Nell'ora di bassa marea
ho scritto un verso sulla sabbia
e vi ho effuso intero il mio cuore
e la mia anima.
In tempo di alta marea son tornato
a rivedere i segni tracciati:
e ho letto sulla spiaggia
tutta la mia ignoranza.
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Nell'ora di bassa marea
ho scritto un verso sulla sabbia
e vi ho effuso intero il mio cuore
e la mia anima.
In tempo di alta marea son tornato
a rivedere i segni tracciati:
e ho letto sulla spiaggia
tutta la mia ignoranza.
In quell'istante ebbero termine i libri,
l'amicizia, i tesori senza sosta accumulati,
la casa trasparente che tu e io costruimmo:
tutto cessò d'esistere, tranne i tuoi occhi.
Sorriderti forse è morire,
porgere la parola
a quella terra leggera
alla conchiglia in rumore
al cielo della sera,
a ogni cosa che è sola
e s'ama col proprio cuore.
Pensando, intrecciando ombre nella solitudine profonda.
Persino tu sei lontana, oh, più lontana di tutti.
Pensando, liberando uccelli, dileguando immagini,
sotterrando lampade.
Campanili di nebbie, così distante, lassù in alto!
Soffocando lamenti, macinando oscure speranze,
silenzioso mugnaio,
la notte cade bocconi ai tuoi piedi, lontano dalla città.
La tua presenza mi è estranea, curiosa come quella di un oggetto.
Penso, cammino a lungo, la mia vita prima di te.
La mia vita prima di tutti, la mia ruvida vita.
Il grido di fronte al mare, tra le pietre,
che corre libero, folle, nel vapore del mare.
La furia triste, il grido, la solitudine del mare.
Straripante, violento, teso verso il cielo.
Tu, donna, che cos'eri lì, quale piega, quale stecca
di quell'immenso ventaglio? Eri lontana come ora.
Incendio nel bosco! Arde in croci azzurrine.
Arde, arde, infiamma, sfavilla in alberi di luce.
Crolla, crepita. Incendio. Incendio.
E la mia anima balla ferita da trucioli infuocati.
Chi chiama? Quale silenzio popolato di echi?
Ora della nostalgia, ora della gioia, ora della solitudine,
ora mia tra tutte!
Conchiglia in cui il vento passa cantando.
Tanta passione di pianto avvinghiata al mio corpo.
Sussulto di tutte le radici,
assalto di tutte le onde!
Girava, allegra, triste, interminabile, la mia anima.
Pensando, sotterrando lampade nella solitudine profonda.
Chi sei tu, chi sei?
Di te amore m'attrista,
mia terra, se oscuri profumi
perde la sera d'aranci,
o d'oleandri, sereno,
cammina con rose il torrente
che quasi n'è tocca la foce.
Ma se torno a tue rive
e dolce voce al canto
chiama da strada timorosa
non so se infanzia o amore,
ansia d'altri cieli mi volge,
e mi nascondo nelle perdute cose.
Sono molte le civette
che non sanno altri canti
oltre le proprie strida.
Li conosciamo, tu ed io,
gli impostori che rendono onore
solo a un più grande impostore,
e portano al mercato
la propria testa in un cesto
per venderla al primo che passa.
Conosciamo il pigmeo
che insulta l'uomo del cielo.
E sappiamo
cosa dice la mala erba
della quercia e del cedro.
So dello spaventapasseri:
le sue sporche e lacere vesti
si agitano sul grano
e al vento sonoro.
So del ragno senz'ali:
è per gli esseri alati
che intreccia la rete.
Conosco gli abili suonatori
di corno e di tamburo,
che nel loro frastuono
non sentono l'allodola
né il vento di Levante nella foresta.
Conosco quelli che remano
contro ogni corrente
senza trovare mai la sorgente,
e percorrono tutti i fiumi
senza osare mai avventurarsi nel mare.
Perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Accarezzami musica
scorri su me come acqua d'argilla,
scorri sulla mia bianca pietà:
io sono innamorata di un aedo,
sono innamorata del cosmo tutto,
sono piena d'amore
sono l'ape regina
col ventre gonfio dei due golfi perfetti,
dolcissimo chiaro preludio
a una polluzione d'amore.
L'uomo scorre sulle mie bianche viscere
non s'innamora mai
perché sono accademia di poesia.
Non ci è dato di essere.
Noi siamo soltanto un fiume, aderiamo ad ogni forma:
al giorno ed alla notte, al duomo e alla caverna.
Forma su forma riempiamo senza tregua,
nessuna ci diviene patria, gioia o piena,
sempre siamo in cammino, ospiti sempre,
non c'è campo né aratro per noi, né pane cresce.
E non sappiamo cosa Dio ci serbi,
gioca con noi, argilla nella mano,
muta e cedevole che non piange o ride,
mille volte impastata e mai bruciata.
Potessimo, una volta, farci pietra, durare!
Questa è la nostra eterna nostalgia,
ma un brivido perdura a raggelarci
e non c'è pace sulla nostra via.
Ho dimenticato di dimenticarti.
Non te la prendere.
Problema mio.
Che sotto la doccia un po' ti penso.
E spesso rido.
E spesso piango.
Ma non si vede.
Acqua nell'acqua.
E non si sente.
Vuoto nel vuoto.
I miei pensieri pesano poco.
Prendono il volo.
Il tuo, però, è ancora qua.
Nella mia testa
tra le mie gambe
sopra la schiena.
Dentro le ossa.
Non se ne va.
E chiudo spesso gli occhi senza pensare a niente.
E metto spesso le cuffie senza ascoltare niente.
E stringo spesso le mani senza afferrare niente.
Ti chiuderei a giro sulla mia pelle in questo istante
per fartela sentire quanto è forte
questa voglia di rinascere
che senza te, però, non ce la fa a partire.
Ci vorrà un bel po' per riprendere a mangiare.
Riesce a farmi schifo
persino la lasagna di mia madre
quando non ci sei.
Converrai da te
che la situazione è alquanto grave.
Io ti ho avvisata
ora vedi che puoi fare.
Ho fatto crescere i capelli
così posso disfarli come un letto.
A te ne non sono mai piaciuti,
dici che un uomo deve
tenerli sempre corti.
Questione di gusti.
Talvolta l'intelligenza
è tutta nel baciare
i punti giusti.
Ho dimenticato di dimenticarti.
Non te la prendere.
Problema mio.
Questa mattina ho fatto un sogno.
Era d'estate. Faceva caldo. Nevicava.
Dicevi: sei il mio miracolo più bello.
Io prima ti ho baciata.
Poi ti ho risposto: non credo nei miracoli.
E forse il mio problema è proprio quello.
Non credo nei miracoli.
E forse il mio problema è solo quello.