Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
La felicità è fatta di attimi.
La felicità è un bimbo che nasce,
il sorriso di un anziano,
la gioia dei tuoi figli,
le braccia calde dei tuoi genitori
le favole ascoltate e quelle raccontate,
i tuoi figli che crescono,
vedere nascere i tuo nipoti,
l'affetto dei tuoi amici,
e mille altre piccole cose che danno un senso a questa vita.
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    Scritta da: Rita Cangiano
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Girerò per le strade finché non sarò stanca morta
    saprò vivere sola e fissare negli occhi
    ogni volto che passa e restare sempre la stessa.
    Questo fresco che sale a cercarmi le vene
    è un risveglio che mai nel mattino ho provato
    così vero: soltanto, mi sento più forte
    che il mio corpo, e un tremore più feddo accompagna il mattino.
    Son lontani i mattini che avevo vent'anni.
    E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,
    ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo.
    Da domani la gente riprende a vedermi
    e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi
    e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,
    ero giovane e non lo sapevo, e
    nemmeno sapevo
    di essere io che passavo-una donna, pdrona
    di se stessa. La magra bambina che fui
    si è svegliata da un pianto non fosse mai stato.
    E desidero solo colori. I colori non piangono,
    sono come un risveglio: domani i colori
    torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,
    ogni corpo un colore-perfino i bambini.
    Questo corpo vestito di rosso leggero
    dopo tanto pallore riavrà la sua vita.
    Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi e saprò d'esser io: gettando un'occhiata,
    mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,
    uscirò per le strade cercando i colori.
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      Scritta da: Pierluigi Camilli
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La mamma educatrice

      Viva Adelaide
      che il cuor m'infiamma,
      e in omnia secula,
      viva la mamma!
      Donna mirabile,
      donna famosa!
      È un capo d'opera
      è una gran cosa.
      Una domenica
      L'incontro in piazza,
      che aveva a latere
      la sua ragazza;
      mi ferma e, affabile
      come conviene,
      comincia al solito:
      - Che fa? Sta bene? -
      Ed alla figlia
      che stava zitta,
      gridò: - Su, animo!
      Che fai lì ritta?
      Su grulla, avvezzati,
      fa il tuo dovere... -
      Che mamma amabile!
      Non è un piacere?
      E poi, tenendomi
      le mani ai panni,
      soggiunse: - Oh, passano
      pur presto gli anni!
      L'ho vista nascere:
      eh, malannaggio!
      S'invecchia e termina
      l'erba di maggio!
      Eh, bimba andiamocene,
      stamane ho fretta:
      venga un po' a veglia,
      venga, s'aspetta!
      Siam gente povera,
      ma di buon cuore:
      ci fa una grazia,
      anzi un onore.
      Via bimba, pregalo!
      Stai lì impalata!
      Ma, santa Vergine!
      Sei pur sgarbata! -
      «È sempre giovane»
      dissi « aspettate,
      lasciate correre,
      non la sgridate:
      l'età, la pratica
      è molto: e poi,
      farà miracoli
      sotto di voi! »
      Ai panegirici
      non sempre avvezza,
      fece una smorfia
      di tenerezza
      la vecchia, e a battere
      sul primo invito
      tornò, dicendomi:
      - Dunque, ha capito;
      sa dove s'abita:
      verrà? - «Verrò. »
      E chi rispondere
      Potea di no?
      V'andai. Col giubilo,
      con quel sembiante
      che per le visite
      d'un zoccolante
      ho visto prendere
      dalle massaie,
      quando alla questua
      gira per l'aie,
      quelle, vedendomi,
      in un baleno
      precipitarono
      a pian terreno;
      poi risalirono
      con meco; ed ambe
      -Badi- gridavano
      -badi alle gambe.
      È poco pratico
      la scala è scura... -
      «Ma quanti incomodi!
      Quanta premura! »
      Salgo, si chiacchiera
      sul più, sul meno;
      mi dàn del discolo
      dal capo ameno.
      Tutta sollecita
      la mamma intanto
      scotea la seggiola,
      puliva un santo;
      da un certo armadio
      fra pochi stracci
      scioglieva in furia
      due canovacci;
      d'acqua in un angolo
      la brocca empiva:
      che mamma provvida!
      Che pulizia!
      Finite all'ultimo
      tante faccende,
      disse: - E per tavola
      cosa si prende?
      Credi Delaide,
      sono sgomenta! -
      e a me voltandosi
      diceva: - Senta,
      con tanti ninnoli
      ci va un tesoro:
      le voglie crescono,
      manca il lavoro.
      Oh, ripensandoci
      m'affogherei;
      almeno, càttera,
      felice lei... -
      Capii l'antifona,
      ed un testone
      le offersi a titolo
      di compassione.
      La vecchia ingenua
      per la sorpresa
      m'urtò col gomito,
      si finse offesa;
      ma per imprestito
      poi l'accettò,
      e per andarsene
      s'incamminò
      e nell'orecchio
      mi disse: -Ohè!
      Ritorno subito;
      badiamo, vhè! -
      Io per non ridere
      alzando il ciglio,
      risposi: «Diamine!
      Mi meraviglio! »
      Esce da camera,
      chiude la porta;
      sta fuori un secolo:
      che mamma accorta!
      Poi tosse e strascica
      prima d'entrare....
      Il ciel moltiplichi
      mamme sì rare!
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Ridotto a me stesso?

