Il desio di te m'implora, ove il core pone cura, dove l'alma tutta grida, dentro, con voce sicura... E d'amor sarà morir, sì d'amor, la notte e il dì, spingo i passi... dove sassi dove sassi insanguinano i piè. Non si deve, non si puote, quest'amor non m'appartiene, ma il mio cor non si contiene, tutto spinge, tutto spinge dove può. Ma il mio cor non si contiene tutto spinge, tutto spinge come può. Il mio freno, non ha eguali, il mio fianco è ormai ferito e da quando e da quando sei partito, dentro me, sarà pentito, questo anelito, quest'anelito del cor. Solamente in te speranza, solamente in te speranza amor... Sol ferir di tua presenza, gran dolore la tua assenza e vengo a dir... sì... come Aida tra le tue braccia morir. Sì... come Aida tra le tue braccia morir.
Nella regola, onore non esiste già più, e la lama spezzata, su quella stele insanguinata che grida vendetta tra lacrime e lutti, ci vedranno distrutti. Non aver paura ora è impegno di tutti, ma è più forte a volte la forza di chi non ha ragione e la lotta si fa dura, non parlare, non dire, questa è cosa saputa, perché il rischio è morire.
Cadere e farsi male, per quel niente da seguire, non avevi mai visto il mare, cosa cerchi? Oltre il confine è sempre uguale, cosa speri, cosa sogni? Tu non sai quanto ti ho desiderato ed ogni giorno aspetto che torni. Adesso spero che cresci, dovrai pur pensare cos'è più giusto fare.
Avevano detto, dopo un gran consulto, che l'ombra davanti ai tuoi occhi, era normale, già è tanto che vede offuscato, a te dava modo di non farti poi male. Quando c'era da veder chiaro, o veder niente, quando ti sentivi addosso la curiosità della gente, tutto si faceva scuro e cercavi di scoprire solo il vero. Vedevi più in fondo, sicuro. Han dato luce ai tuoi occhi, distruggendo quelli di chi piange il donato, e più non spera, tu avevi paura, con quella benda nera, ora le cose le dovevi veder chiare, non potevi imbrogliare. Hai aperto i tuoi occhi piano piano, mi raccomando, non piangere, stringevi la mia mano, ti hanno detto di guardare, dove non c'era luce e di girare. Volevi togliere quel velo, che ti impediva cielo e mare, ma a quale prezzo... sei rimasta a pensare.
Perdona mamma, sono pentita per la carezza che non ti ho fatto, per il bacio che non ti ho dato, anche se dentro voglia avevo, capisco ora che ti è mancato. Per le notti che non hai dormito, per le lacrime con cui hai lavato, ogni mia piccola ferita, ogni mio grande peccato. Perdona ancora, per tutte le volte che i tuoi consigli, non ho seguito, perdona quante volte ho tradito. Scusami ancora, ma dentro al cuore, avevi posto senza pudore, ma questa vita che va di corsa e l'inesperienza non ti fa pensare. Ora lo giuro, mai più farò, sembro bambina ma forse è vero, sono pentita, lo sono davvero. Per le parole che non ti ho detto, per la tua ansia nell'aspettare, per tutte le cose promesse e non fatte. Quando contraria a tutti quei no, io lo facevo senza pensare ed ho pagato senza dormire, mentre tu zitta rinunciavi a capire. Cosa mai scatta in questa testa, quando si è giovani, mai niente resta la delusione di noi bambini, vogliamo crescere senza confini. Perdona quando ho provato a volare e sono caduta disperata, ora sò quanto mi hai amata... tra le tue braccia mi sono addormentata.
Non avevo mai visto morire, ero bambina, in riva al mare, ricordo solo tanto sole. Improvviso tra le onde, s'ode un gemito, da lontano, misto a un pianto, ed il grido di un gabbiano, e di colpo il mio castello, appena finito, fu distrutto, sparito, da tante persone curiose, calpestato. Io piccina, rimasi a guardare, il mio sogno distrutto dal mare e cominciai a piangere e a strillare, sentivo solo correre, per soccorrere, e le acque s'agitarono, e diventarono bianche, riportarono a riva il corpo di un bimbo già morto. Incredula e disperata si avvicinò una donna, non riusciva a parlare, ripeteva sempre: me lo sogno ancora, svegliati amore, ti prego non dormire.
Er foco ner vecchio camino, in tavola un bicchiere di vino, un arbero tutto spennato co du palle e un filo colorato. La tavola co na tovaja grossa, se copre er buco con na rosa rossa, ricamata alla mejo pe nun fa accorge niente. Quarche stella dar colore sbiadito, quarche dorce che è sempre gradito. Se prenne er servizio de piatti, dalla vecchia credenza, se sporvera alla mejo, nun se usava da Pasqua. E cor naso sui vetri appannati, a guardà de fori, li anziani genitori, aspettano la loro famija. Eccoli: genero, nipoti e fija, mo è festa. Magnamo, che tutto se fredda, la polenta cor profumo d'antico, er tacchino alla mejo farcito, è un Natale poverello, ma bello, bello, bello. Le castagne, che bone, e quei dorci da tempo riposti. È sera inortrata, la cena è finita, tra lacrime e abbracci... se torna a guardà dietro ai vetri. Quanno viene Natale? Startr'anno...
Quando tornavo dal collegio, dopo un anno di scuola, ricordi di dolcezza, profumo di salsedine, amore e tenerezza. Mio zio carissimo, mi hai insegnato a guardare il mare, oltre il suo confine, le nuvole ed il cielo, mi hai insegnato a pescare, e raccontavi favole di maghe e marinai. Umile come solo un grande, poteva essere bontà e pazienza, tue grandi virtù, un gran maestro mi aspettava. Mio caro Pipo, così io ti chiamavo, sei la mia torda tu mi rispondevi, ero il tuo uccellino gracile da nutrire, nel corpo e nello spirito. Artista e gran poeta, animo nobile, sicuro riferimento. Vorrei tu fossi ancora qui, sei stato tutto il tempo, il mio grande insegnante, di vita e sentimenti. Basterà questo fiore...
Avevo gli anni di chi non è niente, di chi risponde senza capire, di chi consigli non vuol sentire e si sente grande, grande da morire. Provare tutto il proibito, nonostante quello che ti punta il dito, non fare, non cadere, non avere fretta, ma al giusto non si dà mai retta. Ho voluto farmi male, con tanti sbagli, nonostante i consigli, e non ho avuto il coraggio di confessare quanto la delusione sa di sale. Ho voluto provare anche a far l'amore, amore sublimato, ma forse l'ansia della prima volta, amore deluso, in un attimo concluso.
'A perla cchiù bella ca all'Italia ce stà, è'a costa Amalfitana, tutto o munno ca ven e ca và. Nu profumo de zagare n'fiore, e nell'aria se sent l'ammore e tutta la gente alleramente, ca stà intu a stu Paravis. E lu mare ca iesce e po trase da rint a sti rocce, ca è blu comm a l'uocchi e na bella creatura, e abballan l'onn, ao vient, se chiaman e fronn, se sent l'addore int all'aria e cedri e purtuali. O sole ca sparge brillanti n'goppa all'acqua d'o mare, le barche cu e rezze, addò pesce esce e recresce e o nu cant antico e nu vecchio piscatore. Nu posto ca è chien e fiur e giardini, addò tutt se scorda, addò vita s'accorda cu musica e core è la costa cchiù bella, è comm a na rosa addò l'anema tutta s'apposa.