Attreverserei deserti, navigherei mari, ruberei stelle e spegnerei soli se solo tu fossi ancora mia, se solo potessi darmi ancora un volta la tua mano, se solo sfiorassi di nuovo le mie labbra per cullare poi un cuore malato. Toccami ancora, fallo di nuovo finché puoi, sorridi ancora e poi chiudi gli occhi, andrò via sulle punte, tra sguardi inchiodati e lacrime pesanti, che questo mondo non è più mio, che questa vita non sa intonare le mie corde, che qualche Dio ha deciso così. Nel vento troverai la mia voce, nell'acqua le parole che ti avrei detto, nel fuoco le emozioni che ti avrei regalato, e solo quando l'aria si farà bruna volgi gli occhi al cielo e se puoi ridi di quel pazzo seduto sulla luna.
Sera piovosa in grigio stanco. Tutto è così. Gli alberi secchi la mia stanza solitaria. E i ritratti vecchi e il libro intonso... Trasuda la tristezza dai mobili e dall'anima. Forse la Natura ha per me il cuore di cristallo. E mi duole la carne del cuore e la carne dell'anima. E parlando le mie parole restano nell'aria come sugheri sull'acqua. Solo per i tuoi occhi soffro questo male; tristezze del passato tristezze che verranno. Sera piovosa in grigio stanco. E va la vita.
Il mio cuore oppresso con l'alba avverte il dolore del suo amore e il sogno delle lontananze. La luce dell'aurora porta rimpianti a non finire e tristezza senza occhi del midollo dell'anima. Il sepolcro della notte distende il nero velo per nascondere col giorno l'immensa sommità stellata. Che farò in questi campi cogliendo nidi e rami, circondato dall'aurora e con un'anima carica di notte! Che farò se con le chiare luci i tuoi occhi sono morti e la mia carne non sentirà il calore dei tuoi sguardi!
Perché per sempre ti ho perduta in quella chiara sera? Oggi il mio petto è arido come una stella spenta.
Per i ragazzi c'è un sacco di roba da studiare. S'insegna la grammatica a scemi d'ambo i sessi. A me invece m'hanno scacciato dalla quinta classe. Hanno cominciato a sbattermi nelle prigioni di Mosca. Nel vostro piccolo mondo di appartamenti crescono ricciute liriche per le camere da letto. Che vuoi trovarci in queste liriche da cani pechinesi? A me, per esempio, ad amare l'hanno insegnato nelle carceri di Butyrki. M'importa assai della nostalgia per il bosco di Boulogne, e dei sospiri davanti ai panorami marini! Io, ecco, m'innamorai dallo spioncino della cella 103, di fronte all'"Impresa pompe funebri". Chi vede tutti i giorni il sole dice con sufficienza: "Cosa saranno mai quei quattro raggi"! Ma io per un giallo illuminello sopra un muro avrei dato allora qualunque cosa al mondo.
Poi sei venuta tu, e t'è bastata un'occhiata per vedere dietro quel ruggito, dietro quella corporatura, semplicemente un fanciullo. L'hai preso, hai tolto via il cuore e, così, ti ci sei messa a giocare, come una bambina con la palla. E tutte, signore e fanciulle, sono rimaste impalate come davanti a un miracolo. "Amare uno così? Ma quello ti si avventa addosso! Sarà una domatrice, una che viene da un serraglio"! Ma io, io esultavo. Niente più giogo! Impazzito dalla gioia, galoppavo, saltavo come un indiano a nozze, tanto allegro mi sentivo, tanto leggero.
Il tuo nome è una rondine nella mano, il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua. Un solo unico movimento delle labbra. Il tuo nome sono cinque lettere. Una pallina afferrata al volo, un sonaglio d'argento nella bocca.
Un sasso gettato in un quieto stagno singhiozza come il tuo nome suona. Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni il tuo nome rumoroso rimbomba. E ce lo nomina lo scatto sonoro del grilletto contro la tempia.
Il tuo nome - ah, non si può! - il tuo nome è un bacio sugli occhi, sul tenero freddo delle palpebre immobili. Il tuo nome è un bacio dato alla neve. Un sorso di fonte, gelato, turchino. Con il tuo nome il sonno è profondo.