Domanda interessante, la cui risposta richiede però un'approfondita analisi epistemologica. (L'epistemologia, come noto, è la teoria della conoscenza, e, in particolare, la filosofia della scienza).
Volendo cominciarne a discutere senza inquietare (per quanto possibile) le coscienze degli amanti della sintesi, si può partire da una domanda fondamentale:
- E' la scienza uno strumento di conoscenza della realtà, o non piuttosto uno strumento di interpretazione della realtà fenomenica in base ai nostri limiti percettivi e razionali? Esistono, in altri termini, volti della realtà che sfuggono alla nostra percezione, o che, pur non sfuggendo ad essa, sono superiori alle nostre capacità razionali di indagine? Ancora, e con maggior precisione: siamo proprio certi che la nostra ragione sia strumento adeguato a conoscere l'Universo, o non piuttosto proiettiamo sull'Universo noi stessi, con il risultato che crediamo di poter conoscere ciò che in realtà è inconoscibile ai nostri limiti razionali?
Esistono seri indizi in quest'ultimo senso.
Il primo è che, per ogni problema che la scienza "risolve", se ne aprono altri nuovi, all'infinito. La rincorsa della scienza verso la conoscenza del reale appare svolgersi su un tappeto di lunghezza infinita.
Sotto altro aspetto, e ricorrentemente, risultati ritenuti acquisiti e trionfalmente definitivi si sono dimostrati frutto di una visione solo parziale della realtà. Queste visioni rivelatesi poi solo parziali o addirittura errate, peraltro, sono state spesso difese con inaudita resistenza dalla scienza "togata",con atteggiamenti deteriori che hanno costituito un gravissimo freno allo sviluppo delle conoscenze e delle idee.
Un altro indizio dell'inconoscibilità del reale è la sua struttura infinita sia a livello macro che microscopico, a paragone della nostra struttura, fatta per vedere e vivere il finito, non l'infinito.
Potrei continuare con molte altre considerazioni, ma il punto che mi preme sottolineare è il seguente: è un grave errore ritenere che la scienza abbia DIMOSTRATO qualcosa. L'intero edificio scientifico è (e deve essere, per fare davvero scienza e non semplice opinione) in perenne costruzione, come una sorta di creta molle pronta ad essere di continuo rimodellata. NESSUN RISULTATO PUO' DIRSI DEFINITIVAMENTE ACQUISITO.
La verità circa quanto dedotto nella frase in esame ritengo dunque sia la seguente: NULLA possiamo dire di aver davvero dimostrato o capito della natura. Possono esistere dietro l'angolo forze sconosciute di cui neanche sospettiamo l'esistenza. L'atteggiamento giusto di fronte alla realtà ed alla sua conoscenza non è dunque quello di una falsa distinzione tra patrimonio di conoscenza acquisito e patrimonio da acquisire (le "cose che ancora non abbiamo capito"), ma sempre e soltanto quello della CURIOSITA' e della RICERCA. L'insegnamento socratico del sapere di non sapere vale, insomma, anche (e forse soprattutto) per ciò che attiene alla scienza, i cui risultati sono sempre provvisori e precari.
In questa ottica, postulare a priori l'origine aliena o divina dei fenomeni allo stato inspiegabili rappresenta naturalmente lo stesso tipo di errore.
L'errore più grave, però, è lo scientismo: esso consiste nel fare uso delle false convinzioni pseudo-scientifiche di cui sopra (intendere cioè i dati raggiunti come definitivi e acquisiti) per negare addirittura I FENOMENI, negando cioè aprioristicamente credito a coloro che asseriscono di percepire, di sentire, di vivere o aver vissuto esperienze che il pensare comune ritiene assurde solo perché inspiegabili. L'atteggiamento giusto è invece e sempre la ricerca e l'indagine. Senza di ciò non può esservi scienza, ma solo opinione corrente, "communis opinio", alias conformismo, che è da sempre il punto di resistenza più duro al progresso, scientifico e non scientifico che dir si voglia.
Per andare avanti bisogna invece avere la forza di rivoltare i problemi, di guardarli da nuovi angoli visuali. Anche a costo di rischiare la cantonata, o la perdita del proprio tempo, e magari anche (a fronte del conformismo di cui sopra) della propria reputazione.
