Oh Rosa, Ti ho cercata tra tutte le rose, Ma non ti ho trovata. Ho patito, ho gridato, ho urlato, Girovagato Da una terra a un'altra Nell'immensità. Alla fine ti ho trovata quieta, addormentata nel mio cuore.
Lei dal pallido viso di antiche fattezze orientali captò la mia attenzione in un corridoio sala d'aspetto ambulatorio ortopedico di uno squallido ospedale, civile. La riconobbi aveva un'anima. Non so se lo sapesse. Lì, quel giorno di anime ce n'erano solo altre cinque. Tra la moltitudine in attesa di una visita rividi le ombre ricorrenti dei miei pensieri intrecciarsi con le frecce intrise d'amore dai loro occhi dai loro cuori.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto contiguo, le palme del viale, la cancellata rozza dalla quale mi protese la mano ed il confetto...
"Piccolino, che fai solo soletto?" "Sto giocando al Diluvio Universale" Accennai gli strumenti, le bizzarre cose che modellavo nella sabbia, ed ella si chinò come chi abbia fretta d'un bacio e fretta di ritrarre la bocca, e mi baciò tra le sbarre come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto di quel volto tra le sbarre quadre! La nuca mi serrò con le mani ladre; ed io stupivo di vedermi accanto al viso, quella bocca tanto, tanto diversa dalla bocca di mia Madre!
"Piccolino, ti piaccio che mi guardi? Sei qui pei bagni? Ed affittate là?" Subito mi lasciò, con negli sguardi un vano sogno (ricordai più tardi) un vano sogno di maternità...
"Una cocotte..."
"Che vuol dire mammina?" "Vuo dire che è una cattiva signorina: non bisogna parlare alla vicina!" Co-co-tte... La strana voce parigina dava alla mia fantasia bambina un senso buffo d'uovo e di gallina...
Pensavo deità favoleggiate: i naviganti e l'Isole Felici... Co-co-tte... le fate intese a malefici con cibi e bevande affatturate... Fate saranno, chi sa quali fate, e in chi sa quali tenebrosi offici!
Un giorno -giorni dopo- mi chiamò tra le sbarre fiorite di perbene: "O piccolino, che non mi vuoi più bene?" "È vero che sei una cocotte? " Perdutamente rise... E mi baciò con le pupille di tristezza piene
Tra le gioie defunte e i disinganni dopo vent'anni, oggi si ravviva il tuo sorriso... Dove sei, cattiva signorina? Sei viva? Come inganni (meglio per te non essere più viva!) la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto e il cosmetico già fa mala prova l'ultimo amante disertò l'alcova... Uno, sol uno: il piccolo folletto che donasti d'un bacio e d'un confetto, dopo vent'anni, oggi, ti ritrova
in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo! Da quel mattino dell'infanzia pura forse ho amato te sola, o creatura! Forse ho amato te sola! E ti richiamo! Se leggi questi versi di richiamo ritorna a chi t'aspetta, o creatura!
Vieni, Che importa se non sei più quella che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno, o vestita di tempo! Oggi ho bisogno del tuo passato! Ti rifarò bella coma Carlotta, come Graziella, come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d'abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state... Vedo la casa; ecco le rose del bel giardino di vent'anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto fra gli eucalipti liguri si spazia... Vieni! T'accoglierà l'anima sazia. Fa' che io riveda il tuo volto disfatto; ti bacerò: rifiorirà nell'atto, sulla tua bocca l'ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano, tu riportassi me stesso d'allora, il bimbo parlerà con la Signora. Risorgeremo dal tempo lontano. Vieni! Sarà come se a te, per mano, io riportassi te, giovane ancora.
Io che come un sonnambulo cammino per le mie trite vie quotidiane, vedendoti dinanzi a me trasalgo.
Tu mi cammini innanzi lenta come una regina. Regolo il mio passo io subito destato dal mio sonno sul tuo ch'è come una sapiente musica. E possibilità d'amore e gloria mi s'affacciano al cuore e me lo gonfiano. Pei riccioletti folli d'una nuca per l'ala d'un cappello io posso ancora alleggerirmi della mia tristezza. Io sono ancora giovane, inesperto col cuore pronto a tutte le follie.
Una luce di fa nel dormiveglia. Tutto è sospeso come in un'attesa. Non penso più. Sono contento e muto. Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
Quando ero giovane, avevo ali forti e instancabili, ma non conoscevo le montagne. Quando fui vecchio, conobbi le montagne, ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione. Il genio è saggezza e gioventù.
Ed amai nuovamente; e fu di Lina dal rosso scialle il più della mia vita. Quella che cresce accanto a noi, bambina dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.
Trieste è la città, la donna è Lina, per cui scrissi il mio libro di più ardita sincerità; né dalla sua fu fin ad oggi mai l'anima partita.
Ogni altro conobbi umano amore; ma per Lina torrei di nuovo un'altra vita, di nuovo vorrei cominciare.
Per l'altezze l'amai del suo dolore; perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra, e tutto seppe, e non se stessa, amare.
Noi non ci conosciamo. Penso ai giorni che, perduti nel tempo, c'incontrammo, alla nostra incresciosa intimità. Ci siamo sempre lasciati senza salutarci, con pentimenti e scuse da lontano. Ci siam riaspettati al passo, bestie caure, cacciatori affinati, a sostenere faticosamente la nostra parte di estranei. Ritrosie disperanti, pause vertiginose e insormontabili, dicevan, nelle nostre confidenze, il contatto evitato e il vano incanto. Qualcosa ci è sempre rimasto, amaro vanto, di non aver ceduto ai nostri abbandoni, qualcosa ci è sempre mancato.