Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Vicino a me e dentro di me

C'è una donna più bella di te
nel tavolino seduta vicino a me
c'è una donna più ricca di te
nel tavolino seduta vicino a me
c'è una donna più bionda di te
nel tavolino seduta vicino a me
c'è una donna sola nella mia mente
mentre sono seduto davanti ad una donna
seduta nel tavolino vicino a me.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Gabbiano India

    Come un Gabbiano volerò
    incitato
    da alberi dalle fronde scomposte
    io, piccolo Buddah dell'amore sorridente bikku
    volerò
    sulla tua pelle sincera
    piegata nel Karma
    raccolta sul sasso
    di un piccolo fiume
    nel sole, nel sorriso,
    silenzioso azzurro perfetto
    dove le nostre ombre s'incontrano
    solitaria India
    occhi di brace
    sentimento fanciullo
    gabbiano suadente
    così
    importante.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La crisi

      Quell'alba
      di nefandezza stantia,
      armonia
      perduta d'un tempo d'arte,
      oppure un ritorno
      alle origini
      del giorno.

      Colpa dei pescatori di Granada,
      colpa dei timori,
      dei prossimi abbagli
      spazianti verso stordita luce
      da sbagli;
      sguardo rivolto ai popoli di montagna
      che indipendenti scappano verso la Crimea
      attraverso il mare di Azov,
      pensiero rivolto alle crome intense
      e sguardi sfibrati attorno
      ciò che tento di trovare non offrono
      sempre,
      dall'esterno in nessun caso niente;
      trovare armonia,
      armonia perduta d'un tempo d'arte.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Siamo tutti figli della stessa madre

        Chi muore è un eroe allora siamo tutti eroi
        e siamo tutti cantanti alcolizzati,
        tutti liberi da ogni male, tutti dei dell’Olimpo
        con il permesso di fulminare i passanti.
        Tutti siamo dadi e rotolare ci fa stare bene,
        soavemente rotolare ci fare stare bene.
        Siamo tutti figli della stessa madre
        e nostro padre è il milite ignoto,
        nostro padre è un mezzo Buddha
        che ignora il nostro rotolare soave.
        Nostro padre ha una barba finta,
        è truccato male e fuma il sigaro
        nei giorni feriali, nei festivi muore,
        soavemente muore, rotolando muore.
        Abbiamo dato i nostri risparmi
        per la nostra droga, noi tutti,
        soavemente ora rotoliamo.
        Dio non è santo, noi tutti preghiamo
        i santi del cielo maldisposto
        e cerchiamo il nostro dio ad ogni costo.
        Siamo tutti delle spie sull’orlo del braciere,
        intenti solo a rotolare, senza paura di bruciare.
        Siamo tutti suicidi, secondini nell’ora di libertà,
        non sappiamo stare al nostro posto perché amiamo rotolare,
        siamo poeti a dondolo alla mercé dei nostri nemici,
        perché non abbiamo partiti per i quali votare.
        Siamo il nemico e tutti i figli suoi
        e non conosciamo il futuro, così certo.
        Voltati, bendati, siamo il plotone d’esecuzione,
        davanti ci troviamo i nostri peccati,
        con proiettili scheggiati
        miriamo al cuore del nostro passato.
        Stiamo tutti in coda, fanti di coppe,
        alfieri rossi su caselle bianche,
        siamo il bossolo nel caricatore,
        pallina rotolante rotoliamo nella roulette
        fino a svenire di vanità e di noia.
        Indagati per illeciti, illecito è il nostro pensare.
        Siamo città inventate su mappe dell’Impero,
        calici ricolmi di bronzo fuso fumante,
        orizzonti innevati dall’alba polare,
        rotoliamo sul nevischio soave.
        Con gli zigomi ardenti scaliamo le montagne
        alla ricerca del segreto del rubino
        ma siamo noi il segreto e siamo noi il rubino.
        Diciamo parole di cotone e cantiamo,
        soavemente cantiamo liturgie pagane
        e flauti sono le nostre braccia, arpe i nostri capelli
        e violini le dita e viola il nostro cuore.
        Catapulte, masse di fuoco,
        incendiamo i villaggi dei giusti
        ma siamo noi i giusti, siamo noi i nostri avi
        che viviamo a stento per raggiungere la morte soave.
        Siamo l’esorcismo divino, sbronzati rotoliamo
        verso l’estasi dei deboli, siamo i fragili.
        Tutti camionisti senza carico,
        sorpassi in corsia d’emergenza,
        sirene soavi spiegate per la tangente.
        Noi siamo la nebbia, avvolgiamo rotolando,
        avvolgiamo il sole, stiamo nel sole
        e aspettiamo l’attimo per morire.
        Ma chi è mio padre, chi è mia madre?
        E noi, chi siamo noi?
        Noi siamo soli, fuori soli
        e soli lottando, soli fuggendo,
        soli rotolando, soavemente rotolando.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          L'anno 3000

