Signore, sono qui umile e devota, presso la tua casa, ho bisogno che tu mi dia la forza per continuare, a vivere ed amare. Tante sono le cose che ho da chiedere, non dimenticare, fammi raccogliere i cocci di una vita distrutta, fammi perdonare, non riesco a dimenticare chi mi ha fatto tanto male, aiutami Tu, aprimi il cuore, non voglio serbare più rancore fa soffrire più me. Le promesse fatte, non le ho mantenute ormai le mie giornate sono scadute tornare sui miei passi non servirebbe a niente. Ti prego se ci sei, io non sono la gente, sono un'anima che si pente per avere la forza che solo tu puoi dare, fammi perdonare.
Ho lasciato sulla mia scrivania, il diario che abbiamo scritto a quattro mani, con il bordo nero, dicevi sempre che era il nostro capolavoro, testimonianza di un amore vero. Ogni giorno torno su quelle pagine e rivivo nel ricordo di te. Non è stata giusta questa vita, con noi, che non le abbiamo dato mai fastidio, vivevamo solo del nostro amore, quasi gelosi, nel farlo capire. Un giorno, il destino avverso ha detto basta, troppa felicità, spero tanto che questo Dio esista, altrimenti non so con chi mai potrò sfogarmi, dove andrò a piangere, per non morire. Amore qui nel cuore, c'è tutto quello che tu mi hai detto, quello che mi hai donato, la tua stessa vita con la mia e quello che mi hai scritto è tutto lì nel nostro diario.... Se continua questa mio dolore, finirò per impazzire, spero di raggiungerti presto.
Un'estranea è venuta A spartire con me la mia stanza nella casa lunatica, Una ragazza folle come gli uccelli
Che spranga la notte della porta col suo braccio di piuma. Stretta nel letto delirante Elude la casa a prova di cielo con nubi invadenti
E la stanza da incubi elude col suo passeggiare Su e giù come i morti, O cavalca gli oceani immaginati delle corsie maschili.
Venne invasata, Chi fa entrare dal muro rimbalzante l'ingannevole luce, Invasata dal cielo
Dorme nel truogolo stretto e tuttavia cammina sulla polvere E a piacer suo vaneggia Sopra l'assistito del manicomio consumato dalle mie lacrime ambulanti.
E rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce Io posso senza venir meno Sopportare la prima visione che diede fuoco alle stelle.
Amico da nemico io ti sfido Tu con monete false nella borsa degli occhi, Tu amico mio dall'aria accattivante Che per vera mi rifilasti la menzogna Mentre spiavi bronzeo i miei più gelosi pensieri Che mi allettasti con luccicanti pezzi d'occhio finché il dente goloso del mio affetto trovò il duro E scricchiolò, e io inciampai e succhiai, Tu che ora evoco a stare come un ladro Nella memoria, moltiplicato da specchi, In sofferente inobliabile atto, Mano lesta nel guanto di velluto E un martello contro il mio cuore Eri una volta una tale creatura, un così allegro, Schietto, spassionato compagno, Che non avrei mai detto né creduto Mentre una verità spostavi nell'aria, Che per quanto li amassi per i loro difetti Come per i loro pregi, I miei amici non erano che nemici sui trampoli Con la testa fra nuvole d'astuzia!
Ho chiuso la mia finestra perché non voglio udire il pianto, ma dietro i grigi muri altro non s'ode che il pianto. Vi sono pochissimi angeli che cantano, pochissimi cani che abbaiano; mille violini entrano nella palma della mia mano. Ma il pianto è un cane immenso, il pianto è un angelo immenso, il pianto è un violino immenso, le lacrime imbavagliano il vento. E altro non s'ode che il pianto.