Riappari, irresistibile richiamo di un'eco non lontana E scrivo altre parole che si sparpagliano nel vento come foglie già appassite. Non più farfalle che rapite cercano il nettare nei fiori. Inutili sillabe o canzoni che mai potranno riportarmi il tuo amore o quelle parole languide che pronunciavi nell'abbandono.
Canti di germani reali e voli di alzavole che si stampano nel cielo rosa del tramonto autunnale. Odore di salsedine che giunge nella stanza e si amalgama ai sospiri dei corpi tesi nell'amore.
Guizzi di piacere come sprazzi di luce che nascono dai brillanti li percorrono come brezza e come languida carezza in un crescendo piano piano, si fonde nel crogiolo quell'amore e…. sembra l'infinito.
Ho aperto una cartella nel mio cuore e l'ho siglata con la parola amore. Tutto; gioie, dolori, desideri, passioni ed emozioni, gelosie, litigi e delusioni, stimoli, rispetto, affetto ed ambizioni. Tutto ho depositato in quel ricordo tutto quanto lì io ho archiviato. Poi, ho battuto, chiudendo gli occhi, dieci volte la tastiera a caso, …. una password sconosciuta m'impedirà di riaprire la cartella. Chissà se quella parola chiave saturerà la mia ferita! Così profonda oggi, mi appare e solo il tempo piano piano dirà un giorno se è guarita.
Cammino là in quel giardino in mezzo ad alberi ormai spogli su foglie secche ed appassite che scricchiolano ormai morte ed interfacciano il mio cuore.
Ritorno in quel sentiero e lascio le mie orme sulla brina che il sole scioglierà e cancellerà come le parole d'amore scritte sulla sabbia dopo una mareggiata mattutina, lettere, al tramonto, insieme disegnate nella risacca e quel mio passaggio rimarrà come meteora nel cielo.
Stamattina nel silenzio in mezzo al prato una viola e un ciclamino alzano la testa al riverbero dell'aurora. Un merlo esce dalla siepe d'incanto avverti che c'è la vita, la speranza rinasce in quella quiete.
Non turbate il silenzio. Tutto tace verso la donna rivestita a lutto: la campagna, lo stagno, il cielo, tutto illude la dolente... O pace! Pace!
O pace, pace! Poiché nulla spera ormai la donna declinante. Invano fiorisce di viole il colle e il piano: non ritorna per lei la primavera.
Oh antiche primavere! Oh i suoi vent'anni oimè per sempre dileguati. Quanto, oh quanto ella ha sofferto e come ha pianto! Atroci sono stati i suoi affanni.
Nulla più spera ormai: però la bella timida primavera che sorride dilegua la mestizia che la uccide, e un sogno antico in lei si rinnovella.
Non pure ieri il piede ella volgea allo stagno che l'isola circonda? Ella recava un libro ove la bionda reina per il paggio si struggea:
(avea il volume incisioni rare dove il bel paggio con la mano manca alla donna offeria la rosa bianca e s'inchinava in atto d'adorare).
O sogni d'altri tempi, o tanto buoni sogni d'ingenuità e di candore, non sapevate il vuoto e il vostro errore o innocenti d'allor decameroni!
Ella col libro qui venia leggendo e a quando a quando in terra s'inchinava la mammola, l'anemone, e la flava primula prestamente raccogliendo.
Oh tutto Ella ricorda: le turchine rose trapunte della bianca veste, la veste bianca in seta, e la celeste fascia che le gonfiava il crinoline.
Poi apriva il cancello, e il ponte stesso dove or riposa la persona stanca allora trascorreva agile e franca né s'indugiava come indugia adesso.
Poi entrava nell'isola, e furtiva in fra il tronco del tremulo e del faggio guatava se al boschivo romitaggio l'amico del suo sogno conveniva.
Oh tutto Ella ricorda! Ecco apparire l'Amato: giunge al margine del vallo dell'acque, e raffrenato il suo cavallo il cancello la supplica d'aprire.
"Non dunque accetta è l'umile dimanda del vostro paggio, o bella castellana? Combattuto ha per voi; fatto gualdana egli ha per voi, magnifica Jolanda. "
Egli disse per gioco. D'un soave sorriso ella rispose: assai le piacque il madrigale, ed al di là dell'acque, sorridendo d'amor, getta la chiave.
Oh tutto Ella rammemora. Non fu ieri? No, non fu ieri. Il lungo affanno ella dunque già scorda? O atroce inganno quel dolce aprile non verrà mai più...
Non turbate il silenzio. Tutto tace verso la donna rivestita a lutto, la campagna, lo stagno, il cielo, tutto illude la dolente... O pace, pace!
Laudata sii dal figlio che, compiuti vent'anni oggi lascia li inganni ritorna come giglio. Oggi il candor riceve sull'anima perduta della bianca caduta in terra prima neve, se la tua mano fina sì tenera e sì affranta recando l'Ostia Santa verso di lui s'inchina. Egli che tu ben sai per motivo nessuno ai ginocchi d'alcuno non si prostese mai, ai tuoi ginocchi indice l'umilicordia e attende mentre i labbri protende all'ostia redentrice. Oggi, lasciati i gaudi e i canti del Piacere, solleva l'incensiere di tutte le sue laudi. Laudata per l'amore - il solo di sua vita - per sua dolce infinita pazienza nel dolore. Eretta sullo stelo o Rosa adamantina invitta a la ruina, invitta a lo sfacelo, la casa il gran valore sorregge di sue vene, come i solchi trattiene la radice di un fiore. Più che la laboriosa femina dell'Ebreo, Madre di Galileo, o madre mia dogliosa, voglio esaltarti: voglio su le tempie che adoro recingere l'alloro del mio protervo orgoglio. Laudata sii. Il greve peso dell'esser mio nel mese che un iddio nasceva su la neve tu desti in luce. Forse venne l'Annunciatore e il bacio del Signore anche al tuo labbro porse? O sogno! Allora anch'io (il supremo che agogno sogno è raggiunto. O sogno!) son figlio d'un iddio?
Ho un biasimo solo dal quale saprai la mia gioia di vita. Perché non mi hai fatto immortale?