Guardo le foglie secche, nell'autunno e nel vento: s'increspano e si confondono come le sentenze di Sibilla, odore di fumo e di pernod nei socchiusi caffè parigini, ove oblio e ricordo tristemente si danno il turno. E non è dato ai sogni donare quel soave zefiro di coscienze immutate.
Resta nel cuore, senza compagne smarrita, la speranza che non vede sé stessa.
Foglie nuove, seguite il volo ordinato dell'angelo, ballerina trasparente di seta bianca, brezza suggerita a bassa voce dal mare, mentre passeggia sulle punte e sull'arcobaleno; pastello nell'azzurro dei miei cieli più belli.
Il dolce sapore salato ristagna in fondo al palato, l'odore che ho appena odorato è misto nel soffio di un fiato, lo sguardo è smarrito... si è perso nel vento sfiatato, un piccolo invito è bastato e il cuore è scattato. Non c'era dolore nel volto sudato d'amore, e il piccolo fiore che ero s'è tinto di prato. Un chiaro pensiero, nascosto nell'occhio crucciato, ha aperto la mente a un grande destriero: il vento del nostro passato.
Le spade hanno marciato entro cuori di legno, salvando dall'asfalto pensatori immortali, e il cuore titubante lasciato a macerare saltella in lungo e in largo con echi di rimando. L'equilibrio naturale è un pendolo danzante e la falce uno scatto che congela questo ballo, lui non torna più da una guerra oramai persa, lei oramai piange la precoce vedovanza.
Il corvo lo accompagna sopra ali di cicogna, sorvola campi immensi con aria di fanciullo, spreca qualche pianto per quella nuova luce, si volta a riguardare il presente che abbandona. Abbandona, capisci? Lui è andato, lei rimane, ed è peggio di morire. Gli spilli dentr'al cuore, la morte dell'amore, il freddo gli permane nelle membra corrucciate.
"Come farò? Quale la forza? A me avverso il destino! Di quale paura, in quale timore, dovrà rifugiarsi il suicidio? Quali le colpe, chissà che doveri per una povera vedova e gravida!"
L'altare ormai lordo di sangue nutre una nenia dai teschi già sepolti, dal coro di sudari svetta un soprano in testa al lamento. E intanto il figlio della luce si allatta sul tonfo del pianto e triste e tetro, per lui ancor più duro sarà il combattimento, pugnando a sé la vita con la sua sola armata.
Ora che la macchina ha oscurato il canto è sempre più difficile poter ridarti in gloria e onore a quel poeta - ancora? - che tosto t'ha innalzata a divina e a provvidenza; umano, mi chiedi, ahimè di ritornare: la macchina - lo sai - ormai ha già covato e l'ospite incurante, che nutre la nemesi, ormai ne è assopito, ne più che mai dipende.
Ricordo e piango, ed ora che soltanto è tornata a me quest'arte spesso mi soffermo attonito a pensare agli spiccioli di tempo sperperati a farsi male, ai sorrisi che, se fatti, calmieravano il dolore (se soltanto avemmo avuto abbastanza sale in testa) od a tutte quelle volte che il sapore del far male umiliava la ragione sotto gli occhi d'un orgoglio beffardo.
Preferisco passeggiare col demonio che trovarmi sul rasoio con me stesso e cercare di sommare i minuti ch'ho investito ad estrarre l'innocenza dalla terra pulsante mentre avvelenavo il sangue e la linfa con un nettare pungente e amaro.
Potrei chiedermi se mi incontrassi a che è valso dare fuoco ai tuoi diamanti o cercar di concimarli con la rabbia, e in tal caso, stando fermo, mi potrei sputare in faccia sbeffeggiandomi maligno.
Fuori da un'amara simpatia altro non resta che sudicia acqua storta, mentre il fuoco che prima ci scaldava sembra averci consumato pelle, spirito e desiderio.
Tu non sai quanto mi manchi, amore. Tu non sai quanto ti amo.
Chi sei tu che dalla tenebra appari e suoni i tuoi capelli come vermiglia rete, offrendo maliziosa il tuo veleno ambrato mentre languida avvicini le mie labbra e guardandomi le accarezzi con un bacio?
Comunque il tuo ariete trova l'uscio spalancato perché se guardi e hai visto anch'io non son da meno, e lesto ti ricambio in modo assai cortese ed anche generoso ché c'aggiungo un po' del mio, e la colpa è un prezzo che non devo pagare.
Chi sei tu che vieni a portare innovamento e stringi nelle gambe una tenue speranza, pretendendo in cambio una tiepida freschezza mentre le tue mani esplorano il petto in cerca di un ansimante e azzurro orgasmo?
Ma sei così fugace e un ostacolo interrompe, il nostro rito cessa e l'equilibrio si fa nero, così rapido è il contatto, come la tua sparizione che neanche faccio in tempo ad imprimerti in memoria; solo un fremito ricorda il tuo sapore vaporoso.
Chi sei tu che t'allontani contro voglia e mi lasci risoluta sbigottito e sorridente, arrivando chissà come forse dalla mia coscienza mentre cavalcando un uragano travolgi le certezze ed in dono m'hai portato consapevolezze nuove?
E in ogni stanza cerco un qualcosa, che mi dia una via da percorrere, un passato ostacolato, un ricordo innebbiato, di cio che è stato ma di cio che non viene ricoradto
le foglie cadono, non risalgono da dove sono venute, un malinconico addio un distacco, che ripercuote l'uomo in tutta la sua vita,
un cerchio di persone bambini che giocano allegramente in sconosciuti parchi in incognite periferi di innominate città
dove non sapranno mai cosa cosa e cio che devono sapere un cerchio un circolo dove non si puo uscire,
certe persone riescono a capire il significato di cio che non è la vita ma il ciò il fondamentale nulla viene afferrato una mente disastrata pensieri viventi sparsi per intere vie
numeri. Lettere formano un alchimia di scritte all uomo comprensibili, a me sconosciute, cioe che ci chiediamo non verra mai risposto se non con la morte...