        Ridotto a me stesso?
        Morto l'interlocutore?
        O morto io,
        l'altro su di me
        padrone del campo, l'altro,
        universo, parificatore...
        o no,
        niente di questo:
        il silenzio raggiante
        dell'amore pieno,
        della piena incarnazione
        anticipato da un lampo? -
        penso
        se è pensare questo
        e non opera di sonno
        nella pausa solare
        del tumulto di adesso.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Per mare

          Nel più alto punto
          dove scienza è oblìo d'ogni sapere
          e certezza, mi dicono,
          certezza irrefutabile venuta incontro

          o nel tempo appeso a un filo
          d'un riacquisto d'infanzia,

          tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

          dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

          "La salute della mente
          è là" dice una voce
          con cui contendo da anni,
          una voce che ora è di sirena.

          Si naviga tra Sardegna e Corsica.
          C'è un po' di mare
          e la barca appruata scarricchia.
          L'equipaggio dorme. Ma due
          vegliano nella mezzaluce della plancia.
          È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
          È una notte viva.
          Viva più di questa notte,
          viva tanto da serrarmi la gola
          è la muta confidenza
          di quelli che riposano
          si curi in mano d'altri
          e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

          mentre pregano per i loro uomini in mare
          da un punto oscuro della costa, mentre arriva
          dalla parte del Rodano qualche raffica.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            L'India

            Tace ora, mi chiedo se oppressa dal suo Karma,
            (so della sua vita, del nome che le dà, e del senso)
            mentre mostra a lungo lo schermo
            sul selciato una moltitudine
            stecchita in una posa tra sonno e morte
            levarsi a stento in preghiera e spulciarsi nell'alba.
            Né forse la colpisce il primo aspetto
            ma un altro più recondito, e vede
            una giustizia di diverso stampo
            in quella sofferenza di paria
            orrida eppure non abietta, e nella sua che le scende addosso.

            "Avere o non avere la sua parte in questa vita"
            riemerge in parole il suo pensiero - ma solo un lembo.
            E io ne tiro a me quella frangia
            ansioso mi confidi tutto l'altro,
            attento non mi rubi niente
            di lei, neppure l'amarezza, ed attendo.
            S'interrompe invece. Seguono altre immagini dell'India
            e nel loro riverbero le colgo
            un sorriso estremo tra di vittima e di bimba
            quasi mi lasci quella grazia in pegno
            di lei mentre si eclissa nella sua pena
            e l'idea di se stessa le muore dentro.

            "Perché porti quel giogo, perché non insorgi"
            mi trattengo appena dal gridarle,
            soffrendo perché soffre, certo,
            ma più ancora perché lascia la presa
            della mia tenerezza non saziata e piglia il largo piangendo;
            "Ascoltami" comincio a mormorarle
            e già penso al chiarore della sala dopo il technicolor
            e a lei che sul punto di partire
            mi guarda da dietro la lampada
            della sua solitudine tenuta alzata di fronte.

            "Mario" mi previene lei che indovina il resto. "Ancora
            levi come una spada, buona a che?,
            lo sdegno per le cose che ti resistono.
            Uomo chiuso all'intelligenza del diverso,
            negato all'amore: del mondo, intendo, di Dio dunque"
            e indulge a una smorfia fine di scherno
            per se stessa salita sul pulpito, e quasi si annulla.

            "Davvero vorrei tu avessi vinto"
            le dico con affetto incontenibile, più tardi,
            mentre scorre in un brusio d'api, nel film senza commento, l'India.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il Giudice

              "Credi che il tuo sia vero amore? Esamina
              a fondo il tuo passato" insiste lui
              saettando ben addentro
              la sua occhiata di presbite tra beffarda e strana.
              E aspetta. Mentre io guardo lontano
              ed altro non mi viene in mente
              che il mare fermo sotto il volo dei gabbiani
              sfrangiato appena tra gli scogli dell'isola,
              dove una terra nuda si fa ombra
              con le sue gobbe o un'altra preparata a semina
              si fa ombra con le sue zolle e con pochi fili.
              "Certo, posso aver molto peccato"
              rispondo infine aggrappandomi a qualcosa,
              sia pure alle mie colpe, in quella luce di brughiera.
              "Piangere, piangere dovresti sul tuo amore male inteso"
              riprende la sua voce con un fischio
              di raffica sopra quella landa passando alta.
              L'ascolto e neppure mi domando
              perché sia lui e non io di là da questo banco
              occupato a giudicare i mali del mondo.
              "Può darsi" replico io mentre già penso ad altro,
              mentre la via s'accende scaglia a scaglia
              e qui nel bar il giorno ancora pieno
              sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio
              per le ore di libertà e l'uomo che le ha dato il cambio
              indossa la gabbana bianca e viene
              verso di noi con due bicchieri colmi,
              freschi, da porre uno di qua uno di là sopra il nostro tavolo.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                A mia madre dalla sua casa

                M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
                steso supino sopra un letto angusto,
                forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
                conto le ore lentissime a passare,
                più lente per le nuvole che solcano
                queste notti d'agosto in terre avare.

                Uno che torna a notte alta dai campi
                scambia un cenno a fatica con i simili,
                infila l'erta, il vicolo, scompare
                dietro la porta del tugurio. L'afa
                dello scirocco agita i riposi,
                fa smaniare gli infermi ed i reclusi.

                Non dormo, seguo il passo del nottambulo
                sia demente sia giovane tarato
                mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
                lascio e prendo il mio carico servile
                e scendo, scendo più che già non sia
                profondo in questo tempo, in questo popolo.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Questa felicità

                  Questa felicità promessa o data
                  m'è dolore, dolore senza causa
                  o la causa se esiste è questo brivido
                  che sommuove il molteplice nell'unico
                  come il liquido scosso nella sfera
                  di vetro che interpreta il fachiro.
                  Eppure dico: salva anche per oggi.
                  Torno torno le fanno guerra cose
                  e immagini su cui cala o si leva
                  o la notte o la neve
                  uniforme del ricordo.
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