Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
L'annuale della fondazione di Roma
Te redimito di fior purpurei
april te vide su 'l colle emergere
da 'l solco di Romolo torva
riguardante su i selvaggi piani:
te dopo tanta forza di secoli
aprile irraggia, sublime, massima,
e il sole e l'Italia saluta
te, Flora di nostra gente, o Roma.
Se al Campidoglio non più la vergine
tacita sale dietro il pontefice
né più per Via Sacra il trionfo
piega i quattro candidi cavalli,
questa del Fòro tua solitudine
ogni rumore vince, ogni gloria;
e tutto che al mondo è civile,
grande, augusto, egli è romano ancora.
Salve, dea Roma! Chi disconósceti
cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
e a lui nel reo cuore germoglia
torpida la selva di barbarie.
Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
del Fòro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice.
Son cittadino per te d'Italia,
per te poeta, madre de i popoli,
che desti il tuo spirito al mondo,
che Italia improntasti di tua gloria.
Ecco, a te questa, che tu di libere
genti facesti nome uno, Italia,
ritorna, e s'abbraccia al tuo petto,
affisa nè tuoi d'aquila occhi.
E tu dal colle fatal pe 'l tacito
Fòro le braccia porgi marmoree,
a la figlia liberatrice
additando le colonne e gli archi:
gli archi che nuovi trionfi aspettano
non più di regi, non più di cesari,
e non di catene attorcenti
braccia umane su gli eburnei carri;
ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
su l'età nera, su l'età barbara,
su i mostri onde tu con serena
giustizia farai franche le genti.
O Italia, o Roma! Quel giorno, placido
tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici
di gloria, di gloria, di gloria
correran per l'infinito azzurro.
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