Senza pensare a Copernico o a Galilei, facciamo l'esempio del povero Chandrasekhar. Era giunto in Inghilterra giovanissimo proveniente dalla sua India; e fu ridicolizzato da sir Arthur Eddington, il più grande astronomo del tempo, per la sua teoria sul limite di massa oltre il quale le nane bianche non sarebbero più rimaste stabili, ma sarebbero collassate fino a divenire buchi neri. Nel 1936, coperto dal ridicolo, fu costretto a lasciare l'Inghilterra. Nel 1983 fu insignito del premio Nobel, quando finalmente le resistenze del conformismo scientifico furono vinte dall'evidenza.
E se ci fossero stati nel passato altri "Chandra" non altrettanto fortunati, solo semmai perché asserivano di aver veduto omini verdi, di aver visto camminare un m0rto, o di aver assistito a un miracolo? Io lo ritengo molto probabile, perché il conformismo delle opinioni consolidate è un freno vecchio, che da sempre blocca il progresso del genere umano.
11 anni e 1 mese fa
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L'importante è centrare il bersaglio. Quanto profondamente la freccia si immergerà nel bersaglio, dipenderà dalla forza dell'arciere; ma la forza non è un merito, mentre invece è un merito la correttezza del gesto, che conduce a raggiungere l'obiettivo. Il medesimo concetto, implicitamente, viene espresso nella parabola del seminatore, a proposito del seme seminato nella terra buona, che porta frutto "dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta (cfr. Matteo, 13, 1-9 e, per la spiegazione, 13, 18-23); e anche nella parabola dei talenti (cfr. Matteo, 25, 15 ss.), e in quella degli operai della vigna (cfr. Matteo, 20, 1 ss.), dove si chiarisce che... basta centrare il bersaglio, e non importa con quale profondità la freccia si conficchi nel bersaglio stesso. Solo la correttezza del gesto ha infatti una meritoria valenza spirituale. La valenza dei mezzi e dei fini, rimanendo gli effetti fuori della disponibilità dell'agente, o comunque non essendo ascrivibili a merito di lui.
11 anni e 1 mese fa
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Gli Stati e le aziende dovrebbero governarli persone competenti, con due gradi di controllo composti il primo di persone oneste e il secondo di persone di animo buono. Attualmente, invece, sono alla guida persone incompetenti, sotto la supervisione di persone disoneste, il tutto sotto il super controllo delle più svariate organizzazioni criminali nazionali ed internazionali.
11 anni e 1 mese fa
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E poi... io sono un moralista del cactus, e non poso - sibilante carente... (che si dica così, "puozze", su Marte?) - dicevo: non poso parlar, non puedo ablar.
Augurio di Natale: Che ve pozzino...
Che dici, lo posso mandare così? Vinco il premio? Con tre "Che ve pozzino", che si vince?? : ))))))))))))))))))
11 anni e 1 mese fa
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Volendo cominciarne a discutere senza inquietare (per quanto possibile) le coscienze degli amanti della sintesi, si può partire da una domanda fondamentale:
- E' la scienza uno strumento di conoscenza della realtà, o non piuttosto uno strumento di interpretazione della realtà fenomenica in base ai nostri limiti percettivi e razionali? Esistono, in altri termini, volti della realtà che sfuggono alla nostra percezione, o che, pur non sfuggendo ad essa, sono superiori alle nostre capacità razionali di indagine? Ancora, e con maggior precisione: siamo proprio certi che la nostra ragione sia strumento adeguato a conoscere l'Universo, o non piuttosto proiettiamo sull'Universo noi stessi, con il risultato che crediamo di poter conoscere ciò che in realtà è inconoscibile ai nostri limiti razionali?
Esistono seri indizi in quest'ultimo senso.
Il primo è che, per ogni problema che la scienza "risolve", se ne aprono altri nuovi, all'infinito. La rincorsa della scienza verso la conoscenza del reale appare svolgersi su un tappeto di lunghezza infinita.
