Poesie personali


Scritta da: geggio
in Poesie (Poesie personali)

Il solito, grazie

Perso nel silenzio della notte
il fegato mi chiama
e sussurra
datti una calmata ho ancora bisogno di te

io sorvolo con il pensiero e mi perdo
nel vuoto più totale che solo una birra finita ti può dare

ho la cicca, l'ultima, della nottata
ormai
trasformatasi in mattinata

tra una rissa e dei pugni secchi
finisco con lo svanire di questo giorno
strano e inutile
come quelli che seguiranno

ma almeno qualcuno mi ha chiamato
il mio fegato mi ha avvisato

triste e solo mi spoglio
solo svanisco nel mio letto
dopo la solita tappa
verso il cesso
la mia casa.
Composta domenica 6 gennaio 2013
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    Scritta da: Jean-Paul Malfatti
    in Poesie (Poesie personali)

    Se amare fosse facile

    Se amare fosse facile,
    non ci sarebbe tanta gente che non ama,
    né tanta gente che non è amata.

    Se amare fosse facile,
    non ci sarebbe tanta fame nel mondo,
    né tante guerre.

    Se amare fosse facile,
    non ci sarebbe tanta gente senza cognome,
    non ci sarebbero bambini abbandonati a se stessi nelle strade,
    né ci sarebbero orfanotrofi, perché le famiglie serene li adotterebbero.

    Se amare fosse facile,
    non ci sarebbero donne maltrattate,
    e mai nessuno negherebbe quello che ha giurato sull'altare,
    e allora non ci sarebbero né separazioni né divorzi.

    Se amare fosse facile,
    non ci sarebbero rapine, sequestri, e omicidi.
    Ma l'amore è un sentimento che comporta anche delle rinunce,
    e l'uomo è un egocentrico egoista che si chiude nel suo "IO".
    Ecco perché amare è difficile.
    Composta domenica 14 maggio 2006
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      Scritta da: Salvatore Masullo
      in Poesie (Poesie personali)

      Gente dell'agro

      E vanno all'alba sui sonnolenti campi
      cantando con ardore antiche voglie.
      Nell'aria, ancora scura dopo i lampi,
      un vento che rimescola le foglie...

      Rivoltano la terra che fu dei loro padri
      e spargono sementi con passi misurati.
      Coltivano speranze, come le loro madri,
      e sogni familiari ancora inappagati.

      Mani incallite da consumate vanghe,
      barbe incolte sulle vermiglie gote,
      e sulla fronte quelle rughe stanche
      che il vento di maestrale fissa immote.

      È parco il desinare a mezzogiorno,
      supini sotto l'ombra di quei tigli,
      quando il lavoro sfuma nel contorno
      ed il pensiero corre ai propri figli:

      giovani semi curati con passione,
      frutti acerbi venuti dalla terra
      per dare corpo a tenere illusioni
      e mitigar la quotidiana guerra!

      Poi tornano sfiniti nell'ora vespertina,
      sui carri insieme a dignitose donne,
      avvolte da uno scialle cenerino
      che paiono figure di madonne.

      E al fine ci si appresta al casolare,
      dove i fanciulli attendono la mamma,
      e quelle mani attorno al focolare
      tornano calde al crepitar di fiamme.

      È la giocosa infanzia, generosa,
      che corre tra i sentieri raddolcita
      dallo sguardo di una madre ansiosa
      che chiama fuori l'uscio impensierita...
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        Scritta da: Salvatore Masullo
        in Poesie (Poesie personali)

        Vecchio lupo di mare

        Stanche le tue pupille fissano l’orizzonte
        mentre rimbalza sulla scogliera
        l’ultimo raggio sghembo
        di questo pallido sole d’autunno.

        Sprizzi di nembi e d’acqua salsa  
        che il vento di tramontana incolla,
        come lacrime, sul  viso tuo brunito.
        Vecchio, su questa baia deserta,
        muore la storia tua,
        come foglia che torna alla terra
        sul finir d’ottobre.

        Trucioli di vita rimagliano il vissuto,
        nostalgie affioranti dal fondo,
        pensieri come barche di carta
        galleggianti sul luccichìo dell’acqua:
        storie che la risacca sbatte a riva…

        Nella penombra dei ricordi
        cerchi un brivido che ravvivi le tue vene,  
        un tuffo al cuore che ti rapisca ancora,
        un tronco a riva su cui scolpire un nome.

        Momenti lontani d’un tempo che fu,
        di passioni amorose le notti di maggio,
        di labbra infocate che sapean di fiori,
        di mani sottili sul tuo corpo segnato
        da mille odissee vissute nei mari.

        Memorie care guizzanti tra l’onde,
        nel cupo gocciolare della sera,
        sillabe sparse che non vorresti perse
        nell’incedere fatale della vita.

