Il vento di scirocco prende forza di libeccio, Le nubi corrono rapide sopra la luna, La casa è sferzata come da un flagello, Il comignolo trema sotto la raffica.
Una notte come questa, quando l'area allenta La sua vigile stretta su sangue e cervello, Vecchi terrori di Dio o di fantasma Tornano in vita strisciando dalle loro caverne;
E Ragione s'avvede d'abitare Una casa infestata. Ignoti casigliani Affermano il loro squallido diritto di peccato Con un titolo più antico del suo.
Presenze incorporee, affollata Profanazione e rimorso del Tempo, Sfuggite all'oblio, ripetono Gli orrori del delitto sconsacrato.
C'è chi tenta di placare con preghiere l'ombra I cui passi invisibili calcano il pavimento, La cui paurosa irruzione sale le scale O forza la serratura della porta vietata.
C'è chi ha veduto cadaveri interrati da tempo Sottrarsi alla santa vigilanza, Pallide forme sepolcrali; e ha perfino udito Gli striduli lamenti d'un'anima in pena,
Errabonda sin che l'alba non abbia varcato La tenebra dogliosa, e la terra stretto Più a sé il manto sparso d'uragano, e cacciato I lugubri fantasmi nella tomba.
Uscendo dal vecchio grandioso Museo Britannico Talete e l'Aretino in grembo al Regent's Park il flogo crepita sotto il tuono bellezza scarlatta in questo mondo pesce morto alla deriva tutte le cose piene di dèi spremuti e sanguinanti un uccello tessitore è mandarino l'arpia è ormai spacciata anche il condor col suo boa spellacciato guardano fisso attraverso il colle delle scimmie gli elefanti l'Irlanda la luce cala lungo il loro vecchio canyon familiare mi succhia via verso quella vecchia certezza il c. Lo ardente di Giorgio il trapano ah di là una vipera addenta il suo topo bianco come neve nel suo abbagliante forno flusso di peristalsi limac labor
ah padre padre che sei in cielo
mi trovo a confondere il Crystal Palace con le Isole Beate da Primrose Hill ahimè debbo essere quel genere di persona andiamo a Ken Wood chi mi troverà l'alito trattenuto in mezzo ai cespugli nessuno fuorché i piú rintanati amanti
mi sorprendo commosso dai molti fumaioli piegati in omaggio al ponte della Torre riverenza del serpente che esce dalla City o rientra finché nell'imbrunire una chiatta cieca di orgoglio scosta via la sciarpa delle basculle poi nella grigia stiva dell'ambulanza pulsando sull'orlo marca di sospiri poi giù mi immergo tra la canaglia fìnché un tizio dannati i suoi occhi cerchiati mi chiede se ho finito col giornale zoppico via infuriatissimo sotto le Stanze degli Sposati Torre boia e via via lontano in gran fretta verso il gigante spaccone di Wren e maledico la giornata ingabbiato ansimante sulla banchina sotto la caldaia lucida non sono nato Defoe
a Ken Wood però chi mi troverà
mio fratello la mosca la mosca domestica trascinandosi dal buio alla luce si aggrappa al suo posto sotto il sole si arrota le sei zampe si compiace dei suoi piani dei suoi bilichi è l'autunno della sua vita non poteva servire al tifo e a Mammona.
Prima dell'alba sarai qui e Dante e il Logos e tutti gli strati e i misteri e la luna segnata oltre il piano bianco di musica che stabilirai qui prima dell'alba.
Seta grave soffice cantante chìnati sul nero firmamento di areche pioggia sui bambù fiore di fumo viale di salici Alba chi anche se ti chini con dita di pietà a avallare la polvere non aggiungerà alla tua munificenza la cui bellezza sarà un foglio davanti a me una dichiarazione di se stessa stesa attraverso la tempesta di emblemi sicché non c'è sole e non c'è rivelazione e non c'è ostia soltanto io e poi il foglio e massa morta.
Se fai progetti per un anno, semina del grano. Se i tuoi progetti si estendono a dieci anni, pianta un albero. Se essi abbracciano cento anni, istruisci il popolo. Seminando grano una volta, ti assicuri un raccolto. Se pianti un albero, tu farai dieci raccolti. Istruendo il popolo, tu raccoglierai cento volte.
Se un giorno chiuderò la porta dietro di te è perché tu rimanga. Girerò la chiave nella toppa e la lascerò dondolare appesa agli scontri. Le sete scivoleranno dal mio corpo di latte e tu mi spalmerai d'unguenti senza vedere. Lini bagnati sulla mia fronte muta e ti guarderò febbricitante per scoprirti.
Di mano in mano di verso in verso ho ritrovato le palpebre socchiuse e le foglie stagliate su scuro tronco in un autunno novembrino. L'umidore mi coglie un'allegria. Con le scarpe basse solco il ponte di ferro che mi porta diritto alla stazione. Fermo il tempo e nel tempo uno spazio troppo grande. Parto dalla stazione di partenza, arriverò all'inverno di nevi candide nell'assenza di fanghiglia.
Rami di luce sdrucciolavano sulle nostre teste immerse nell'azzurro. Coralli erano le sue guance, nel silenzio delle acque. Ancorato dentro di me dormiva attizzando i falò della selva occulta nel sangue. Una mano morbida cingeva la mia gola fino a soffocarmi. Nere lacrime scivolarono dai miei occhi: perle che colmarono il calice dell'amore.
Voi intrecciate il vostro sangue, stendendo le razze l'una incrociata nell'altra, vite su vite, volti riconoscibili agli occhi talvolta. Scendete lungo la camera buia delle tempeste-età, brucate la prateria del mare, attraversate il telo celeste ma io riempio il vostro passaggio di solitudine: dove andranno le ore dell'estate? Dove rispunterà il cielo di ieri? Poi scendete dall'albero della creazione, cigolate appena sul carrello, rientrate nella polvere fine. Sempre io vi tormento dalla mia zolla, dalla nube aerea, generazioni, ere incerte e febbrili. E non avete ancora camminato abbastanza.