Sotto altro aspetto, e ricorrentemente, risultati ritenuti acquisiti e trionfalmente definitivi si sono dimostrati frutto di una visione solo parziale della realtà. Queste visioni rivelatesi poi solo parziali o addirittura errate, peraltro, sono state spesso difese con inaudita resistenza dalla scienza "togata",con atteggiamenti deteriori che hanno costituito un gravissimo freno allo sviluppo delle conoscenze e delle idee.
Un altro indizio dell'inconoscibilità del reale è la sua struttura infinita sia a livello macro che microscopico, a paragone della nostra struttura, fatta per vedere e vivere il finito, non l'infinito.
Potrei continuare con molte altre considerazioni, ma il punto che mi preme sottolineare è il seguente: è un grave errore ritenere che la scienza abbia DIMOSTRATO qualcosa. L'intero edificio scientifico è (e deve essere, per fare davvero scienza e non semplice opinione) in perenne costruzione, come una sorta di creta molle pronta ad essere di continuo rimodellata. NESSUN RISULTATO PUO' DIRSI DEFINITIVAMENTE ACQUISITO.
La verità circa quanto dedotto nella frase in esame ritengo dunque sia la seguente: NULLA possiamo dire di aver davvero dimostrato o capito della natura. Possono esistere dietro l'angolo forze sconosciute di cui neanche sospettiamo l'esistenza. L'atteggiamento giusto di fronte alla realtà ed alla sua conoscenza non è dunque quello di una falsa distinzione tra patrimonio di conoscenza acquisito e patrimonio da acquisire (le "cose che ancora non abbiamo capito"), ma sempre e soltanto quello della CURIOSITA' e della RICERCA. L'insegnamento socratico del sapere di non sapere vale, insomma, anche (e forse soprattutto) per ciò che attiene alla scienza, i cui risultati sono sempre provvisori e precari.
In questa ottica, postulare a priori l'origine aliena o divina dei fenomeni allo stato inspiegabili rappresenta naturalmente lo stesso tipo di errore.
L'errore più grave, però, è lo scientismo: esso consiste nel fare uso delle false convinzioni pseudo-scientifiche di cui sopra (intendere cioè i dati raggiunti come definitivi e acquisiti) per negare addirittura I FENOMENI, negando cioè aprioristicamente credito a coloro che asseriscono di percepire, di sentire, di vivere o aver vissuto esperienze che il pensare comune ritiene assurde solo perché inspiegabili. L'atteggiamento giusto è invece e sempre la ricerca e l'indagine. Senza di ciò non può esservi scienza, ma solo opinione corrente, "communis opinio", alias conformismo, che è da sempre il punto di resistenza più duro al progresso, scientifico e non scientifico che dir si voglia.
Per andare avanti bisogna invece avere la forza di rivoltare i problemi, di guardarli da nuovi angoli visuali. Anche a costo di rischiare la cantonata, o la perdita del proprio tempo, e magari anche (a fronte del conformismo di cui sopra) della propria reputazione.
Senza pensare a Copernico o a Galilei, facciamo l'esempio del povero Chandrasekhar. Era giunto in Inghilterra giovanissimo proveniente dalla sua India; e fu ridicolizzato da sir Arthur Eddington, il più grande astronomo del tempo, per la sua teoria sul limite di massa oltre il quale le nane bianche non sarebbero più rimaste stabili, ma sarebbero collassate fino a divenire buchi neri. Nel 1936, coperto dal ridicolo, fu costretto a lasciare l'Inghilterra. Nel 1983 fu insignito del premio Nobel, quando finalmente le resistenze del conformismo scientifico furono vinte dall'evidenza.
E se ci fossero stati nel passato altri "Chandra" non altrettanto fortunati, solo semmai perché asserivano di aver veduto omini verdi, di aver visto camminare un m0rto, o di aver assistito a un miracolo? Io lo ritengo molto probabile, perché il conformismo delle opinioni consolidate è un freno vecchio, che da sempre blocca il progresso del genere umano.
Augurio di Natale: Che ve pozzino...
Che dici, lo posso mandare così? Vinco il premio? Con tre "Che ve pozzino", che si vince?? : ))))))))))))))))))