Scritta da: Lucia Griffo
in Poesie (Poesie personali)
Un papavero
Fra le mani
avvolgo e stringo
– un papavero
Senza fiato, senza voce.
Il tuo respiro
– manca.
Composta domenica 7 agosto 2016
Fra le mani
avvolgo e stringo
– un papavero
Senza fiato, senza voce.
Il tuo respiro
– manca.
Certe volte vorrei
raggiungere il cielo
Sfiorandolo potrei
vedere posti lontani
che non ho soltanto sentito
Percependo il calore del sole
si può sfuggire
Poi arriverà domani
– mi volterò.
Ai poeti dico di non tornare
di insistere, di trovare
altri silenzi da raccontare.
Ai poeti auguro di non svegliarsi
di non attenersi alle regole,
di non lasciare mai un tramonto
in balia del proprio cielo.
Auguro un mare, un deserto,
una lacrima in più da attraversare.
Ai poeti dico di non disperare
quando stillano solitudini,
di camminare anche al buio
perché una carezza di luna
farebbe più male.
Ai poeti dico di sorridere
quando il vento della notte
li trascina via lontano
perché quando tutto è perduto
nuove ali e nuove parole
una volta ancora
offriranno loro
la malinconia di vivere.
Un occhio nel buco
la paura mi attanaglia
nel buio un sinistro rumore
scappo via e cerco un riparo
ma che, ho paura di più
aiuto, non trovo nessuno
mi fermo in un cespuglio
e il mio cuore in subbuglio
silenzio, silenzio una voce
la sento, l'orecchio non ode.
Chi sei, un angelo perché
un angelo per te
mi protegge e mi rialza
mi consola e si staglia
qualcuno lo ha mandato
che onore, che stupore
quel rumore non c'è più
grazie a voi di lassù
nel mio cuore pace
un profumo, un odore
al sicuro ora.
Non è un giorno che siamo insieme,
e tu non ci pensi,
ma io sì,
mi sembra poco fa,
che tutto è cominciato tra noi,
mi ricordo quella sera,
la mia mano si avvicinò alla tua,
e poi tu mi baciasti lungamente,
e quel bacio, non l'ho mai dimenticato,
iniziò così.
E l'amore ancora mi dura,
nonostante gli anni e gli acciacchi,
gli alti e bassi tra noi.
È per me, è sempre come la prima volta.
Cornacchie e corvi
fissano, appollaiati
e con sguardi torvi,
paesaggi stuprati;
in equilibrio su cavi
percossi dal vento,
paiono aculei scuri
d'un color cemento:
spine di una corona
che cinge l'orizzonte,
mentre il cielo tuona
e l'aria si fa pesante,
che mutan in Golgota,
croce e martire nello
stesso tempo, l'immota
terra e il suo fardello.
Rema contro te stesso
e nello sfinimento ti accorgi
che hai ucciso il prossimo che odiavi... uccidendo una parte di te
che sta morendo... hai solo una tremenda paura di essere nulla
sei già aggrappato su macerie inutili che ti aiutano solo a galleggiare
in questo oceano di squallore
la tua vita
che difendi
pur di vivere
ad ogni costo.
Soli, sparsi
nell'immenso
vuoto, dispersi
nell'ignoto senso
dell'esistenza.
Travolto dall'emozione,
bloccato nel silenzio.
Quel silenzio che mi urlava
forte il tuo nome.
Stretto dalle paure,
chiuso in un angolo.
Si perde tutto, voglia di lottare,
voglia di vivere.
Ti perdi nell'oblio interiore.
Il tempo è proporzionato
al sentimento.
Si ride, ma non si sorride.
Ti mostri forte, resisti
a quel muro di pensieri
che ti schiaccia.
Sai che il tuo cammino è
ancora lungo e incerto.
Sicuramente deciso a
non permettere mai più
a nessuno di prenderti il cuore.
Mai più a nessuno di giocare
con le tue emozioni e mai più
a nessuno di farti morire dentro.
Perché può finire un amore,
ma non la propria vita con esso.
Il mio cuore è arido,
assetato d'amore sconosciuto.
La mia schiena è piegata, dolorante,
sotto il peso della sofferenza.
I miei occhi sono spenti, alla
ricerca di una luce che non splenderà mai.
Le mie mani sono tremolanti, vane,
nel tentativo di stringere l'inafferrabile.
Le mie labbra sono serrate, incapaci
di emettere il lamento del dolore.
Le mie narici sono dilatate, ferite,
dal lezzo della tragedia odorata.
Le mie gambe sono esili, impotenti,
per proseguire nel cammino della vita.
Odo solo il lacerante silenzio
dell'annunciata morte.