La schiena al sole
e i raggi sulla pelle -
ragno dorato.
Composta mercoledì 8 luglio 2015
La schiena al sole
e i raggi sulla pelle -
ragno dorato.
Strana madre questo mare,
il seno dell'onda che allatta
a riva la sabbia lattante,
ma sopra la sabbia
resta a bocca asciutta,
ormai è cresciuta,
s'è fatta già adulta:
prego, si nutra da sé!
La creatura infreddolita
proprio oggi l'ho vista gettarsi
alle ginocchia della spiaggia,
cercava calore improvviso,
sfregava le unghie, queste mille
teste di fiammiferi sparsi,
spalmati a mo' di crema bianca
sul muro testardo e salino,
corrosivo del bagnasciuga,
dall'attrito nasce una fiamma
- credeva - mi spiace, ma non è
così, non sempre, non ovunque,
prego, torni pure dov'era,
rimanga nel freddo più freddo,
io proprio non posso aiutarla.
In cielo, nella mahala
vedi due sofà grigi
sei ancora capace di accasciartici sopra
così come nella vita degli altri
però salgono su, t'ingannano
cani col loro manto naturale
e la pigione a pelle nuda.
Hai smarrito il tuo nome
ma il mondo accorre
e ti offre una buona scelta.
Scuoti la testa
ma il tuo amato
ti ha ritrovato un giorno l'ago nel pagliaio
Lo senti: già ti chiama.
Sì, pare che non mi sia consentito
prendere alle cinque il treno allo specchio
o gli autobus, sempre più spesso quel pel-di-carota
è difficile da spiegare poiché lo confondo
con il cane con i gradini
con le mosche distese con contegno
Sì, è semplicemente un'altra
come sciamature di
zampe migratorie
di uccelli
perché si lavino gli arti
in limpida acqua
e il problema è:
che nemmeno ce n'è bisogno.
Ieri ho messo
un ago in cielo
e non è rimasto su
in ogni modo ce l'ho messo anche oggi
poi in treno mi sono ritrovato
in due in un salottino
con uno scacchista russo
di rango un po' più elevato
si recava a Dorohoi per un torneo
mi ha segnalato che ciò che faccio è vietato, io però
gli ho detto che no, manco a dirlo, e Lei badi che neppure
il semplice ombrello di una zanzara con i gradi
sulle spalline che in qualche caso ancora si
staglia sulla parete con le parti di bicicletta rubate
dentro una fabbrica.
Le tue mani sono grandi ventose
fanno sì che la mia carne
diventi doppia e tripla.
Il sasso del tuo sguardo
è caduto nelle acque
dell'immaginazione di Dio:
si indigna del nostro piacere
e sconvolgiamo la terra,
dibattendoci come due rettili infami
mentre perdiamo l'anima.
Ho paura che il sangue
sbotti dalla penna,
che mi sporchi tutto,
che perda il controllo,
che questa clessidra
non regga più il tempo.
Ma pure se fosse,
il conto che lascio
sarebbe in sospeso,
la metà perduta
di un lungo futuro
andrebbe ad un altro,
perché il mio fardello
è l'unica cosa
che mi vivrà innanzi.
Perché ti alzi
e ti abbassi
spingendomi su,
tirandomi giù,
sempre più in su
e ancora più giù?
Possa tu scegliere
da che parte stare,
unica nota,
grave ed acuta,
di ogni pensiero.