          Il cielo è nero
          su una chitarra
          che accompagna il cavaliere della luna
          mentre
          un giocatore sublime
          danza vorticosamente
          con una gonna al vento
          e i capelli rossi di donna
          su una bianca spiaggia.

          Uccelli migranti sulla
          nube
          della grande sera
          costruiscono i nidi di ghiaccio
          dell'ultima estate perduta.

          Il ciclo dei robot
          è oltre il tramonto:
          stirpi di uomini vagano
          nella città della vertigine
          e gli angeli
          piangono i 150 anni in giallo
          in un giardino dell'Eden.
          Io guardo il segreto del
          millennio
          per la straordinaria storia dell'uomo.

          Cittadino della xxvii città
          muoio
          alla ricerca di balene
          che restano sedute sulla spiaggia.

          Il coprifuoco indaga
          sul gioco delle passioni:
          dunque vivrò come
          le famiglie dei castori,
          delle foche,
          degli scoiattoli
          e dormirò,
          per l'ultima volta,
          su un letto di leoni,
          simile a stirpi di uomini
          nella terra di Canaan.

          Il libro dei re si apre,
          ormai,
          sulla fondazione della terra
          con insostenibile leggerezza:
          mostra, solo,
          una mano senza pelle,
          complice di Dio.

          Ecco un centauro lontano
          che piange
          lacrime d'ambra
          su una croce di cristallo:
          forse domani
          la mia stanza vuota
          si riempirà
          delle piaghe della storia.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Dolce signora

            Dolce signora della mia prima
            elementare,
            hai sempre sulla bocca
            quella semplice canzone da due
            soldi?

            Sai,
            sento ancora le grandi gocce di pioggia
            che battono sui vetri,
            ed oggi, pensa un po',
            anche la mia scrivania è color noce.

            Forse non sei stata veramente
            così bella
            come ti ricordo:
            sei soltanto un aquilone sperduto tra
            le nuvole grigie dei rimpianti
            e trasportato in alto dal vento.

            Ho avuto un sogno troppo
            breve
            per farti risvegliare oggi,
            dolce signora di un mondo ovattato!
            Nel tuo cuore batte ancora
            la pioggia di quel novembre buio
            che ora sento dentro di me?

            Un bacio corre sull'illusione
            della mia fanciullezza
            e la vecchia estate è ferma,
            catino della memoria, infernale ed impietoso.

            Dolce signora della mia prima
            elementare,
            adesso sto danzando con una sconosciuta:
            forse ho volato oltre l'aurora.

            Ma tu non avrai freddo
            e suonerò per tutta una vita elementare,
            con una chitarra spezzata:
            ricorderò ancora il bambino vestito
            d'azzurro,
            mentre è il profumo del tuo fiore
            rosso
            che mi ha ucciso.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Sei dunque tu

              Sei dunque tu,
              Dio del tumore di mia madre,
              Dio dei bambini di Brasilia,
              Dio degli sguardi di terrore ubriachi,
              Dio delle donne di Zabrè riunite in
              cooperative?

              Tu ritorni indietro nel tempo,
              perché io sono dentro di Te e
              fuori di Te,
              e Tu sei dentro di me e fuori di me,
              tra questi cieli, questi uccelli,
              queste pietre, questi ulivi.

              Questo tuo suono di pace
              conosce i miei silenzi
              ed i miei sogni,
              ed il fruscio degli alberi è clemente
              come una mite aurora.

              Vieni, o Dio, con le mani giunte
              ed udrai i miei sospiri,
              poveri,
              di un fanciullo pallido,
              e la piazza della chiesa, il sonno
              della memoria e l'odore
              d'incenso.

              Dio degli eterni e dei miei
              tanti errori,
              quante cose ho schiacciato per non
              morire;
              poche volte ti ho cercato
              ma sempre ti ho voluto,
              mentre le bianche mani toccavano
              un santino colorato,
              memoria e sogno,
              fichi ed erba gialla,
              cielo stellato e voce di
              donna.

