Potrebbe spiegarci in cosa consisterebbe la differenza tra fato e destino (anzi, v'includa pure il δαίμων eracliteo del frammento 119 DK)? Vi son'autori che dissentono violentemente dall'affermazione: "Il fato differisce sia dal destino, che riguarda le sorti umane e al quale si concede di essere modificabile, sia dal concetto di determinismo (connessione necessaria ma immanente delle cause tale da poter essere decifrata razionalmente)." M'auguro che Lei ne fosse già a conoscenza.
Val'anche per gl'atei: potrebbero raggiungere la possibilità d'ottenere la salvezz'assoluta, eterna, massimale, cioè quell'in cui ogni negatività pregressa verrebbe definitivament'eliminata, ma sarebbe proprio il ricordo ancor'intatto di quella negatività a costituire un insormontabile ostacolo per accettare un simile traguardo.
Ciò fornirebb'un'inaudita esegesi della kafkiana "porta della Legge": l'impedimento non starebbe più nel guardiano o nel presunto legislatore, bensì ormai in noi stessi e nella nostr'esistenza martoriata. Insomm'un loop causale: per saper accogliere la Redenzione bisognerebb'essere già redenti.
Sig. "Grand'Anima" aka "magnanimo", il mondo l'abbiamo sempre cambiato, è il cambiarl'in meglio che finora c'è risultato improbo.
Ossequi alle Sue ceneri.
Ciò fornirebb'un'inaudita esegesi della kafkiana "porta della Legge": l'impedimento non starebbe più nel guardiano o nel presunto legislatore, bensì ormai in noi stessi e nella nostr'esistenza martoriata. Insomm'un loop causale: per saper accogliere la Redenzione bisognerebb'essere già redenti.
Ossequi alle Sue ceneri.