Che bello il temporale dentro al cuore! Pioggia di tormenti che sale dalle viscere, lampeggia nel cervello scoppia e fa bufera e, poi, ridiventa amore. Pensate a quelle storie dove tutto è solo quiete. Non spira mai una brezza. Non sorge mai una nuvola. È tutto prevedibile, scontato finiscono per noia, è garantito.
È appena nato l'anno quando ci incontriamo. Lavori sodo queste sere, negli occhi la stanchezza ti accompagna. Mi doni qualche scheggia di piacere attimi fuggenti colti finalmente senza pensare.
Eppure un giorno apparirò Nei tuo ricordi E allora apprezzerai il mio dolce sguardo. Rileggerai le mie parole e capirai che scriverle poteva solo un poeta innamorato per una donna che lui aveva sublimato. Eppure un giorno apparirò Nei tuoi rimpianti, credevi di poterti esaurire nelle piccole cose quotidiane, essere da sola in libertà a cercare te stessa. Ti accorgerai che tu , te stessa lo eri con me, l'altra metà di cose nuove, di sentimenti tormentati, di stimoli e confronti alimentati.
Eh sì! Agli amori tanto grandi Si dovrebbe impedire di finire nei ricordi e nei rimpianti.
Volare alto nel cielo, dove non ci sono nuvole e campeggia sempre il sole. Dipingere con pennelli di emozioni le pagine bianche della vita di forti sentimenti colorati. I sogni non durano e le illusioni spariscono disperse dal vento della realtà. Ma vivere è più di un sogno. È una continua melodia dove Si può anche stonare, ma dove anche una sola nota dolce può regalarti... la felicità.
È lì nel dormiveglia, confine dove si intrecciano desideri e sogni, dove i piaceri sembrano realtà, è lì, che modello il tuo corpo nelle mie lenzuola, ti abbraccio nel cuscino ed ho un brivido di gioia. È lì, che abbandono le spine e rifiuto ogni dolore in un mare di passione creo un'isola di tenerezza su un 'amaca mi dondolo, e la tua onda mi lambisce. Ad occhi ancora chiusi aspetto quel fremito che ti catturi l'anima.
Passa lento il tempo ma tu sei ferma lì, fotografia nella mente di un rullino che non scorre Ma finché sarai ossigeno o tormento del mio essere Io… esisterò.
Il giorno che verrà sarà l'ultimo di questo anno mesto. Bagliori e botti di petardi sfuocano il chiarore delle stelle, provocano guaiti di cani spaventati. Cenoni e tappi di spumante confondono l'intelletto e danno l'illusione, in tanto sfarzo, che l'anno che verrà sarà migliore. Si alza la brezza dell'aurora e quella nebbia acre inghiottirà. L'alba del nuovo anno il cielo tinteggerà del chiarore delle rose. Chissà se mi porterà nuovi sussurri e cascate di stelle sprigionate dal piacere dei tuoi teneri abbracci.
Farfalle bianche cadono dal cielo, e in breve fanno sparire le differenze. Tutto uguale mi appare. L'orizzonte è piatto e chiaro. Una cascata di brina cade nel mio cuore, tutto è piatto e scuro e non c'è il sole che la scioglierà.
L'Uno è tutto esaurito, non lo trova più nessuno, a chi dà copia dell'Uno un milione è profferito.
Col più gran caffè concerto vien Giolitti un poco male per un male un poco incerto, vien con tutto il personale del Suffragio Universale. Ma - pagliaccio o rosso o bruno - tutti chiedono dell'Uno, l'Uno già tutto esaurito.
Finalmente il Vaticano lascia il Papa ed il Concilio, balla il tango col sovrano dal garofano vermiglio. Tutti vanno in visibilio: il prelato col tribuno, tutti chiedono dell'Uno: l'Uno - ahimè - tutto esaurito!
Trema all'Uno e terra e mare! La San Giorgio per isbaglio si rimette a galleggiare, perciò grato l'ammiraglio contro un già prossimo incaglio contro i tiri di Nettuno premunirsi vuol dell'Uno, l'Uno - ohimè - tutto esaurito!
Stanco d'essere il fantoccio d'un insipido frasario grida Verdi: Alfin mi scoccio di cotesto centenario. Qui m'annoio solitario. Ecco il Numero. Ma l'Uno? L'Uno - ohimè - non l'ha nessuno, l'Uno è già tutto esaurito!
Levigandosi l'alloro Gabriele inquieto appare: un mistero: il Pomo d'oro ben volevo ricercare sul rarissimo esemplare. Gabriele andrà digiuno; splende il numero, ma l'Uno, l'Uno è già tutto esaurito.
