Poesie d'Autore


Scritta da: Widmer Valbonesi
in Poesie (Poesie d'Autore)

Temporale nel cuore

Che bello il temporale
dentro al cuore!
Pioggia di tormenti
che sale dalle viscere,
lampeggia nel cervello
scoppia e fa bufera
e, poi, ridiventa amore.
Pensate a quelle storie
dove tutto è solo quiete.
Non spira mai una brezza.
Non sorge mai una nuvola.
È tutto prevedibile, scontato
finiscono per noia, è garantito.
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    Scritta da: Widmer Valbonesi
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Ricordi e rimpianti

    Eppure un giorno apparirò
    Nei tuo ricordi
    E allora apprezzerai
    il mio dolce sguardo.
    Rileggerai le mie parole
    e capirai che
    scriverle poteva solo
    un poeta innamorato
    per una donna che lui
    aveva sublimato.
    Eppure un giorno apparirò
    Nei tuoi rimpianti,
    credevi di poterti esaurire
    nelle piccole cose quotidiane,
    essere da sola in libertà
    a cercare te stessa.
    Ti accorgerai che tu ,
    te stessa lo eri con me,
    l'altra metà di cose nuove,
    di sentimenti tormentati,
    di stimoli e confronti alimentati.

    Eh sì! Agli amori tanto grandi
    Si dovrebbe impedire di finire
    nei ricordi e nei rimpianti.
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      Scritta da: Widmer Valbonesi
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Più di un sogno

      Volare alto nel cielo,
      dove non ci sono nuvole
      e campeggia sempre il sole.
      Dipingere con pennelli di emozioni
      le pagine bianche della vita
      di forti sentimenti colorati.
      I sogni non durano
      e le illusioni spariscono
      disperse dal vento della realtà.
      Ma vivere è più di un sogno.
      È una continua melodia dove
      Si può anche stonare, ma dove
      anche una sola nota dolce
      può regalarti... la felicità.
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        Scritta da: Widmer Valbonesi
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Fremito

        È lì nel dormiveglia,
        confine dove si intrecciano
        desideri e sogni,
        dove i piaceri sembrano realtà,
        è lì, che modello il tuo corpo
        nelle mie lenzuola,
        ti abbraccio nel cuscino
        ed ho un brivido di gioia.
        È lì, che abbandono le spine
        e rifiuto ogni dolore
        in un mare di passione
        creo un'isola di tenerezza
        su un 'amaca mi dondolo,
        e la tua onda mi lambisce.
        Ad occhi ancora chiusi aspetto
        quel fremito che ti catturi l'anima.
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          Scritta da: Widmer Valbonesi
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Cascata di stelle

          Il giorno che verrà
          sarà l'ultimo
          di questo anno mesto.
          Bagliori e botti di petardi
          sfuocano il chiarore delle stelle,
          provocano guaiti di cani spaventati.
          Cenoni e tappi di spumante
          confondono l'intelletto e danno
          l'illusione, in tanto sfarzo,
          che l'anno che verrà sarà migliore.
          Si alza la brezza dell'aurora
          e quella nebbia acre inghiottirà.
          L'alba del nuovo anno il cielo
          tinteggerà del chiarore delle rose.
          Chissà se mi porterà nuovi sussurri
          e cascate di stelle sprigionate
          dal piacere dei tuoi teneri abbracci.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La ballata dell'Uno

            L'Uno è tutto esaurito,
            non lo trova più nessuno,
            a chi dà copia dell'Uno
            un milione è profferito.

            Col più gran caffè concerto
            vien Giolitti un poco male
            per un male un poco incerto,
            vien con tutto il personale
            del Suffragio Universale.
            Ma - pagliaccio o rosso o bruno -
            tutti chiedono dell'Uno,
            l'Uno già tutto esaurito.

            Finalmente il Vaticano
            lascia il Papa ed il Concilio,
            balla il tango col sovrano
            dal garofano vermiglio.
            Tutti vanno in visibilio:
            il prelato col tribuno,
            tutti chiedono dell'Uno:
            l'Uno - ahimè - tutto esaurito!

            Trema all'Uno e terra e mare!
            La San Giorgio per isbaglio
            si rimette a galleggiare,
            perciò grato l'ammiraglio
            contro un già prossimo incaglio
            contro i tiri di Nettuno
            premunirsi vuol dell'Uno,
            l'Uno - ohimè - tutto esaurito!

            Stanco d'essere il fantoccio
            d'un insipido frasario
            grida Verdi: Alfin mi scoccio
            di cotesto centenario.
            Qui m'annoio solitario.
            Ecco il Numero. Ma l'Uno?
            L'Uno - ohimè - non l'ha nessuno,
            l'Uno è già tutto esaurito!

            Levigandosi l'alloro
            Gabriele inquieto appare:
            un mistero: il Pomo d'oro
            ben volevo ricercare
            sul rarissimo esemplare.
            Gabriele andrà digiuno;
            splende il numero, ma l'Uno,
            l'Uno è già tutto esaurito.

