Pubblicata il 28 dicembre 2005 Poi che il romano Uccello lo stendardo latino impose su l'itale terre surgesti minaccioso baluardo. Surgesti minaccioso e nelle guerre che devastaron la campagna opima gran nerbo di guerrieri entro rinserre. Allora Duca non v'era non Reïna, ma molti feditori e balestrieri per il peggio dell'oste e la ruina. Rozzo sorgevi allora, ma tra i neri fianchi adunavi impavida coorte d'uomini armati di coraggio e fieri. Da i tuoi muri turriti da la forte ossatura dei fianchi da i bastioni le bertesche gittavano la morte su i signori feudali, su i baroni vogliosi di posar la man predace su nuove terre e aver nuovi blasoni. L'Evo Medio passò, ma non si tace per anco il ferro: i Conti San Martino nell'antico manier non hanno pace. Il Torresan, secondo Attila, insino questi colli per ordine di Francia porta guerra con suo stuolo ferino. Ma il Bassignana sua coorte slancia e, mentre fra le braccia di Leonarda meretrice quei dorme, ecco l'abbrancia. Nel diruto castello fino a tarda etade vive Donna Caterina sposa esemplare in epoca beffarda. E contro il Cardinale che Cristina di Francia come sua suddita guarda Don Filippo difende la Regina. Per alcun tempo qui, quando la tarda baronia declinò, ristette l'urna che d'Arduino il cenere riguarda. Ma invidïosa poi ladra notturna viene coi bravi antica Marchesana, l'urna si toglie e fugge taciturna. O quante larve vivono d'arcana vita in miei sogni! Parlano gli abeti del grande parco, s'anima la piana dei prati illustri. Appare fra i laureti bella ospite del Re Carlo Felice Maria Luisa da i grandi occhi inquieti ed ecco il Re che un'era nuova indice, ecco Maria Cristina sua consorte, ecco risorta l'epoca felice. Così mentre m'aggiro e su le morte foglie premo col piede lungo il viale mille imagini son da me risorte. E tutto tace. Non il sepolcrale silenzio rompe il suono delli squilli non latrato di veltri. L'autunnale luce è silente. Non canto di grilli estivo e roco. Solo indefinito fievole viene un suono di zampilli. È il ferro di cavallo. Quivi ardito sul delfino cavalca ancor Nettuno di verdi-gialli licheni vestito. Le sirene lapidee dal bruno manto di musco accennano al ferrigno Signor del luogo. E non risponde alcuno. Però su l'acque in tempo eguale il Cigno muove le palme con ritmo silente e volge attorno l'occhio fiero e arcigno. Sogna ancor forse Leda nelle intente pupille nere lungo la divina sponda d'Eurota? Ahimè, la Dea è assente. Ma fra i mirti, fra i lauri la Regina del luogo appare cavalcante e bionda come bianca matrona bizantina. Avanza il baio fino su la sponda del bacino. Si specchia trepidante la signora nell'acqua. E il sol la inonda. E l'erme antiche memori di tante Iddie pagane del bel mito assente la rediviva Diana cavalcante guatano immote, misteriosamente. Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Dal pavimento di musaico, snelli colonnati surgevano a spirale s'attorcevano in forma vegetale li acanti d'oro sotto i capitelli. Quivi posava un vaso - trionfale sculptura greca - e ai dì lontani e belli di Venere accorrean schiave a drappelli per colmarlo di mirra e d'aromale. E le turbe obliavano l'orrore aspirando l'aulir dell'incensiere lenitore d'affanni e di dolore. Simile a l'urna Voi amo vedere, dolce Signora, che col vostro amore, m'offerite la coppa del Piacere. Vota la poesia: Commenta
Pubblicata il 28 dicembre 2005 Mammina diciottenne Non mai - dico non mai - così m'infiamma il senso d'una vita bella e forte come quando apparite nelle corte gonnelle d'alpinista, esile damma! Non m'irridete! Ché nessuna fiamma come costoro che vi fan coorte m'invita a seguitar la vostra sorte, o Margherita, giovinetta Mamma! O Margherita, mamma diciottenne, chinatevi sul bimbo vostro e ad ogni bacio s'unisca l'oro delle teste. Guardandovi così fu che mi venne come un rimorso di cattivi sogni e un desiderio di parole oneste. Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Il modello Perché non tenteremo la fortuna d'un bel sonetto biascicante in ore e dove il core rimi con amore e dove luna rimi con laguna? Pensiero! - E non bellezza inopportuna. Sincerità! - Il tema delle "otto ore". Amore! - Un tal che si trapassa il core per una sarta, al chiaro della luna. "Ma che arte, che lima!... Chi s'adopra, scrivendo, a farsi intendere con poca fatica, sarà valido e sincero... " Così farò. Così, lasciata l'opra del paiolo e del mestolo, la cuoca dirà con te: "Ma qui c'è del pensiero! ". Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 A un demagogo Tu dici bene: è tempo che consacri ai fratelli la mente che si estolle anche il poeta, citaredo folle rapido negli antichi simulacri! Non più le tempie coronate d'acri serti di rose alla Bellezza molle; venga all'aperto! Canti tra le folle, stenda la mano ai suoi fratelli sacri! E tu non mi perdoni se m'indugio, poiché di rose non si fanno spade per la lotta dei tuoi sogni vermigli. Ma un fiore gitterò dal mio rifugio sempre a chi soffre e sogna e piange e cade. Eccoti un fiore, o tu che mi somigli! Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 La loggia Noi ci vedemmo sotto cieli tetri, vite di Cipro, al tempo che tu arricci pochi rimasti pampini ed arsicci sui tralci immiseriti come spetri. Ci rivediamo che ricopri i vetri di verde folto, allacci di viticci e attingi coi tuoi grappoli biondicci la loggia, in alto, più di venti metri. Chi vede le tue prime foglie vizze, o loggia solatia, in Vigna Colta, come un'amica dolce ti ricorda. Tu fosti che indulgesti alle sue bizze, quando Centa vietava la raccolta alla piccola mano troppo ingorda. II. M'è caro, loggia, poi che le tue pigne la nuova luna di settembre invaia, piluccare i bei chicchi a centinaia fra le grandi compagini rossigne. Più mi compiaccio in te che nelle vigne, ma, poiché getto i fiocini ne l'aia, Centa s'avvede, Centa la massaia mi ricerca con l'iridi benigne. «Bevesti il latte che non è mezz'ora! Uva e latte dispandon per le membra tossico fino! Quella gola stolta!...» Sgridami, Centa! Sali come allora a condurmi pel braccio via! mi sembra che tu debba allevarmi un'altra volta... Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 L'esilio Non ti conobbi mai. Ti riconosco. Perché già vissi; e quando fui ministro d'un rito osceno, agitator di sistro t'ho posseduta al limite d'un bosco. Bene ravviso il sopracciglio fosco le bande fulve... Chi segnò di bistro l'occhio caprino gelido sinistro? Or ti rivedo in un giardino tosco, vergine impura, dopo mille e mille anni d'esilio. Tu, fatta Britanna, scendi in Italia a ricercarvi il sogno. Sono tre mila anni che t'agogno! Ma com'è lungi il sogno che m'affanna! Dove sono la tunica e le armille? ii. Dove sono la tunica e le armille d'elettro che portavi a Siracusa? E le fontane e i templi d'Aretusa e l'erme e gli oleandri delle ville? Del tempo ti restò nelle pupille soltanto la lussuria che t'accusa, vergine impura dalla fronte chiusa tra le due bande lucide e tranquille. E questa sera tu lasci le danze (per quel ricordo al limite d'un bosco? ) tutta fremendo, come un'arpa viva. Giungono i suoni dalle aperte stanze fin nel giardino... O bocca! Riconosco bene il profumo della tua genciva! Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Garessio Dalle finestre medioevali e oscure non più le dame guardano i cavalli e i cavalier passar per queste valli, corruscanti di lucide armature. Dalle finestre medioevali e oscure non più ridon le dame ai bei vassalli, ma i garofani bianchi, rossi, gialli protendono le gran capigliature... Pace e Silenzio! Fiori alle finestre che invitano a piacevoli pensieri! Ed ecco in alto, nel dirupo alpestre fra le balze dei ripidi sentieri Voi, o Maria, Voi che date al vento il dolce riso e i bei capelli neri! Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Fratelli Nell'impero dell'acque e delle nubi dove regnava il pecoraio e il gregge, o Numero, già fatta è la tua legge dalla potenza delli ordegni indubi. Conduce un filo il moto che tu rubi all'acqua e vola cento miglia e regge gli opifici rombanti di pulegge e di magli terribili e di tubi. Ben riconosco il Verso tuo fratello onnipossente Numero! Tu fai a noi men disagevole il sentiero. E il tuo parente più leggiadro e snello ci fiorisce le soste di rosai e di menzogne dolci più del Vero Vota la poesia: Commenta Pubblicata il 28 dicembre 2005 Il corruscante cielo d'Oriente a gran distesa lodano gli uccelli, Aurora arrossa i bianchi capitelli sul tempietto di Leda, intensamente. Tolgon commiato tra le faci spente gli ospiti stanchi. Un servo aduna i belli fiori che inghirlandano i capelli e li gitta allo stagno, indifferente. Le rose aulenti nella notte insonne, le rose agonizzanti, morte ai baci nelle capellature delle donne, scendon piano con l'alighe tenaci, in su la melma livida e profonda, con le viscide larve dei batraci. II. Pace alle rose in fondo dello stagno, in loro fredda orrenda sepoltura; pur anche la sua gran capellatura dischioma l'olmo il pioppo ed il castagno. Il cigno guata, mutolo e grifagno, lo stagno ricolmarsi di frondura. Silla, sognamo. Tutto ci assicura l'ultima pace e l'ultimo guadagno. Guarda, fratello: innumeri le foglie attorte e rosse e gialle, senza strazio, distaccansi dal ramo, lentamente; la Madre antica in sé tutte le accoglie. Sognamo, Silla, memori d'Orazio, quel sogno confortante che non mente. III. Perché morire? La città risplende in Novembre di faci lusinghiere; e molli chiome avrem per origliere, bendati gli occhi dalle dolci bende. Dopo la tregua è dolce risapere coppe obliate e trepide vicende - bendati gli occhi dalle dolci bende - novellamente intessere al Piacere. Ma pur cantando il canti di Mimnerno sento che morta è l'Ellade serena in questo giorno triste ed autunnale. L'anima trema sull'enigma eterno; fratello, soffro la tua stessa pena: attendo un'Alba e non so dirti quale. IV. Che giovò dunque il gesto di chi disse: «Il gran Pan non è morto! Ecco la via dell'allegrezze nove. Ovunque sia dato l'annunzio del novello Ulisse! Il flavo Galileo che ci afflisse di tenebrore e di malinconia e quella scialba vergine Maria e quella croce diamo alle favisse!»? Nulla giovò. L'impavide biasteme non rianimeran lo spento sguardo dei numi elleni sugli antichi marmi. «Lor giuventude vive sol nei carmi.» Secondo la parola del Vegliardo il fato ineluttabile li preme. Vota la poesia: Commenta Ultimi argomenti inseriti