Liliana, cugina di mio padre, stava tanto male. Una donna d'altri tempi, forte, dignitosa, semplice nei gesti e in ogni cosa. Come sempre lei sapeva fare e dire, con la saggezza di chi sa il giusto amare. Ogni giorno da me passava per scambiare una parola, a prendere due caffè amari, a fare due chiacchiere con mia madre, come vecchie comari. Fino alla fine ti sei fatta forza, e su quella sedia sei mancata, una cara amica, anche, delicata, per niente invadente, la tua calma, ora, era solo apparente, dentro portavi il tuo dolore, non per la morte, ma per il tempo che ti avrebbe dato per vedere quel bimbo (il tuo primo nipote) che di lì a poco sarebbe nato. Questo il rimprovero al buon Dio che l'ha amata, perché proprio a lei questa grande soddisfazione non l'hai data?
Un giorno cominciò l'inferno in questa casa, chiusa nella mia stanza, ero bambina, non mi sono resa conto, il mio papà aspettavo, in tavola era pronto, cenavo sempre con lui, mi teneva sulle sue ginocchia, mi copriva di baci e forte mi stringeva, il suo piccolo amore mi chiamava. Quella sera da solo strillava, contro mia madre, la picchiava, con le manine strette sulle orecchie, non volevo sentire, tutti quegli urli, volevo nascondermi e sparire. Ho avuto tanta paura, e volarono via tutti quei piatti che mamma aveva posto con cura, non era più lui, maledetto bicchiere, non riconoscevo quella voce, non era lui a strillare. Si accasciò finalmente sul divano e si addormentò. Mamma strinse la mia mano, piangendo mi disse: tutto passa amore vedrai domani, di nuovo è il tuo papà. Ma non si riusciva a controllare, l'aiutai a pulire la cucina ed arrivò mattina. Papà si svegliò, come non fosse successo niente, mi baciò, come faceva sempre ero tranquilla, ma incrociai gli occhi di mia madre ho visto il terrore... mentre si faceva sera.
Nun pensavo che n'avvessi scritti tanti de sonetti, so proprio carini, tutti l'ho letti, armeno ce capiamo tra de noi, che morti sentimenti sono affini. Semo du signore co la gioia ner core, (coreggi se sbajo) Ce volemo divertì dicenno ar monno come la pensamo, forse che ce sbajamo, ma assai ce cojemo. L'unica cosa che nun me va a genio E pecché ce l'hai tanto co sto governo, lassalo fà, tanto alla fine da quella matassa se dovrà sbrojà, a noi che semo arivati a quardà più in su de tutti sti broj che ce frega più, noi dovemo pensà ad annà avanti, che nissuno te viè a dà a magnà, se fregassero sti politici e tutti quanti.
Mamma mia, m'hanno dato stà condanna, er core mio se stà a allargà e s'è messo a fa er ballerino. Se nun me curo m'ha detto er mio dottore, la malattia me se magna e a breve deo da sperà che ce sia un core novo da poté trapiantà. Ma comme se fa a pregà che n'antro crepi, pe te dà subito er suo core, solo a pensacce imprechi, e se fosse un tuo fijo, come te metti... come te lo metti? Sai che te dico a dottò, famolo funzionà finché c'è vita, io pe mia fortuna l'ho vissuta proprio bene, ce so tanti giovani che hanno bisogno, nun me va de approfittà, in fonno grazie a Dio ce so arrivato a ques'età.
Col nasino schiacciato contro i vetri, ti stavo aspettare, poi tutto si appannava e non riuscivo a guardare. Mi avevi promesso che saresti venuta presto, ed io aspettavo coi i pugni chiusi, un giorno mi dovrai spiegare mai te lo chiesi, perché sono quì e mi hai dovuto lasciare a piangere e a gridare, anche tu piangevi, ma cos'altro potevi fare? Non ero io, della tua vita, la cosa più importante, il tuo grande amore? Me lo ripetevi sempre, stringendomi sul cuore. E non sei più venuta, tra le lacrime mi sono addormentata, come mai, nemmeno una telefonata... Cos'è che ti costringe a starmi lontano, sono cresciuta e purtroppo l'ho capito, dal troppo rossetto che ha macchiato il tuo viso, al sorriso che ormai s'è spento, dalla vergogna che hai nel guardarmi negli occhi dalla paura che hai quando mi tocchi. Mamma, non condanno te, ma questa società che nonostante le tue richieste, non ci ha dato nessuna possibilità.