        Forse un dì qualcuno ricorderà di te
        su una ginestra sopra lo strapiombo,
        al guardo di una vela gonfia,
        o al frullo di un gabbiano in caldo.

        Forse un gesto, un lampo, un niente,
        a far che la tua voce sia poesia
        nell’etereo tramonto
        o tra le rocce eburnee
        di questa baia deserta…
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          Scritta da: Salvatore Masullo
          in Poesie (Poesie personali)

          Il tempo degli esami

          I libri aperti sopra il marmo bianco
          d'una cucina, intrisa di memorie,
          che ripuliva col suo fare stanco
          mia madre sul finire della sera.

          E mi svegliava all'alba, senza scampo,
          l'aroma del caffè nella cucina
          e quell'odore fresco di lavanda
          dei panni appesi sopra uno stendino.
          Nell'aria estiva un canto di cicale
          e l'eco di quei versi del passato
          che rileggevo sopra un davanzale
          all'ombra di meriggi soleggiati.

          Il tempo degli esami era arrivato
          per me ch'esorcizzavo la paura
          fumando sigarette di nascosto,
          nell'ora in cui s'attenua la calura.
          Ma un vento ricuciva le speranze,
          quel grappolo di sogni mai sopiti,
          d'un padre, sempre schivo d'apparenze,
          che riponeva in me traguardi arditi.

          Ed io tornavo alle sudate carte,
          pesanti come l'ombre della sera,
          e rimettevo in gioco la mia parte
          in quei silenzi tormentati e brevi.
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            Scritta da: Salvatore Masullo
            in Poesie (Poesie personali)

            Come alberi

            E venne il tempo dell'ultima stagione
            pei nostri vecchi divenuti arcigni,
            quando la mente affonda nell'oblio
            e i giorni nuovi sembrano macigni.

            Come alberi battuti dai piovaschi
            cedono foglie al manto della terra,
            e sulla corteccia mostrano profonde
            le macchie scure d'ogni loro guerra.

            Come alberi con tanti rami secchi,
            scolpiti nelle palme e intorno agli occhi,
            ricordano gli ardori giovanili
            e i fiori in grembo divenuti frutti.

            Come alberi scavati dalle acque
            hanno il vuoto dentro il tronco curvo
            che pare un pozzo in cui la mente cala
            e un secchio di memorie che risale.

            Come alberi ondeggiano la sera
            al primo soffio languido di vento,
            e il loro cuore palpita veloce
            se sanno del più piccolo tormento.

            Come alberi le cime tese al cielo
            a raccontar dolore e sofferenza,
            a confessar peccati mai commessi
            per catturare strali d'indulgenza.

            Come alberi finirà la loro vita
            squarciata da saette e venti forti,
            ma lasceranno in terra le radici
            perché si sappia che non sono morti.
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              Scritta da: Salvatore Masullo
              in Poesie (Poesie personali)

              Tyrrenia

              Granitici torrioni, a picco sovra il mare,
              adusi a raccontar di leggendarie gesta
              nell'aria ancora pregna delle memorie care
              di questa nostra terra sì divenuta mesta.

              E parlano le pietre nel fuoco dei meriggi
              quando calura stimola il canto di cicale
              e le scoscese dune disegnano miraggi
              agli occhi allucinati del peregrin mortale.

              Ed io, che vò ramingo per quei ventosi lidi,
              ascolto antiche voci tra le ginestre e il mare,
              e grida di gabbiani che levansi dai nidi
              e volano radenti su scogli di calcare.

              Ritornano alla mente i sogni mai sopiti,
              spumosi come l'onda s'arenano alla riva,
              e fissano negli occhi la giovinezza ardita
              insieme alla canizia che irriguardosa arriva.

              Rimiro quei tornanti salir sulle colline,
              tagliar per le contrade e i pascoli bovini,
              svanire come serpi tra il limitar dei pini
              e poscia riapparir sugli assolati crini.

              All'ora vespertina le vecchie poverelle
              che sgranano rosari nel coro di una chiesa.
              Avvinto dai sussulti è il cor delle zitelle
              sedute fuori l'uscio in speranzosa attesa.

              E scopro rami secchi agli angoli degli occhi
              di contadini stanchi dalle rossicce gote
              che tornano dai campi, in piedi sovra i cocchi,
              fischiando allegre strofe e popolari note.

              Io canto il mio Tirreno e la sofferta voce
              di rustica progenie e marinara gente,
              avvezza a sopportar silente la sua croce
              ai piedi di castelli e dinastie potenti.

              Son queste le mie terre, vissute con tormento,
              all'ombra degli ulivi a rinnovar passioni,
              quando l'amor gentile s'infila nella mente
              ed il pensier di Lei ti toglie la ragione...
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