da gran tempo svanirono ormai
        le visione di quel mio giovanile tempo -
        e sia pur così.

        E quanto a te, orgoglio, che dirti?
        Erediti pure un'altra fonte
        quel veleno che approntasti per me -
        Ora acquietati, o mio spirito.

        Il giorno più felice - l'ora più felice -
        che quest'occhi avrebbero visto - hanno già visto,
        il rifulgente sguardo di trionfo e d'orgoglio
        sento che è spento ormai.

        Ma mi fosse pur riofferta quella speranza
        di trionfo e d'orgoglio, e con la pena
        che allora avvertivo - quella fulgente ora
        io non vorrei riviverla:

        giacché oscure scorie erano su quelle ali
        e, al loro agitarsi, una maligna essenza
        ne pioveva - fatale per un'anima
        che già l'ha conosciuta.
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          Solo

          Fanciullo, io già non ero
          come gli altri erano, né vedevo
          come gli altri vedevano. Mai
          derivai da una comune fonte
          le mie passioni - né mai,
          da quella stessa, i miei aspri affanni.
          Né il tripudio al mio cuore
          io ridestavo in accordo con altri.
          Tutto quello che amai, io l'amai da solo.
          Allora - in quell'età - nell'alba
          d'una procellosa vita - fu derivato
          da ogni più oscuro abisso di bene e male
          il mistero che ancora m'avvince -
          dai torrenti e dalle sorgenti -
          dalla rossa roccia dei monti -
          dal sole che d'intorno mi ruotava
          nelle sue dorate tinte autunnali -
          dal celeste baleno
          che daccano mi guizzava -
          dal tuono e dalla tempesta -
          e dalla nuvola che forma assumeva
          (mentre era azzurro tutto l'altro cielo)
          d'un demone alla mia vista -.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
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            Canto

            Ti vidi nel tuo giorno nuziale
            e t'invase una vampata di rossore,
            quantunque felicità ti brillasse d'intorno
            e il mondo fosse tutto amore innanzi a te.

            E il baleno che s'accese nei tuoi occhi
            (quale ch'esso fosse per me),
            fu quando alla Beltà di più conforme
            potesse svelarsi alla mia vista dolente.

            Fu quel rossore, credo, pudore di fanciulla -
            e ben si comprende che così fosse.
            Ma un più fiero incendio quel baleno
            sollevò - ahimè! - nel petto di colui

            che ti vide nel tuo giorno nuziale,
            allorché ti sorprese quell'acceso rossore,
            quantunque felicità ti brillasse d'intorno
            e il mondo fosse tutto amore innanzi a te.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              La stella della sera
              L'estate era al suo meriggio,
              e la notte al suo colmo;
              e ogni stella, nella sua propria orbita,
              brillava pallida, pur nella luce
              della luna, che più lucente e più fredda,
              dominava tra gli schiavi pianeti,
              nei cieli signora assoluta -
              e, col suo raggio, sulle onde.
              Per un poco io fissai
              il suo freddo sorriso;
              oh, troppo freddo - troppo freddo per me!
              Passò, come un sudario,
              una nuvola lanugiosa,
              e io allora mi volsi a te
              orgogliosa stella della sera,
              alla tua remota fiamma,
              più caro avendo il tuo raggio;
              giacché più mi allieta
              l'orgogliosa parte
              che in cielo svolgi a notte,
              e di più io ammiro
              il tuo fuoco distante
              che non quella fredda, consueta luce.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                I due leader

                Cacciari: il fascismo è lontano
                Occhetto: il fascismo è vicino
                Cacciari: ma dove lo vedi?
                Occhetto: là, sul falsopiano
                Cacciari: ma è solo un puntino
                Occhetto: ma è enorme, sciocchino
                Cacciari: è una nuvola bassa
                Occhetto: è una squadraccia
                Scusate se interrompo la conversazione
                disse il capo del plotone d'esecuzione.
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