Dopo "La teoria del tutto" (Marsch 2014), castorina Jones e lentiggini Redmayne tornano protagonist'in un film più gonfiato della mongolfiera, con una storia vera asservit'a un'altra lezione sulla battaglia dei sessi (l'idealismo mascolino contr'il pragmatismo femmineo). "I dubbi sorgono per esser'ascoltati".
L'ormai immancabile disvalor'aggiunto anti-Trumpiano della famiglia WASP + Capitan America contr'una latinoamericana (Ecuador? Paraguay?) con madre senza documenti, celato in una storia degna d'Agatha Christie e in una spumeggiante regia degna di Guy Ritchie o del "Wanted" di Bekmambetov (2008). Basta, grazie.
PS: ciambella=[who]donut/dunit.
È vero ch'il soggetto di Meirelles reca le tracce d'un salutare ripensamento in corso d'opera: dal manicheistico scontro fra due teologie fallimentari (il Cattolicesimo non sta riscontrando alcun "Pope Francis effect") al meraviglioso sconquasso di quant'asserito in 2 Corinzi 12, 9: "Ed Egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza»". Nessuna grazia o potenza divina ma la piena manifestazione della debolezza di due esseri umani.
"That's Not Really Funny", Eels 2001: https://www.youtube.com/watch?v=SQD0z8eB_jA. Son'undicenni, vengono presi per "Stranger Things" ma "Undi" non c'è. Nonostant'un cast accattivant'e un messaggio in definitiva riflessivo, "Good Boys" di Gene Stupidisky è minato dalla (s)manìa d'abbandonarsi ripetutamente a un umorismo profano: Seth Rogen colpisce ancora.
Sarà pure un film di genere e d'un genere a me particolarment'a cuore, il prison movie (il residuo della storia ruot'attorno a questo nocciolo), ma latita l'imprevedibilità, Clive Owen si sta relegando nel ruolo del villain e Ana de Armas è fuori parte. Si scrive routine, si pronuncia ruttìn.
Un coraggioso film sperimentale di grande libertà espressiva s'un libro ch'è la semiautobiografia del suo scrittor'e in cui il regista rispecchia la propria semiautobiografia: autodidatticità e ascesa sociale. Un discorso politico che vorrebb'essere di perenn'attualità anche se fu lo stesso London, nella copia del romanzo che dedicò ad Upton Sinclair, a scrivere: "One of my motifs, in this book, was an attack on individualism (in the person of the hero). I must have bungled it, for not a single reviewer has discovered it", "Una delle ragioni per cui ho scritto questo libro era un attacco all'individualismo (nella persona dell'eroe). Devo aver pasticciato, poiché non l'ha scoperto neanch'un recensore". Autocritica del proprio arrivismo e d'un atteggiamento borghese matrice dei totalitarismi novecenteschi? Non fu chiaro London oltr'un secolo fa, non lo è Marcello che non disambigua mai abbastanza Martin Eden: oltre all'evoluzionismo darwiniano di Spencer con la sua selezione naturale applicat'alla società umana, forse Stirner, Proudhon, Nietzsche? Pure la sua caratterizzazione del protagonista è sospesa fra eroe ed antieroe, così come la sua autodistruttività è indecisa fra spleen baudelairiano, decadentismo dannunziano ed enfasi teatrale. "Insopportabile e insopportabilmente datato"? Più che altro, "insopportabile e insopportabilmente irrisolto e contraddittorio", e non il legame fra Martin ed Eden, bensì la figura in sé di quest'ultimo.
Un "noir-rion" (Sanità) con fotografia, scenografia, costumi di prim'ordine. Anche Servillo è ben diretto e sembra recitare invece di portar'in scena la sua maschera. Però a cosa serve un epigono di Frank Miller nel 2019? Igort esordisce alla regia ribadendo alcune sue straordinarie qualità, tuttavia resto convinto che si sia perso fra l'89 e il '90, quando si mascherò d'artista vulcanico, autore poliedrico e multivalente, mentr'er'un talentuosissimo Calimero cagliaritano in furiosa cerca di sistemazione ancor più e prima che di riconoscimenti o notorietà internazionali. La sua base creativa er'a Bologna, vivev'a Parigi, insegnava Disegno alla scuola d'alta moda di Milano, lì ha collaborato col "linus" d'ODB, ha inciso 3 dischi vergognosi anche solo come parodie. Ma è appunto a Bologna che sforna i suoi capolavori, le tavole per la rivista "Fuego" èdita tra febbraio e luglio 1990. Si può entrare nella storia del fumetto con appena 6 numeri? Lui ci riuscì e meritoriamente, con dei personaggi transumanisti, iperpalestrati fallomorfi grondanti fallimento in desolati campi totali e capaci d'esprimersi giusto col turpiloquio d'Hopper in "Blue Velvet" (1986). Cronenberg e Lynch assieme in ogni singolo disegno, "càzzo càzzo càzzo, lungo martirio alla nuova carne". Igort sfonda e dal '91 pubblica per case editrici nipponiche, "Fuego" termina la sua ragion d'essere quale trampolino di lancio e chiude. D'allora il cagliaritano non ha più prodotto nulla di paragonabile, fra rielaborazioni e ristesure impiega circ'un decennio per ultimare "5 è il numero perfetto", opera di finzione sul camorrista Peppino Lo Cicero che nel 2003 vinc'il premio come libro dell'anno al Frankfurt Bookfair e che col tempo è diventato il suo "graphic novel" più popolare, amato da John Woo, Takashi Miike, Johnnie To. Eppure l'Igort non derivativo bensì d'un'avanguardia estrema e cristallina, visionaria e malata, è altrove, in quella manciata di numeri forse reperibili su eBay.
Purché non si confonda l'essere aiutati a sopravvivere grazie al Boss con l'avere l'esistenza salvata da Bruce, dalla musica, dall'arte o da chissà cos'altro.
Se questo significa far rider'e riflettere, "Non ci resta che piangere". "Scherza coi santi e lascia stare gl'immigrati", "s'accend'e si spegne come le luci di Natale", il loro film più 'nato stanco'.
"Del grande Leonardo architetto non c'è una sola architettura, del grande Leonardo scultore una sola scultura, del grande poeta e trattatista un solo verso: non c'è niente, sono tutte ipotesi non realizzate. In tutto questo, lui ha un'impotenza sostanziale alla conclusione [...]. Questo talento dell'incompiutezza gli dà una condizione speciale, quella per cui Leonardo è il genio dell'imperfezione" (Vittorio Sgarbi). Un'idea ch'il documentario esprime con la frase "Ciò che so è molto, ma ciò che non so è troppo" e con nessuna traccia iconica: carenz'imperdonabile per un film.
PS: ciambella=[who]donut/dunit.