Il cielo imperlano
rami di malinconia
poi il mare.
Composta lunedì 21 settembre 2015
Il cielo imperlano
rami di malinconia
poi il mare.
Prendi pure la mia voce
gli ornamenti,
le isole che ho visitato.
L'ultima parola andrà alla deriva
in quest'ora di ombre e
ghiaia.
Una scheggia di cielo
in candidi riflessi obliqui
recide già il silenzio.
Si fa strada il vento,
adagiato sulla corteccia del cuore
ora spicca il volo.
Tornerà l'indifesa età
tornerà a chiamarmi
urlando tutti i disperati giorni
ma fra le onde, avrò da amarmi
al di là del torto
avrò da vivere.
Dimmi notte
chi scorre sulla mia pelle.
Hai espugnato il firmamento
e sei caduta senza dire
una parola.
Dimmi a cosa pensi
risalendo il fiume.
Per salvare la pioggia
ti apro le mie stanze,
per ingannare la luna
ti dono i miei occhi.
Dimmi notte,
dimmi in cosa speri,
se riposi tra rami di stella
o pensi di cacciare ancora.
Ci sono giorni possibili,
solchi da riconoscere;
i tuoi artigli
non sono un ripiego.
Dormi notte,
dammi torto
e dimmi
per chi hai scelto di restare,
a quale inferno dobbiamo rinunciare.
Non si consuma
questa terra,
questo sangue d'autunno.
È dolce l'aria
Rosario lontana
dalle tue labbra.
Ha venti e occhi
per implorarti ma
l'alba tarda a sorgere
ed è il nostro male
più caro.
Un nome basta
a sciogliere le mani,
giunte restano
quelle delle madri
a Santa Clara chine
sulla promessa di una vittoria.
Non accadranno altre stelle
o poderose imprese
ancora la tua pioggia
che non sa smettere,
ancora la mia
che non si rassegna.
Ai poeti dico di non tornare
di insistere, di trovare
altri silenzi da raccontare.
Ai poeti auguro di non svegliarsi
di non attenersi alle regole,
di non lasciare mai un tramonto
in balia del proprio cielo.
Auguro un mare, un deserto,
una lacrima in più da attraversare.
Ai poeti dico di non disperare
quando stillano solitudini,
di camminare anche al buio
perché una carezza di luna
farebbe più male.
Ai poeti dico di sorridere
quando il vento della notte
li trascina via lontano
perché quando tutto è perduto
nuove ali e nuove parole
una volta ancora
offriranno loro
la malinconia di vivere.
Tace questo inverno di ingratitudine
in equilibrio sulle paure.
Considero le carezze della malinconia
un penoso spreco di sangue.
Mento con la voce dell'allegrezza
mentre scavo più mansueti orizzonti.
Dal silenzio dei boschi sino al fruscio delle onde
il sole compie il suo giogo
incredulo dinanzi ai nostri travagli.
Perdiamoci nel giardino dei tigli;
cogliamo il dolce grappolo
prima che i venti
ne assaporino la carne.
Da questo naufragio
possiamo salvarci
stringendoci intorno al fuoco.
La notte
Sempre
mi dissangua.
Restano tracce di noi?
Ricordiamo davvero la speranza
nascosta nei sorrisi?
Polvere sulle dita quando ricalco
quei giorni, imprigionati in un futuro
che dovevamo esaudire.
Ma quest'alba, inattesa
ci restituisce la preghiera
di un'irrisa felicità, l'amaro
della rinuncia.
Quanti treni passati
inconsapevoli,
balenati nel buio della stanza.
L'ultimo, al primo binario
non ci ha neppure provato.
Abbiamo perso tempo
o il tempo si è scansato
per farci cadere.
La strada deserta promuove
solitudini, troppe speranze
ancora da puntellare.
L'ora perduta è un rumore familiare
la chirurgica attesa prima
di chiudere la porta.
Così il silenzio allaga questa stanza
e io imparo a nuotare
rubando al tempo
la sabbia più amara.
"L'ora perduta è d'improvviso una stagione ritrovata"
Per quello che sono
e mai diventerò,
troppo attento
a distrarmi
quando chiamato
in causa.
Saggio
al punto di perdermi
se una promessa
mi mostra la via.
Lesto
ad impugnare un tramonto
per trafiggermi il cuore
ma
schiuse,
mani tese
perché una carezza
sa perfettamente
cosa
non bisogna tacere.
È nei solchi del carro.
Ha rami e radici nel vento
odora di pioggia.
È in cammino,
come me
non ha messo foglie.
Appartiene all'indulgenza della sera
sulle colline rivolte al mare.
La mia dimora è sola
orme di lacrime
che nessuno ha visto cadere.