Lo sguardo perso, davanti all'altare, non vedevo oltre, lo immaginavo già in cielo e di lacrime un velo, c'èra nella mia testa l'ultima telefonata: corri al suo capezzale, papà stà male. Più volte ho visto il suo dolore, ma poi passava, questo peggioramento non s'aspettava, era una quercia vera. Ma un triste autunno smise le sue foglie, non ci fu più primavera, vedevo i suoi colori, erano cambiati, e rimase chiuso ad aspettare che finisse l'inverno ma i suoi occhi rimasero addormentati. Troppa fretta avevo, nel venire a salutarti, convinta che quì ti avrei comunque ritrovato e rimandavo sempre, quello che dovevo dirti, non trovavo un minuto per sentirti. Troppo tardi, forse ora mi sentirai, non ho saputo dirtelo, con questo dolore mi mancano le parole, mi mancano i tuoi abbracci, i sorrisi la sicurezza, la sentivo ad ogni tua carezza papà mio caro puoi avere la certezza tanto ti ho amato, non sono riuscita a dirtelo.
Con te berrò, quest'ultimo calice, sa di fiele, ma non dirò niente, ti starò a guadare, farò come te, che hai saputo fingere, guardandomi negli occhi e farmi male. E stavo ad aspettare, tu mi chiamavi: amore sai faccio tardi, vai pure a dormire, ed io stupida ti stavo a sentire. Ma un giorno, quelle frasi sul telefonino, quei messaggi, al mio topolino... Non ti dico cosa ho pensato, ma mi è bastato per mandati via. Tutta la vita ti ho dedicato, mi rimarrà la rabbia per averti amato.
Se sé presa mo sta decisione, de tajà er baggette de la scola, è pecché c'è poi na ragione. Troppi se so parati er culo (parlo delli politici) Facenno assume questo e quello, senza bisogno arcuno. Mo è arivato er momento de li taji, troppo è durata sta bella situazione, tra programmi fittizzi ed intrallazzi, me dispiace, ma mo so cazzi.... A chi tocca arroscia! Se la pjiassero co tutta quella gente, che pe esse votata nu ja promesso niente, mo se troveno, cor posto, a trabballà pe avè dato credito a quelli là.
Caldi colori, di nostalgie passate, foglie ingiallite il cielo piange qualche lacrima d'amore, una leggera brezza, sussurrando fra gli alberi, accarezza. Odor di terra bagnata, odor di mosto, e di quel fiore rimasto.... L'autunno è come una donna che si concede, con i suoi molteplici profumi e le sue braccia protende al cielo, offrendole al vento, che ad ogni sua parola, cede. Tutta si spoglia e bagnati ha i fianchi, carezzate da edere odorose e dalle ultime rose. Stormi di uccelli in volo, rispondono al saluto, disegnando strane forme in cielo, e insieme gridano a tutta la natura coperta da una leggera foschia, come un velo ad un altro anno, alla prossima avventura.
Tienimi stretta, stretta al tuo cuore, presto dai vieni senza indugiar, la notte grida, è nostra amica lei è la sola che può perdonar. Dai presto vieni... tienimi stretta, tienimi stretta, stretta al tuo cuor. Dove conduce, questa bugia, dove ci porta per farci sognar... Sarà la speme a trovar la via, in questa stanza, con giusta cura, angusta e scura, senza parlare, senza sentire, parla l'amore, spenger la luce, poi tutto tace, parlano gli occhi, solo d'amor. Godiam degli attimi, che ci concede, dolci carezze, dubbi e incertezze non siano gli ultimi, questi sospiri, godiam degli attimi tutto l'ardor. E caldi baci, non siano gli ultimi, perdon al cor speme e dolor, perdona al core, non siano gli ultimi, vano impedir questo suo ardir.