Vien Mascagni truce in vista ché su l'Uno spera già e già teme un'intervista "Poiché io sono - ognun lo sa - mammoletta d'umiltà... " - Che voi siate un fiore o un pruno, gran maestro, fa tutt'uno, l'Uno è già tutto esaurito.
Térésah, Carola, Amalia, l'altre insigni letterate, che oggi infiammano l'Italia, si presentano infiammate come tante forsennate: un prurito inopportuno tutte sentono dell'Uno, l'Uno - ohimè - tutto esaurito.
Non resiste la Gioconda, balla fuori arguta e gaia con la sua facciona tonda di perfetta giornalaia. Cento quindici migliaia mi richiedono dell'Uno! A chi dà copia dell'Uno un milione è profferito.
Oh successo inopportuno! L'Uno è già tutto esaurito!
Ah! Difettivi sillogismi! L'io che c'è sì caro, muore ad ogni istante senza rimpianto. Muore nel riposo e nella veglia. Un calice di vino un grano d'oppio, uno sbigottimento una ferita, basta a dileguarlo. Ma ci acqueta il pensiero che al risveglio ritroveremo intatto e vigilante il buono fanciulletto interïore che ci ripete d'esser sempre noi... Ah! Fanciullesca è veramente questa anima semplicetta che riduce alla nostra stadera l'infinito; nutre speranze, chiede privilegi più spaventosi del più spaventoso nulla, ché il nulla è non poter morire. Come pensare senz'abbrividire tutta l'eternità chiusa nell'io in quest'angusto carcere terreno? Quasi bramosi fantolini e vani preghiamo un bene e non sappiamo quale. Quando per anni o per follia s'offusca l'altrui cervello, quella decadenza più non c'inquieta della decadenza corporea. Permane la speranza che l'io del caro sopravviva ancora mentre è già come se non fosse più. Ora se quasi ci si acqueta in vita allo sfacelo della mente immemore che mai vogliamo dalla morte immune? Questa cosa di noi che vuol persistere indefinita, è dunque indefinibile come il raggio ch'emana dalla lampada, come il suono che emana dal lïuto; lampada e lïuto sono tra gli arredi più famigliari e semplici che posso scomporre ricomporre con le mani; il mistero m'appare se mi chiedo che sia, di dove venga, dove vada il prodigio del suono e della luce... Oimè! L'essenza che rivibra in noi non può per intelletto esser compresa da poi che l'io solo con se stesso, soggetto, oggetto della conoscenza, come uno specchio vano si moltiplica inutilmente ed infinitamente e nel riflesso è prigioniero il raggio di verità che l'occhio non discerne. Giova quindi sottrarci all'incantesimo alla voce che implora di rivivere come a un morbo insanabile terrestre. Negli attimi di grazia, quando l'io dilegua nei pensier contemplativi quando l'istinto tace e si compiace nella gioia dell'utile non nostro o freme ad una strofe ad una musica nell'ebrezza senz'utile dell'arte, forse ci giunge il pallido riflesso d'una luce remota, della vita che ci attende al di là, nel puro spirito, nel non essere noi, nell'ineffabile. È la fede che Socrate morente predicava all'alunno: «Datti pace! Non morirò: seppelliranno l'altro». È la luce che Baghava Purana rivelava sul tronco del palmizio: «Solo eterno è lo spirito. Non piangere su te su me su altri. Perché l'io ed il non io son frutto d'ignoranza. Desideravi un figlio, o Re; l'avesti; oggi provi lo strazio del distacco, strazio che dànno tutte le fortune a chi s'illude e pensa durature l'apparenze caduche della vita. Solo eterno è lo spirito. Nei tempi chi fu per te quel figlio che tu piangi? Chi tu fosti per lui? Che voi sarete l'uno per l'altro nell'ignoto andare? Sabbia del mare, foglie date al vento... Solo eterno è lo spirito. Consolati». Ma il re singhiozza disperato ancora e pel prodigio d'uno di quei rishy l'anima si ridesta nel cadavere, si guarda intorno sbigottita, dice: «In quale delle innumeri apparenze d'animali, di uomini, di devhas m'ebbi per padre questo che m'abbraccia? Non mi toccare: io non ti riconosco. O tu che piangi su di me non piangere. Solo eterno è lo spirito. Consolati!». Così parlato il giovinetto muore un'altra volta. L'anima s'invola eternamente. E il Re non piange più.