              Prigioniero di me stesso e
              degli altri,
              con te mi tornerà la fiaba dei
              giorni lontani:
              non sono più solo
              su una piazza deserta di sole.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Qualche volta ti sento,... sono sicuro... sei tu,
                il tuo volto col vento arriva fino a me:
                quelle volte mi pento della mia gelosia
                ma è soltanto un momento... e il vento presto ti fa volare via.

                Ma io voglio un oceano di colori e luci,
                voglio un tappeto che corre veloce,
                voglio un gregge che pascola nel cielo,
                voglio un enorme cappello di pioggia,
                voglio una donna che gira nel sole,
                voglio un cielo di muschio e di lana.

                E allora ingabbierò il vento,
                alle porte di quel buio, dove il silenzio
                è la voce sguaiata di una vecchia senza amore:
                la mia sarà una ridente nostalgia di un cuore,
                una confusione, tra vita e... poesia,
                E mi domando se un'idea come sei tu, una idea... perché tu sei
                solo lidea (non deali),
                possa essere legata a una catena:
                ho provato una gran pena, credimi
                ascoltando il vento fuori,
                che corre libero, ovunque va, ovunque vuole
                come adesso i miei pensieri verso di te.

                E allora ingabbierò il tempo,
                perché la moglie di un pedestre comandante non può vivere
                solo e da sola nella mia mente:
                perché l'amore non basta mai nell'ora
                che é sospesa tra gli angeli,
                perché col vento non passa mai il tempo e
                questo tempo mi ha cercato, ti ha cercato, ci ha cercato... mentre
                io cercavo te
                o forse mi illudevo di cercare.
                E io sono un po' folle, un po' saggio
                nello spendere sempre ugualmente la mia paura e il mio coraggio,
                la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha
                portato,
                la paura e il coraggio di dire: " io ho sempre tentato
                io ho sempre tentato, io ho sempre tentato... almeno".

                Ma non ingabbierò te,
                non ti chiuderò in nessuna gabbia, neppure di oro,
                perché voglio ancora leggere nei colori del vento,
                perché voglio sentire i suoni immemori del tempo,
                perché voglio guardarmi di spalle mentre parto,
                perché voglio pescare il pesce d'oro di un mio e tuo impossibile
                sogno,
                perché voglio scendere dalle stelle per toccare la tua bocca,
                perché voglio rubare le chiavi al cielo e darle a te,
                perché l'inferno esiste ma solo per me che lo temo,
                perché la paura dura più dell'amore e io non voglio aver paura ...
                ma ho paura,
                perché sono un bambino che cammina sull'acqua e tu sei le mie
                rotaie,
                perché sono un uomo che insegue la tua ombra che si chiama, anche,
                nostalgia di me.

                E ti lascerò,
                perché non voglio essere violentato dal tuo sogno,
                perché, proprio io, ho paura di trovare la tua chiave,
                perché non voglio sentire il suono della tua eternità che mi rende
                sordo,
                perché una tua nota suona falsa nel pentagramma della mia vita,
                perché manca il tuo lievito che porta alla perfezione dell'amore,
                perché non voglio trovare una tua conchiglia rossa nella rete
                delle mie illusioni,
                perché non voglio stare al caldo abbraccio di una tua doccia
                fredda,
                perché non voglio tue promesse che non saranno mai pagate,
                perché non posso svenderti i miei sogni,
                perché, alla fine, mi hai detto e, forse, mi hai dato solo... le
                tue "stronzate".

                E ti lascerò,
                e quel giorno senza di te non sarà un giorno triste:
                lo regalerò ad un uomo fermo sulla strada che va verso il sole,
                all'eco silenzioso di una immagine ormai troppo lontana,
                al famelico cuore di un leone assetato,
                a qualcuno che insegue la vita regalando sorrisi,
                alla gelida carezza di una violenza subita,
                alla donna che entra in un giardino ormai senza cancello,
                a qualcuno che si è perso nel suo stesso abbandono,

                E ti lascerò...
                per poter vivere di nuovo e... sognare
                ospite di un ballo in maschera in cui tu non ci sei e io sono solo
                la maschera,
                una maschera che unisce piacere ed amore senza poter mai creare...
                un dolore!
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