Io vedo i grandi alberi della sera che innalzano il cielo dei boulevards, le carrozze di Roma che alle tombe dell'Appia antica portano la luna.
Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.
Pure, lunga la vita fu alla sera di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo, alle luci sorgenti ai campanili ai nomi azzurri delle insegne, il cuore mai più risponderà?
Oh, tra i rami grondanti di case e cielo il cielo dei boulevards, cielo chiaro di rondini!
O sera umana di noi raccolti uomini stanchi uomini buoni, il nostro dolce parlare nel mondo senza paura.
Tornerà tornerà, d'un balzo il cuore desto avrà parole? Chiamerà le cose, le luci, i vivi?
I treni di pena tirano fuori dal letto paesi grondanti e stravolti fatti di piccoli mattini chiusi di lunghi vagheggiamenti d’erbe e isole dove in procinto di raggiungere la zona delle turbolenze le lavoratrici vanno a gettare il figlio del loro sonno Il cielo non esiste è la cifra degli occhi caduti nella cenere come se l’anima non avesse più i mezzi per rilanciare sotto la palpebra l’impossibile navetta del bene
Il gusto della vita sai è in tutti noi se tu sogni sempre non lo troverai vivi la tua vita per ciò che oggi hai e allora vedrai che lo scoprirai... I sogni ad occhi aperti non sono veri Sono le proiezioni dei nostri desideri Tu sogni, la vita passa non ti aspetta Allora vivila... e sognerai in diretta...
Passeggiavo, strisciando un po' il passo Con il bavero alzato a riparo Per quel viale affollato e deserto. Non avevo una meta precisa Guardavo questo mondo incerto Della vita sapevo dir solo... male! Ad un tratto in mezzo alla gente S'avanzò con volo sicuro Una "tortora" bella, fine, elegante. Rimasi incerto, stordito e colpito Dal suo fare calmo e compito. Lei passò pian piano senza notare Che tutti intorno erano fermi a guardare Lei, il suo passo, il suo modo di fare. Io riuscii solo a pensare Che dovevo scoprire il segreto Per poter imitare quel volo.
È una fine giornata come tutti ne abbiamo conosciute: le cose sono al loro posto, il mondo potrebbe rovesciarsi, il quadro, il soggetto, niente cambierebbe aspetto – a meno che, come qui, il figlio di Jacopo, il pittore, non scivoli tra la scena e il pennello e non se ne resti là, con gli occhi grandi aperti sull'angolo più scuro, questa sorda follia che non può accettare né rifiutare: l'indifferenza dei vivi per i vivi – e se interroga il vuoto, è come se cercasse di che riempire la notte e gli occhi di Lazzaro al tempo stesso.
Alto eucalipto e ampia luna. Una stella trasale nell'acqua. Cielo bianco, argentato. Pietre, pietre scorticate fino in cima. Accanto, nel basso fondale, s'udí il secondo, il terzo salto d'un pesce. Immensa, estatica orfanezza – libertà.
Sono in tre attorno alla tavola, l'uno tiene distrattamente una viola sulle ginocchia ma non suona, l'altro con il piatto vuoto sulla tovaglia logora, il terzo è una donna dal corpo bianchissimo, i seni offerti alla luce di questa fine giornata in cui ciascuno aspetta qualche cosa in più che si nega, ostinatamente si nega. Sono in tre attorno alla tavola e tu sei il quarto nell'angolo perso della tela, a raccogliere le briciole sotto la firma illeggibile.
I bambini che s'insinuano tra le nostre parole come un punto e virgola, sanno tutto e si ricordano della nostra fatica di dire la vita che passa e di come l'amore è difficile. Insinuano cantando un dito leggero nella scollatura del mondo che ci copre poi si fermano con la guancia contro l'orecchio del gatto con un viso grave e chiuso così in fretta da farci perdere l'equilibrio, gettarci fuori dal tempo, d'un tratto muti come accanto a un pozzo colmo di parole mentre si arrotonda, vera dei nostri giorni, delle nostre vane parole, la pupilla del gatto.
Non illuderti, ne restano tracce. Un cristallo del desiderio un filo di quel miele. Qui dentro fosti amato, qui amasti e non in sogno. Prenderanno in custodia la stanza vuota – reti e pinze e cartasughe sensitive fibra a fibra l’amore ripescando. Quei gelidi seguaci di Lussuria a perlustrare la vita.