Siamo sognatori, poeti, giocolieri, pagliacci con maschere e trucchi, poi semplici uomini, persi tra domani e ieri, tra mucchi di rime e parole che fanno sognare, fanno piangere, fanno pensare. Scriviamo per il nostro piacere, la nostra è voglia di comunicare, spesso denunciare, cercar di capire. Per chi ci vuol seguire, si troverà a giocar con le parole, confidenze, peccati, sogni inventati, desideri avverati e no, concetti sballati, passioni controllate, ed una serie di bugie, per i più sbadati. La voglia che ci preme è dentro, non si può contenere, siamo forse capricciosi a volte o eterni bambini, ma questo nostro gioco di parole è un bisogno per sentirvi vicini.
Nella mia mente, così povera, s'insinua il dubbio della tua Certezza, e prego a sera chi non conosco, come un vecchio amico, lontano, forse la solitudine, la disperazione, vuole che tu ci sia, ma nel dolore, se tu m'ami, com'è vero, non mi sei vicino. Vorrei essere un bambino, che crede ingenuo ad ogni cosa, anche se mistero, è abituato alle favole che fanno sognare, ed allora, tu sei il grande mago, il signore del mondo tutto puoi avere, fare, sei il solo a comandare, perché allora permetti il male? Bambini che non devono morire, donne ormai stanche di soffrire, mari che mescolano onde col sangue, tempeste e terremoti su terre già martoriate, su popolazioni malate, punizioni ingiustificate, quanto ancora dobbiamo subire la tua collera, quando ci perdonerai e senza alcun dubbio ci farai credere?
Mi cercasti un giorno, con una telefonata: perché non ti fai sentire, dove sei andata? Non avevo più risposto, e non pensavo che dopo tanto tempo, ancora nel suo cuore avevo posto. Accettai d'incontrarlo, ma nell'anima, rabbia e rancore, per chi vede distrutto per sempre un amore. Sotto il vecchio lampione, del portone di casa, mentre pioggia scrosciante, con sorriso suadente: entra pure, finirai per bagnarti, lo volevo affogare, quel fetente! Che mi aveva distrutto la vita, finii per cedere alle sue insistenze, come sempre davanti ai suoi occhi, mi son persa tra baci e carezze, dov'era finita tutta la mia rabbia e le mie certezze. Giurai a me stessa, che dopo il temporale, l'avrei scaraventato giù per le scale, ma è ancora qui che scende e sale che stupida che sono... mi piace farmi male.
La mano su quel viso provato, amore sono qui, non ti ho lasciato, provo ad accarezzarti, a baciarti, ma non mi stringi più, non mi chiami più mamma, non mi parli più, non posso far altro che guardarti. Amore sono qui, quanto tempo è passato, non aver paura, sei sempre il mio bambino, ricordi la favola dell'agnellino, che tanto ti piaceva, te la racconterò sempre e ancora, finché mi starai a sentire. Amore sono qui, da questa stanza non riesco ad uscire, voglio essere la prima a vedere i tuoi occhi, che senza parole mi riuscivano a capire. Maledetto quel giorno, e quella moto, bella da morire, si da morire, per i tuoi 18 anni, ed ho rischiato d'impazzire, ancora la torta con il fumo delle candele, non ho saputo frenarmi, guarda giù dalla finestra amore, c'è il tuo regalo parcheggiato, non mi hai più sentito e sei scappato. Amore sono qui, torna dalla tua mamma, fai presto. Ma non sei riuscito più a sentire.
È l'alba, dalla finestra sento le campane a festa, c'è una piccola chiesa, posta sulla collina, non si riesce a vederla quando sorge il sole, quel luccichio ammanta di luce tutta la torrina, dove è posta la campana ed una piccola croce. Ogni mattina s'invola su nel il cielo una preghiera, fatta col cuore e di promesse sincera, va fino alla chiesina, insieme al profumo della mattina. L'erba brilla di rugiada, Pasqua è vicina, le rose e i biancospini, adornano la via, che conduce alla casa del Signore, sembra una cosa fatta apposta, ma i raggi ci conducono alla meta, basta seguire dove sorge il sole, senza alcuna sosta.
Aveva dipinto di fiori le pareti, rosa come la bimba che aspettava, già l'aveva conosciuta, ed ogni giorno che passava, accarezzando il suo sogno, sperava. Un giorno svegliandosi, sentì qualcosa che non andava, e la corsa in ospedale, stava male, stava tanto male, delle voci confuse, mentre pregava: un cerchiaggio, no, facciamo un monitoraggio, tutte parole assurde che lei non conosceva. Si trovò, dopo un lungo sonno, in una camera, era sera, le facce tristi di chi le era intorno, chiaramente le annunciarono che quella bimba più non c'era, Nel cuore impazziva il dolore, nessuna lacrima, ed il suo sogno allora volle vedere, per l'ultima volta e dargli un nome, sì sarai sempre parte di me, sulla tua tomba scriverò amore.
La mia vita è stata come un carnevale, di maschere, dolci in quantità, coriandoli colorati, stelle filanti, sorrisi e pianti. Qualche delusione, tanta passione, una grande soddisfazione, un ostentata sicurezza che mi ha dato forza, nell'agire. Ho avuto doni alla fine, quelli che desideravo, quelli che non si comperano, ed li ho accettati contro tutti quanti. Sapersi accontentare, della festa, dei regali, ringraziare, qualche volta non si riceve quello che si vuole, comprendere. Per me è stato tutto un sogno, che vorrei rifare per mettere a fuoco anche quei momenti che non sono riuscita a ricordare.
Una pietra, poi un'altra, di rabbia, di paura, di ignoranza. Pietre scagliate senza capire, tanto sangue, senza intervenire, quale sarà la prossima a morire? Una pietra ancora, una speranza persa per una promessa fatta con il cuore e questa folle corsa che ci rende insensibili, mentre laggiù donne piangono e tremano, con il desiderio di essere invisibili. Alla fine sotto tanta polvere, non s'ode più il gemito, solo un corpo inerme, ucciso dall'amore.
Dall'America, mo se so inventati, sta festa tanto arrinomata puro l'Italia ogni anno s'è aggregata, nun ce saremo troppo allargati; ma a me me pare l'urtima stronzata. Metteno le zucche in bella vista, le svotano, le pittano, tutti se vestono da streghe, come se nun ce l'avemo già e a certe zucche ce mettono un cerogeno pe le fa illuminà. Co tutte ste zucche vote che ce stanno, tra quelle vere e finte me confonno, nun s'arriconoscono pe certo co tutti sti cervelli che se so fumati, valli a ritrovà dove so annati. Doppo sta demenziale festa, tutti devono rientrà nei ranghi, ma la mattina pe fa funzionà er cervello, so tutti stanchi.
Davanti a me, i tuoi occhi profondi e neri, mi aspettavi, nonostante tutti quei no, non troppo convinti. Mi allontanai dalle tue carezze, ma con la luna piena i tuoi occhi brillavano e lasciai morire le mie certezze. Stringendomi sotto quel cielo, tutto divenne favola, mi dovrò svegliare, non ci voglio pensare. Le tue mani sulla mia pelle, con la paura di chi poteva vedere, ancora di più, di più quel desiderio, di una mela proibita, e la voglia di vita. E la luna perse chiarore, sulla nostra sete amore, ci trovò abbracciati su quell'erba umida una tiepida alba, senza parlare, ci allontanammo le mani si stringevano a non volersi lasciare, ma come giustificare quel non tornare, forse colpa di una luna piena, la voglia improvvisa di amare?