Una falce assassina ha reciso quel piccolo fiore. Un vento l'ha preso e portato con sé lontano lontano. S'è posato su un prato; è volato, un bambino l'ha preso scambiando per bianca farfalla. Ha aperto la mano ed il vento l'ha portato con sé lontano lontano. È volato nel cielo, liberando i suoi piccoli semi, spargendoli ovunque su un prato dove terra li ha accolti, curati e nutriti. Sono nati più forti nei cuori, tanti piccoli fiori.
Soffro, senza poter gridare, soffro con gli occhi, soffro con la pelle, gocce fredde per il gran dolore nessuno mi sente, nessuno mi capisce. Ho paura, non potrei mai farlo da solo, vi prego, spegnetemi la luce.
Sono lì dietro ai vetri, come tanti fantasmi che scrutano fuori, con occhi ormai stanchi. Spauriti, smarriti, aspettano ansiosi, chi con grande affanno trascina i suoi passi fin quì. Dovere di qualche minuto, a chi vita intera ha donato. Presi da tempi veloci, amore non più nelle corde, assorbiti cuore e ricordi, lasciano che vita concessa già a noi, si esaurisca senza più forze, tra letto e sospiri. Ricorda! La giostra poi gira.
Un abbraccio, un bacio e tutto risponde d'istinto, è amore che genera vita. Poi onda che preme nel grembo, ti accorgi che è un grande momento, l'amore ha fatto un miracolo, ti cambia la vita. Il tuo corpo a scrigno si chiude, per difenderlo da tutto, e nascondi i tuoi sogni gelosa, vorresti gridare, ti sembra diversa ogni cosa non pensi che a lui. Quel frutto in te cresce lento e forma le forme perfette e quando con grande dolore, ti preme come onda sul grembo, ti grida e vuole sapere, vuol conoscere la sua nuova vita. È curioso, bagnato e affamato è un pulcino nelle tue mani, con dolcezza lo poni sul cuore, quanta gioia, non ha eguali quest'amore. Poi ti scordi il grande dolore, a difenderlo ci sei solo tu.
In terra lontana, c'è un bimbo, aspetta il tuo amore, è smarrito, affamato, cerca te. Sono figli del mondo, con un unico destino, nessuno li sente, nessuno li vede, sono soli a morire. Ma c'è un posto nell'anima nostra, che avverte questo grande dolore, le grida di chi ha bisogno d'amore, la disperazione di chi sta male, di chi ha fame, di chi ha sete... adottare un solo bambino è dovere di tutti, quanto spreco facciamo, se pensiamo che al mondo, con un solo soldino in terra lontana, salviamo un bambino. È speranza di vita, quella vita dipende da te.
Scavi con fatica solchi, curvo sull'arida terra, sperando in dolci frutti. Scavi e la tua pelle conta le stagioni. Curvo, spiando i germogli e sperando in un cielo benigno. Ma solo acquazzoni, che spazzano via i piccoli semi, non li fanno attecchire, e tu curvo e avvizzito dal sole e da gelidi inverni, continui a scavare... a sperare.
Aspettavo una telefonata, ricamando una M ed una A, così l'avrei chiamata, come la mia mamma, tanto ho aspettato, ed è arrivata. Una bambina dal viso paffutello, con riccioli scuri, da cullare, da coprire di baci, da strapazzar d'amore. Gli raccontavo tante favole, dondolandola sulle nuvole, sentivo forte dentro me, il bisogno di esser mamma, per dare pace al mio cuore. Ho dipinto di rosa le pareti, e quante bambole, quanti orsetti ho appesi, tutto per dare sfogo alla mia voglia di sentimi donna, appagata da un suo semplice sorriso, amata. Quanti pizzicotti su quel viso, come era dolce addormentarmi a lei vicino, quando poi mi chiamava: mamma voglio solo un bacino.
Sprofondare, dove non ha più senso il come e il dove e tirerò meco, quelli che verranno, e non riusciranno a capire, anche quelli che vorranno aiutarmi ad uscire. Per ora è così, lasciatemi stare, sono incazzata da morire.
Immobile, seduta su una pietra, dinanzi a diroccate mura, avea lo sguardo perso, di chi aspetta invano. Un fazzoletto nero, le incorniciava il viso, le mani incrociate in seno sulla lunga gonna, sgranava il rosario e pregava. Più nessuno la notava, la vecchia, sotto un pergolato d'uva, cresciuto con lei, stava. Nelle crepe del muro, profonde come le sue rughe, ora, radici d'edera avevano trovato dimora, lei continuava ad aspettare, con gli occhi persi e stanchi, continuava a pregare. È andata via, con la speranza di veder tornare...
Chi se ricorda la Cassino antica? Scennevano da Rocca, case a valle, era un presepio in mezzo a quer ber verde, un giardino de tanti anni fà. Parchi e palazzi, Chiese e piazze, vecchi terrazzi pe poté parlà. Montecassino ce guardava, lucente ar primo sole, l'acqua, ricchezza de tutta la gente, sgorgava dar monte, na vecchia sorgente. Pulita brillante, zampillo potente, co forza incontrava er Gari più in là. Co tutta quell'acqua che usciva giuliva, der Tevere memori, potevamo rifà. Ma co gli interessi dei vari padroni, dei vari terreni, nascosta hanno l'acqua, deviata, sparita, nun se sa che via ha potuto da fà. Dappertutto case, dove nun se poteva e anco sull'acqua che più nu scenneva. Cassino distrutta...? ma da quale guera, quella dell'omini che l'hanno rifatta co tutta sta fretta pe se sistemà. Ce hanno riconsegnato na brutta impressione, che gran confusione e quanto cemento, l'acqua nun score, senza terrazze nun c'è più occasione pe poté parlà. Comme se stava bene prima, tra le vecchie comari, mo, so sti quattro compari a volè comannà. Povera città!