Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Anche questa mattina mi sono svegliato

Anche questa mattina mi sono svegliato
e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
si sono buttati addosso a me alla rinfusa
e la luce d'argento annerito della lampada

mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
e il giallo della parete e tre righe di scritto
e la camera d'albergo e questo paese nemico
e la metà del sogno caduta da questo lato s'è spenta

mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
e la nostra separazione e quello che siamo

mi sono svegliato anche questa mattina
e ti amo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Lettera alla madre

    "Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
    il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
    gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
    non sono triste nel Nord: non sono
    in pace con me, ma non aspetto
    perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
    da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
    come tutte le madri dei poeti, povera
    e giusta nella misura d'amore
    per i figli lontani. Oggi sono io
    che ti scrivo. " - Finalmente, dirai, due parole
    di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
    e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
    lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
    "Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
    di treni lenti che portavano mandorle e arance,
    alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
    di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
    questo voglio, dell'ironia che hai messo
    sul mio labbro, mite come la tua.
    Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
    E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
    per tutti quelli che come te aspettano,
    e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
    non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
    tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
    del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
    non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
    Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
    morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Cupido, loser, eigenwilliger Knabe!

      Cupido, loser, eigenwilliger Knabe!
      Du batst mich um Quartier auf einige Stunden.
      Wie viele Tag'und Nächte bist du geblieben!
      Und bist nun herrisch und Meister im Hause geworden!
      Von meinem breiten Lager bin ich vertrieben;
      Nun sitz ich an der Erde, Nächte gequälet;
      Dein Mutwill schüret Flamm auf Flamme des Herdes,
      Verbrennet den Vorrat des Winters
      und senget mich Armen.
      Du hast mir mein Geräte verstellt und verschoben;
      Ich such und bin wie blind und irre geworden.
      Du lärmst so ungeschickt; ich fürchte das Seelchen
      Entflieht, um dir zu entfliehn, und räumet die Hütte.
      Cupido, monello testardo!
      Cupido, monello testardo!
      M'hai chiesto un riparo per poche ore,
      e quanti giorni e notti sei rimasto!
      Adesso il padrone in casa mia sei tu!
      Sono scacciato dal mio ampio letto;
      sto per terra, e di notte mi tormento;
      il tuo capriccio attizza fiamma su fiamma nel fuoco,
      brucia le scorte d'inverno
      e arde me misero.
      Hai spostato e scompigliato gli oggetti miei,
      io cerco, e sono come cieco e smarrito.
      Strepiti senza ritegno, e io temo che l'animula
      fugga via per sfuggire te, e abbandoni questa capanna.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Viaggio a Montevideo

        Io vidi dal ponte della nave
        I colli di Spagna
        Svanire, nel verde
        Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
        Come una melodia:
        D'ignota scena fanciulla sola
        Come una melodia
        Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
        Illanguidiva la sera celeste sul mare:
        Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
        Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
        Lontani tinti dei varii colori
        Dai più lontani silenzii
        Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
        Già cieca varcando battendo la tenebra
        Coi nostri naufraghi cuori
        Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
        Ma un giorno
        Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
        Da gli occhi torbidi e angelici
        Dai seni gravidi di vertigine. Quando
        In una baia profonda di un'isola equatoriale
        In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
        Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
        Una bianca città addormentata
        Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
        Nel soffio torbido dell'equatore: finché
        Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
        Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
        Noi lasciammo la città equatoriale
        Verso l'inquieto mare notturno.
        Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
        gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
        Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
        Una fanciulla della razza nuova,
        Occhi lucenti e le vesti al vento! Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
        La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
        E vidi come cavalle
        Vertiginose che si scioglievano le dune
        Verso la prateria senza fine
        Deserta senza le case umane
        E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
        Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
        Del continente nuovo la capitale marina.
        Limpido fresco ed elettrico era il lume
        Della sera e là le alte case parevan deserte
        Laggiù sul mar del pirata
        De la città abbandonata
        Tra il mare giallo e le dune...
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          Scritta da: Maresa Schembri
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Amore

          Dicono che lo sciacallo e la talpa
          bevano allo stesso ruscello
          dove viene a bere il leone.

