Acquista meriti anima mia, compi res gestæ che mai finiranno, tieni aperti i cancelli. Lascia che la fortuna si riposi, così saprai arrivare al Vago Vuoto baldo come una foglia irriducibile.
Dal gesto di ammazzare con le mani il modo di impastare non diverge (che bello ch'è il progresso, che sollievo: col pulsante qui a destra, eccoti il pane, col pulsante a sinistra, facilmente, anche senza mirare, lancio il missile e il nemico centro).
Non voglio un mattone dal tetto voglio morire lentamente. Voglio morire, osservando il corpo che secerne, goccia dopo goccia, l'esausta vita. Filtrarla attraverso me stessa, come attraverso un settaccio fine fine, e – dopo – sospirare sollevata per non aver visto nulla sul fondo.
Il passaggio delle nuvole brucia i fulmini della sera e accende profili sulle pareti di un vento che diluisce nell'acqua. Dall'ombra, lontana, mi guardi con occhi che seguono percorsi non raggiunti dal caso. Ogni istante, ogni gesto, ogni fruscio in boschi sonnecchianti – il percorso d'una foglia che cade a terra, volubile e danzerina – si accorda a delle leggi silenti.
Soltanto spezzando il fragile equilibrio, il disordine di un tempo scostante e lieve, sapremo che tutto era appeso, irrimediabilmente a un filo troppo sottile per reggerci.
Stomaco delicato, anima blanda, non si regge più di un viaggio l'anno in quelle lande dov'ebbero i secoli voglia di cattedrali e ne piantarono come altri, altrove, pianta vigne... – incerto il cuore se spendersi fino in fondo, persi gli occhi nel bosco sibillino, in quel fuori dal mondo, alla radura o alla macchia dove c'è chi ti legge e, si sa, all'ultimo verso capisce ch'erano segreti da niente, chiavi d'un magazzino qualsiasi, festoni con tanto d'appassito... (nondimeno sia lode al Dio cui devi quella voce).
C'è un assassino nell'armadio? Sbucherà fuori se chiudi gli occhi?
Chi c'è dietro la sinningia? Un vampiro? È un ladro a cavalcioni del cavallo a dondolo, brandisce forse una sciabola di sanseveria?
Pieghe di tenebre piene di millepiedi
e sono io, ti avvicini di soppiatto tanto che sento il tremitio Vitale realizzarsi in te
quando ti spaventi per i suoni della notte, i gemiti del vento, la strega nella sua cappa in brandelli che digrigna una risata, ti getta sulla faccia larve, ragnatele, ti strappa di dosso il pigiama con dita di fucsia.
Hai visto la civetta prima che il tuo sguardo l'ha stropicciata via?
Cominci a capire: le voci provengono da sotto i tuoi piedi, dalla stoffa del pigiama quando respiri, sei tu a dar loro vita.