Un sussulto in questa notte un vuoto avanza nel destino sempre più sapore di niente nell'intestino Ancora un giorno se ne è andato ancora una notte ha da arrivare nel caldo ricordo di ciò che è stato desidero perdermi nel grande mare dei tuoi abbracci.
Si intrufola dalla porta di servizio, di soppiatto oltrepassa la cucina, il salotto, l'ingresso, sale le scale ed entra in camera. Si china sul mio letto e dice che è venuto a uccidermi. L'opera la compirà a stadi.
Prima le unghie dei piedi verranno spuntate, poi gli alluci eccetera fino a che nulla rimanga di me. Stacca uno strumentucolo dal portachiavi, e inizia. Sento il Lago dei Cigni dallo stereo di un vicino e comincio a canticchiare.
Quanto tempo trascorra, non so dire. Ma quando torno in me sento che dice di essere al collo e che non è in grado di continuare perché è stanco. Gli dico che ha fatto abbastanza, che dovrebbe rincasare, riposare. Mi ringrazia e se ne va.
Resto sempre stupefatto da quanto si accontenti di poco certa gente.
Da questo momento vivrò senza amore. Libera dal telefono e dal caso. Non soffrirò. Non avrò dolore né desiderio. Sarò vento imbrigliato, ruscello di ghiaccio.
Non pallida per la notte insonne – ma non più ardente il mio volto. Non immersa in abissi di dolore – ma non più verso il cielo in volo. Non più cattiverie – ma nemmeno gesti di apertura infinita. Non più tenebre negli occhi, ma lontano per me non s'aprirà l'orizzonte intero.
Non aspetterò più, sfinita, la sera – ma l'alba non sorgerà per me. Non mi inchioderà, gelida, una parola – ma il fuoco lento non mi arderà. Non piangerò sulla crudele spalla – ma non riderò più a cuore aperto. Non morrò solo per uno sguardo – ma non vivrò realmente mai più.
Sarò una stella come le altre perché non c'è stella che s'inabissi ognuno rimane lungo il cielo lungo il lago ghiacciato ed io sono quel punto che rimane là, tra il cielo e la terra, sono il tu dove passa la mia anima perché tutto è fermo, i paesi che sfociano in vallate e non c'è morte, una soltanto, che si distingua dalla vita.
La lepre è enorme, le nubi piccole. La notte luminosa profuma già di code di topo, trifoglio, l'eco veglia, dondola la tua voce da un margine all'altro dell'abetaia: vuoi carezzare il gattino della betulla. Ti sollevo un po'? Abbasso il ramo? No, protesa, ti allunghi da sola.
Se la mano potesse liberarti, cuore, dove andresti? Lontano, oltre tutti i luoghi della terra che questo cielo in corsa rende desolata? Attraverseresti città, colline mari, se la mano ti potesse liberare.