          E dicono che l'aquila e l'avvoltoio
          infilino il becco nella stessa carcassa,
          e stanno in pace l'uno con l'altro, davanti alla cosa morta.

          O amore, che con la tua regale mano
          hai imbrigliato i miei desideri,
          e hai elevato la mia fame e la mia sete
          a dignità di orgoglio,
          non permettere che il forte e il durevole in me
          mangino il pane e bevano il vino
          che tentano il mio io più debole.
          Lasciami piuttosto morire di fame,
          e consenti che il mio cuore bruci dalla sete
          e lasciami morire e avvizzirmi,
          prima che io stenda la mano
          verso una coppa che tu non abbia riempito
          o una ciotola che tu non abbia benedetto.
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            Scritta da: Eclissi
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Canzone d'autunno

            Oggi sento nel cuore
            un vago tremore di stelle,
            ma il mio sentiero si perde
            nell'anima della nebbia.
            La luce mi spezza le ali
            e il dolore della mia tristezza
            bagna i ricordi
            alla fonte dell'idea.
            Tutte le rose sono bianche,
            bianche come la mia pena,
            e non sono le rose bianche,
            perché ci ha nevicato sopra.
            Prima ci fu l'arcobaleno.
            Nevica anche sulla mia anima.
            La neve dell'anima ha
            fiocchi di baci e di scene
            che sono affondate nell'ombra
            o nella luce di chi le pensa.
            La neve cade dalle rose,
            ma quella dell'anima resta
            e l'artiglio degli anni
            ne fa un sudario.
            Si scioglierà la neve
            quando moriremo?
            O ci sarà altra neve
            e altre rose più perfette?
            Scenderà la pace su di noi
            come c'insegna Cristo?
            O non sarà mai possibile
            la soluzione del problema?
            E se l'amore c'inganna?
            Chi animerà la nostra vita
            se il crepuscolo ci sprofonda
            nella vera scienza
            del Bene che forse non esiste
            e del Male che batte vicino?
            Se la speranza si spegne
            e ricomincia Babele
            che torcia illuminerà
            le strade della Terra?
            Se l'azzurro è un sogno,
            che ne sarà dell'innocenza?
            Che ne sarà del cuore
            se l'Amore non ha frecce?
            Se la morte è la morte,
            che ne sarà dei poeti
            e delle cose addormentate
            che più nessuno ricorda?
            O sole della speranza!
            Acqua chiara! Luna nuova!
            Cuori dei bambini!
            Anime rudi delle pietre!
            Oggi sento nel cuore
            un vago tremore di stelle
            e tutte le rose sono
            bianche come la mia pena.
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              Scritta da: Rea
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il tuo sorriso

              Toglimi il pane, se vuoi,
              toglimi l'aria, ma
              non togliermi il tuo sorriso.

              Non togliermi la rosa,
              la lancia che sgrani,
              l'acqua che d'improvviso
              scoppia nella tua gioia,
              la repentina onda
              d'argento che ti nasce.

              Dura è la mia lotta e torno
              con gli occhi stanchi,
              a volte, d'aver visto
              la terra che non cambia,
              ma entrando il tuo sorriso
              sale al cielo cercandomi
              ed apre per me tutte
              le porte della vita.

              Amore mio, nell'ora
              più oscura sgrana
              il tuo sorriso, e se d'improvviso
              vedi che il mio sangue macchina
              le pietre della strada,
              ridi, perché il tuo riso
              sarà per le mie mani
              come una spada fresca.

              Vicino al mare, d'autunno,
              il tuo riso deve innalzare
              la sua cascata di spuma,
              e in primavera, amore,
              voglio il tuo riso come
              il fiore che attendevo,
              il fiore azzurro, la rosa
              della mia patria sonora.

              Riditela della notte,
              del giorno, delle strade
              contorte dell'isola,
              riditela di questo rozzo
              ragazzo che ti ama,
              ma quando apro gli occhi
              e quando li richiudo,
              quando i miei passi vanno,
              quando tornano i miei passi,
              negami il pane, l'aria,
              la luce, la primavera,
              ma il tuo sorriso mai,
              perché io ne morrei.
              Composta lunedì 6 settembre 2010
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