            Vien Mascagni truce in vista
            ché su l'Uno spera già
            e già teme un'intervista
            "Poiché io sono - ognun lo sa -
            mammoletta d'umiltà... "
            - Che voi siate un fiore o un pruno,
            gran maestro, fa tutt'uno,
            l'Uno è già tutto esaurito.

            Térésah, Carola, Amalia,
            l'altre insigni letterate,
            che oggi infiammano l'Italia,
            si presentano infiammate
            come tante forsennate:
            un prurito inopportuno
            tutte sentono dell'Uno,
            l'Uno - ohimè - tutto esaurito.

            Non resiste la Gioconda,
            balla fuori arguta e gaia
            con la sua facciona tonda
            di perfetta giornalaia.
            Cento quindici migliaia
            mi richiedono dell'Uno!
            A chi dà copia dell'Uno
            un milione è profferito.

            Oh successo inopportuno!
            L'Uno è già tutto esaurito!
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Ah! Difettivi sillogismi! L'io
              che c'è sì caro, muore ad ogni istante
              senza rimpianto. Muore nel riposo
              e nella veglia. Un calice di vino
              un grano d'oppio, uno sbigottimento
              una ferita, basta a dileguarlo.
              Ma ci acqueta il pensiero che al risveglio
              ritroveremo intatto e vigilante
              il buono fanciulletto interïore
              che ci ripete d'esser sempre noi...
              Ah! Fanciullesca è veramente questa
              anima semplicetta che riduce
              alla nostra stadera l'infinito;
              nutre speranze, chiede privilegi
              più spaventosi del più spaventoso
              nulla, ché il nulla è non poter morire.
              Come pensare senz'abbrividire
              tutta l'eternità chiusa nell'io
              in quest'angusto carcere terreno?
              Quasi bramosi fantolini e vani
              preghiamo un bene e non sappiamo quale.
              Quando per anni o per follia s'offusca
              l'altrui cervello, quella decadenza
              più non c'inquieta della decadenza
              corporea. Permane la speranza
              che l'io del caro sopravviva ancora
              mentre è già come se non fosse più.
              Ora se quasi ci si acqueta in vita
              allo sfacelo della mente immemore
              che mai vogliamo dalla morte immune?
              Questa cosa di noi che vuol persistere
              indefinita, è dunque indefinibile
              come il raggio ch'emana dalla lampada,
              come il suono che emana dal lïuto;
              lampada e lïuto sono tra gli arredi
              più famigliari e semplici che posso
              scomporre ricomporre con le mani;
              il mistero m'appare se mi chiedo
              che sia, di dove venga, dove vada
              il prodigio del suono e della luce...
              Oimè! L'essenza che rivibra in noi
              non può per intelletto esser compresa
              da poi che l'io solo con se stesso,
              soggetto, oggetto della conoscenza,
              come uno specchio vano si moltiplica
              inutilmente ed infinitamente
              e nel riflesso è prigioniero il raggio
              di verità che l'occhio non discerne.
              Giova quindi sottrarci all'incantesimo
              alla voce che implora di rivivere
              come a un morbo insanabile terrestre.
              Negli attimi di grazia, quando l'io
              dilegua nei pensier contemplativi
              quando l'istinto tace e si compiace
              nella gioia dell'utile non nostro
              o freme ad una strofe ad una musica
              nell'ebrezza senz'utile dell'arte,
              forse ci giunge il pallido riflesso
              d'una luce remota, della vita
              che ci attende al di là, nel puro spirito,
              nel non essere noi, nell'ineffabile.
              È la fede che Socrate morente
              predicava all'alunno: «Datti pace!
              Non morirò: seppelliranno l'altro».
              È la luce che Baghava Purana
              rivelava sul tronco del palmizio:
              «Solo eterno è lo spirito. Non piangere
              su te su me su altri. Perché l'io
              ed il non io son frutto d'ignoranza.
              Desideravi un figlio, o Re; l'avesti;
              oggi provi lo strazio del distacco,
              strazio che dànno tutte le fortune
              a chi s'illude e pensa durature
              l'apparenze caduche della vita.
              Solo eterno è lo spirito. Nei tempi
              chi fu per te quel figlio che tu piangi?
              Chi tu fosti per lui? Che voi sarete
              l'uno per l'altro nell'ignoto andare?
              Sabbia del mare, foglie date al vento...
              Solo eterno è lo spirito. Consolati».
              Ma il re singhiozza disperato ancora
              e pel prodigio d'uno di quei rishy
              l'anima si ridesta nel cadavere,
              si guarda intorno sbigottita, dice:
              «In quale delle innumeri apparenze
              d'animali, di uomini, di devhas
              m'ebbi per padre questo che m'abbraccia?
              Non mi toccare: io non ti riconosco.
              O tu che piangi su di me non piangere.
              Solo eterno è lo spirito. Consolati!».
              Così parlato il giovinetto muore
              un'altra volta. L'anima s'invola
              eternamente. E il Re non piange più.
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