Dov'eri, quando quest'uomo portava la sua croce? Forse era la tua e non te ne sei accorto, e lui senza un gemito continuava a camminare, sapeva che di lì a poco sarebbe morto. Eppure senza lamentarsi ha sopportato, i nostri peccati, pesavano tutti sulle sue spalle. Il suo calvario abbiamo seguito senza intervenire, mentre lui andava a morire. Non sono state alleviate le ferite, il sangue scorreva sul suo viso, siamo rimasti a guardare e lasciato fare, ma lui era sereno, perché presto sarebbe salito in paradiso. Qualcuno ha tentato di pregare, di aiutare, ma tutto già era stato stabilito. Con grande sacrificio, il padre ci lasciò suo figlio, deciso a lasciarlo sacrificare, sulla croce e sull'altare, ogni giorno corpo e sangue, pane e vino... dobbiamo ricordare, nel nostro cuore, Il signore, che ci ha salvato solo per un immenso amore.
Saprò dal profumo del glicine, dal mio prato fiorito, da quel cielo di un blu infinito che l'inverno è passato, dalle rondini in volo, ma chi dividerà la mia gioia a chi aprirò il mio cuore, se ora sono da solo. Guardo dalla finestra, saluto con la mano, ma la gente passa e non resta, le parole non si dicono più, neppure gli occhi s'incontrano, tutto è accelerato, ed è inutile se l'inverno è passato... rimane freddo il mio cuore, un altro anno in fretta se ne è andato.
Notte di stelle, dorme il paese, tra i lampioni qualcuno passeggia, tra quei vicoli antichi, la serena nottata e quel clima assai mite non si aveva da un mese. Ma ad un tratto quel cielo divenne pesante, quella notte di stelle un boato scuarciò.... Non capire più niente, la pacifica gente nel suo sonno turbò. Fu l'inganno di un sogno, era dura realtà, quanta polvere si alzò, un momento e l'inferno, tutt'intorno d'improvviso crollò. Il risveglio non era per tutti, e la vita smise di andare, nella notte, troppi lutti, e la fretta di scappare e non pensare, ma girarsi verso amore, e ricordi perduti, rimane solo un immenso dolore. Non rendersi conto che la morte passava, in quella notte serena la terra tremava...
Ancor caldo quel talamo, profumava d'amore, io seduta sul letto a guardarti, ne sentivo l'odore. Profumo di te, di lei, dei respiri il rumore, ancor piena la stanza, e sentivo il calore. Nei tuoi occhi, la voglia di me, continuavi a fissarmi, ma passavano l'ore, io vogliosa e tremante, situazione eccitante, scrutavo i tuoi gesti, diventavo l'amante... Poi una mano sul viso, un bacio e all'improvviso tutto viene normale, e sul letto abbracciati, non pensare più a niente. Non sentire la colpa, liberare la mente, né futuro, ne presente, solamente il mio cuore, accelerava i battiti, e di nuovo profumo di te e di me, nell'estasi d'amore.
Ho visto quegli occhi, sembravano specchi, freddi e privi di umore, non poteva parlare, ne riusciva a reagire, voleva morire. Han toccato quel fiore, senza stare a pensare, e l'han fatto appassire senza urla, ne lacrime, non si è fatto sentire e continua a morire. Ma bastardo chi pena non sente, chi bacato ha la mente, chi ha perduto il controllo, chi appare e poi mente. Sarà dura curare quel fiore, per non non farlo appassire, far capire che il mostro non farà più paura. Ci vuol solo l'amore, pazienza e calore, questa è l'unica cura. Finalmente da quegli occhi scenderà quella lacrima per lavare il dolore.
Dove ora schiuderai le labbra, vita mi regalerai o mi farai morire, la tua bocca umida e calda, un dolce fremito e la voglia che in me cresce. Accarezzami tutta, i nostri corpi, come due tralci uniti, due acini al sole, succo che diventa mosto, e pigi ancora ed ancora, quel grappolo maturo, nel mio tino che pieno di vino impazzisce. Ma ogni cosa bella finisce, tu continua ancora, sento le tue labbra sfiorarmi, più giù, poi ancora su, hai ancora mosto da distribuire, ed io dolce nettare da gustare. Il sole al mattino ci troverà sfiniti, ma felici, perché sa amore che ti ritroverò e di nuovo a sera... ti avrò.
I politici hanno la camicia azzurra, perché non spara, bene avvitata al collo, e alloggiano nella scatola a colori che li recita. Hanno bei baffi e nasoni posticci facce di cartapesta incipriate. Fossero almeno un po' più stralunati, fossero divi in ghignanti mascheroni: di Zorro, Spilinberga o Frankenstein, per un pubblico incerto tra Buttiglione e Biscardi. L'uomo, narcotizzato, ha un soprassalto sul divano liso, mentre la testa gli cade sulla moglie: sogna un'antica scatola più opaca, e Charly Gaul che usciva dalla nebbia, dalla tormenta del Bondone nel '56, batteva i denti, aveva gli occhi fissi, e dentro la coperta era un eroe della fatica sul traguardo.