Riparo sotto gli alberi, secoli di fuoco sulla loro corteccia, notizia remota delle profondità nelle loro vene, sogno nella loro quiete, tranquillità nel cullarsi del loro calice.
Mi duole in petto la bellezza: mi dolgono le luci nel pomeriggio arrugginito; mi duole questo colore sulla nube – viola plumbeo viola repellente; il mezzo anello della luna che brilla appena – mi duole. Passò un battello. Una barca; i remi; gli innamorati; il tempo. I ragazzi di ieri sono invecchiati. Non tornerai indietro. Serata grigia, luna sottile, – mi fa male il tempo.
In modo maldestro, con ago grosso, con filo grosso, si attacca i bottoni della giacca. Parla da solo:
Hai mangiato il tuo pane? Hai dormito tranquillo? Hai potuto parlare? Tendere la mano? Ti sei ricordato di guardare dalla finestra? Hai sorriso al bussare della porta?
Se la morte c'è sempre, è la seconda. La libertà sempre è la prima.
Placido sopore e spicchi di lunula, Unghie che mappano gli ignudi corpi, Tastano care dita, e i manicordi Sotto le lenzuola han dolci armoniche. Perlustro il marame della mia stanza E trovo pace che bruna s'increspa, Filiforme, Mediterraneo antico Per le illiriche liburne sottili. Lembo di terra estremo su cui batto Le pensate onde alessandrine, faro, Tu mi affascini un cuore che rinvergina. Spengo l'ultima cicca: a sei colonne E timpano completo un crepidoma. Ho un tempio classico nel portacenere.
Non avrei voluto essere quella foglia morta di platano sola in mezzo al marciapiede pulito che la vecchia seccata di lì passando sotto una scarpa ha strascicato in strada prima di riprendere le sue faccende e il cammino.
Domenica andremo al parco La mia verde bicicletta d’antan La tua inglesina bianca con il cestino Saranno macchine del tempo Fino a sentirci primo Novecento
E di questo soltanto saremo contenti Pedalando Tu ed io un altro giorno equilibrando In equinozio di primavera
È inutile, se il meticcio alza la gamba e orina sullo zolfo del perimetro perbene. Le bottiglie d'acqua non le degna certo il padrone, si rovesciano per vari eventi ancora tappate e colme sul marciapiede o sulla strada. L'apposita appiccicosa forchettina di plastica si piega ma non s'infilza nella dura polpa zuccherina del dattero denocciolato, ed è sùbito da buttare. È inutile quando la primula bianca passa e s'increspa da se stessa che era in pattumiera; idem tutti i fiori che avrei potuto regalarle.
I morsetti fermafogli sono da anni nella confezione, non hanno mai pinzato la mezzeria dell'apertura, non hanno mai tenuto uniti i fogli di un quotidiano. Anzi, il giornale comprato ogni giorno, certi giorni nemmeno riesco a sfogliarlo; finisce nella pila perfettamente piegato per un futuro raptus delle pulizie, ed è inutile. È inutile la nostalgia appassionata del fado: se non conosco il portoghese, e non lo conosco, mi annoia. Lo stesso potrei dire di altro ed altro ancora.
Bassa pianura d'impermeabile mortale argilla dove arrivano il fiume e i suoi depositi, con poiesi e parole, vi sto forse tracciando le isoipse delle altitudini sognate, mancate? Nel lattice sottile ad oggi un altro figlio è in salvo da questo uomo.