Sono le immagini del tempo a stordirmi in questo pomeriggio pieno di pioggia e di vento. Ho perso anche l'orizzonte di quel rosso di toro ferito sull'arena a odore di morte. Sono solo con il cane ammutolito leccando l'aria rotta da echi di montagne e fiumi senza fine. Il fumo della sigaretta accesa avvolge donne africane dipinte in questo mio quadro d'inverno. È questo pomeriggio avanzato, pieno di pioggia lenta e muta a regalarmi sogni futuri. Quante immagini diventano statue in questo inverno solitario, dove i sogni volano con le foglie e la pioggia ci matura al domani.
Noto qualcosa strana camminare nel silenzio della notte oscura. Il cuore si rifugia nella grotta ascoltando un silenzio maturo. È un bisbiglio nel cielo un fantasma nella luna un raggio di tristezza trasformato in paura? La sveglia ritma la notte un cane risponde a una stella il tarlo della memoria avanza rodendo il legno della mente. Il sogno si tinge di rosso una donna cavalca nuda un cavallo con la coda nera su una spiaggia piena di sirene. Sarà la voce del pensiero, sarà la spada della guerra, o il vuoto che portiamo dietro? È un fiore bianco una ferita nella sera una luce spenta in tenebre senza veli. Noto qualcosa conosciuta nella luce: la notte è giorno senza più paura. Il cavallo ritorna nell'azzurro: quest'uomo ritorna fanciullo.
Un'ombra di cristallo nella nebbia una ferita incastrata nella memoria una fiamma di fuoco nel cuore un grido di bimbi nella notte.
È l'ultimo tramonto di un uomo camminando solo sul ponte.
Un'ombra scende gridando con i morti i cristalli frantumano il grido della morte il cuore non ha un angolo solitario per curare la ferita aperta nell'anima.
Si cammina come il toro nell'arena: furore negli occhi e morte nelle vene. Il labirinto costruito senza valori distrugge il filo d'Arianna dell'amore.
Abbandoniamo le ombre senza cuore ritorniamo ad essere uomini di perdono.
L'apparenza nasce con una maschera portata con destrezza nobiliare: ci s'inebria, si adatta e si trasforma, in un mondo ridotto un gran teatro. Si cammina truccati da marionette su strade di città piene di gente, dove l'occhio non conosce le stelle per brillare con una luce celeste. C'è chi vive da vecchio straccione per coprire un passato maledetto, c'è chi vive da aristocratico signore per non essere riconosciuto ladrone. L'apparenza guardandosi allo specchio si vive con tristezza tutto il giorno. Non conosce il sorriso d'un bambino o lo sguardo tenero di un vecchio. L'apparenza si vive senza storia perché la vita è stata un falso, con orpelli appesi nel cuore e maschera piena d'inganni.
Quand'ero bambino tagliavo ginestre sui monti verdi del mio paese lucano. I fiori raccolti in piccoli gesti li gettavo lungo le strade strette passando il corpo di Cristo benedetto. I fili verdi appesi in cantina oscura guardavano le sorbole ancora immature.
Sui burroni della memoria infantile rivedo strani volti con rughe antiche. Buoi che tiravano un traino di legno, bambini aggrappati fino alla cappella. Asini che ragliavano nelle loro stalle muli che aiutavano ad essere stanchi.
Era un paese con molti calli nelle mani, donne austere chiuse nei propri guai. Era una famiglia senza umani confini dove tutti erano zii, compari e vicini. C'era un giardino con aquila e cannone ricordando la guerra e i morti d'allora.
Quand'ero bambino lavoravo per gli altri per mangiare pane e portare le scarpe. Raccoglievo legna e lavavo le scale ma ero libero per correre e cantare. Oggi da grande, calvo e con barba, ricordo il bosco e l'odore a vino cotto.
Pietre di fiumara mia ammutolite d'inverno piene di secoli vivi rifugio di rondinelle. Ascoltate il vento verde scendere giù nella valle. I boschi cadono addosso quando frana la montagna. Pietre di fiumara mia mi avete visto nudo tuffarmi in pozzanghere senza farmi paura. Quanti calli per spaccarvi quanti sudori caduti! Quante leggi senza cuore quanto sangue con amore. Gli uomini del paese vi hanno aperte ferite per portare il pane su mense non imbadite. Pietre di fiumara mia ruvide come il sogno mi avete fatto ricco meditando all'ombra. Adesso un po' lontano sotto un arco antico vi rivedo trasformate in un'immagine amica.
C'era una volta un boscaiolo col cappello e l'asinello camminava sotto il bosco pieno di funghi e uccelli. Toccava un tronco e l'ascoltava per sentire gli anni che portava. Gli dispiaceva usare l'accetta per uccidere un tronco vecchio. Camminando camminando l'asinello udì un reglio. La sua compagna era lontano, ma il suo odore era più forte della campagna. Il boscaiolo in silenzio ascoltava la musica dei ragli nel bosco. Era l'eco della vita animale o il canto di due innamorati? Gli alberi pieni di un certo timore guardavano l'uomo e l'accetta, mentre un uccello solitario capiva l'asino e il suo dolore. C'era una volta un boscaiolo, oggi c'è la serra e il trattore. C'era una volta il dolce asinello oggi non c'è neppure quello!.