Sereno come sempre, solo una smorfia sul viso, nel vuoto guardavi, senza capire, seduto su una sedia con il tuo strano sorriso, avevi dato sfogo alla tua rabbia, e quella donna, dolce che amorevolmente ti assisteva, più non rispondeva. Tutto intorno sangue e disperazione, tu con quel tuo strano sorriso, guardavi senza alcuna emozione. Avevano fatto in tempo a dichiararti pazzo, non avevano ben valutato, ad un certo punto ti sei alzato, ti sei lavato, quel coltello tra le tue mani brillava e lo guardavi ancora, ti sei sentito un Dio, forse, almeno per un'ora.
So un soggetto affetto da superallergia, la corpa nun è mia, ma de tutta l'aria infetta, pe sta cosa so costretta, a sta attenta a magnà e po tutto er resto. Un giorno me ritrovo piena de bolle, un giorno gonfia come un pallone nun posso prenne sempre er cortisone, perché a un danno ce n'aggiungo n'antro. Mo, li dottori de tutta sta questione, se stanno a fa grandi, chi me dice che la porvere fa male, chi me dice de levà la frutta, chi me carica de medicine, a loro che jè frega, pe me vedè distrutta. Io penso che nun me la sanno spiegà tutta, intanto su de me ce fanno li esperimenti, nun sarà che so allergica a sti fetenti, nun ce capiscono più niente, e intanto vado avanti, tra bolle, asma, raffreddori e gonfiori, mo de anni ne so passati tanti, voi vede che quarche giorno che me stanco, li manno a quer paese tutti quanti...
Se sera sarà, di feste ognuna, in cielo una stella brillerà, dove potrai sognarmi, se sera sarà, canterai canzoni, avrai emozioni, ed ognuna per amore vivrà, se sera sarà scoprirò la luna, da quella nuvola t'inventerò una favola, per farti quì dormire, se sera sarà e ti sarò accanto ancora, dopo questo incontro vorrò darti un bacio, abbracciarti forte, del mio cuore aprirti le porte solo allora se sera sarà... sarà sera.
Sopra il tuo volto la vita ha disegnato, profondi solchi, le tue mani forti e corpose, son diventate come foglie, c'è disegnato il tempo e le stagioni. I tuoi capelli brillano alla luna, mentre curvo leggi su quella poltrona, ora non esci più, le lunghe passeggiate, in riva al mare, curvo sui tuoi dolori, non assapori... Amore mio da quando mi hai abbracciato, amore vero, mai dimenticato, parlo piano ma tu mi puoi sentire, stringi la mia mano, ma non mi riesci bene a capire, i tuoi sensi non hanno più attenzione. Sei stato la mia bella stagione, ed ora posso confessarti senza alcun timore, che t'amo e t'amerò anche quando più non ci sarai, nel mio cuore posto avrai e nella mia mente, tutto quello che mi hai dato ampiamente, restituirò.
Era rimasta su quel letto, ed io la guardavo, ero bambina e già la morte conoscevo, sopra la coperta ricamata c'era la mia mamma addormentata. Mi raccontarono che il buon Dio su in cielo, aveva bisogno d'angeli e l'aveva chiamata. Le hanno posto un velo, su quel viso smunto, ero stordita, non riuscivo a capire, perché non la potevo abbracciare, farmi coccolare, continuavano a ripetermi, non la svegliare. Io volevo solo la mia mamma, perché il buon Dio non me la restituiva, visto che anche a me serviva. Ora odio quel letto ed ho paura, continuo a non capire, ripenso sempre alla mia mamma, la sera non riesco a dormire.
Mi guardavi, con gli occhi stanchi, chiedendo aiuto, a malapena riuscivi a camminare e ti meravigliavano i tuoi larghi fianchi. Una sensazione per te sconosciuta, che non potevi contenere, e cosa doveva accadere mi chiedevi muta. Una mattina ti trovai sdraiata, sopra i cuscini che ti avevo preparato, finalmente avresti capito, che quel fastidio che avevi in grembo, premendo sarebbe uscito. Un lamento, poi più niente, l'istinto è più forte e poi l'amore, tutto da sola hai fatto, mentre ti stavo a guardare, ti accarezzavo per farti sentire che c'ero, pronta ad aiutarti nel tuo sogno vero, 7 meravigliosi cagnolini, che gemevano come dei bambini. Non ti sei allontanata nemmeno per un momento, assaporando con orgoglio e soddisfazione, quello che t'era parso così strano, forte batteva il tuo cuore, mentre continuavo ad accarezzarti con la mia mano.
Avevo dedicato quello che non era giusto, a te, che non hai mai capito, e carezzavo un sogno, ormai finito. Mai ho voluto credere, a quelli che di te sparlavano, preferivo non sapere, l'amore purtroppo chiude gli occhi, e dà retta solo al cuore, ma adesso non credo più alle favole, sono cresciuta e non sogno più, sì, ho fatto un grande errore, mi è tornata la voglia di volermi bene, di dare a chi lo merita, e sai bene che non è giusto concedersi allo stesso, che ti uccide umiliandoti.
Più volte i suoi segnali, sempre più espliciti, per una volta lo voglio fare, tanto non lo saprà nessuno, che c'è di male si trovò tra le braccia, mentre pensava, di un uomo che a malapena conosceva. Scoprì tutto un mondo, nello stesso giorno, forse qualcosa non andava, nella sua vita quel brivido, mancava. Tornò a casa appagata, più volte aveva provato a dare un taglio al suo passato e così quel peccato su per quelle scale, tutto sommato non era stato poi male. La prossima volta chiederò almeno il suo nome, non mi dispiacerebbe doverlo di nuovo incontrare. Da quel giorno và su e giù per le scale, con la speranza di vederlo tornare.
Per te, che ami vivere sognando, avrei rinunciato al mio mondo, dormito in un letto di foglie, mi sarei fatta cullare dalla brezza del vento, avrei coperto il viso con terra e fango, rotolando nel gelido ruscello. Con te in una casa in mezzo al bosco, cose che non conosco, a piedi nudi, correre nei prati, sarei impazzita per la decisione, di lasciare tutto e andare via, si con te che sei la mia passione, non mi sarei pentita, son cresciuta e diventata donna sicura in ogni mia decisione. Tu sei l'uomo che ho sempre sognato e non mi ha mai deluso, l'uomo che ancora porto nel mio cuore, unico e splendido amore.
C'era na vorta un tipo morto strano, annava a spasso tutto sbilenco, con na bisaccia e n'ombrella in mano. Tutto dolorante, piano camminava, e spesso se fermava pe la via, la gente lo vedeva e na monetina jè dava, perché porello grande pena faceva. A tutti sorrideva, ma se vedeva che nun ce la faceva. Un giorno da sopra un barcone, na signora se affaccia e lo chiama, viè qua che te riposi, te lavi e magni, sempre quarcosa ce quadagni, viè su che con un ber vestito e n'antro paro de scarpe te ce cagni. Mia cara signora, disse er poverello, le scarpe mie so la mia consolazione, so strette e vecchie e me fanno soffrì, ma quanno che me le levo a sera, visto che nun c'è pe me nessuna considerazione, posso anch'io tirà un sospiro de sollievo... e pur'io me prendo er mio momento de soddisfazione.