Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Non c'è carne non c'è tempo nel tempo
di amianto.
L'ingegno è sempre l'ingegno.
La guerra dà il tempo, ha il tempo
della tecnica sullo spazio.
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Non c'è carne non c'è tempo nel tempo
di amianto.
L'ingegno è sempre l'ingegno.
La guerra dà il tempo, ha il tempo
della tecnica sullo spazio.
Eclissi di uccelli
e l'ala che trattiene i venti
improvvisamente ti solleva
ti porta il più lontano possibile
dove la parola ha nidificato
nella tua voce.
Abbiamo viaggiato molto
il tuo corpo ed io
Abbiamo immaginato
tutto ciò che un corpo e un io
possono immaginare.
Il mio corpo ed io
abbiamo sognato
il tuo corpo in posizioni
che mai avevi immaginato.
E ora non c'è posto per te
che cosa pretendi
tra me
e il tuo corpo.
Quando la bufera incipria il porto, quando
i pini, frusciando,
lasciano nell'aria una scia che delle lamine
di una slitta è più fonda,
quale grado di azzurrità può raggiungere
un occhio?
Quale segno
il linguaggio può far germogliare da un
cauto contegno?
Nascondendosi alla vista, il mondo
esterno
prende in ostaggio un volto: bloccato
dalla neve, pallido, inerme.
Così un mollusco rimane fosforescente
sul fondo dell'oceano
e così il selenzio assorbe l'intera velocità
del suono.
Così un fiammifero basta per accendere
un fuoco;
così l'orologio di un nonno, fratello del
battito cardiaco,
essendosi fermato da questo lato
del mare, per mostrare
il tempo all'altro, continua a ticchettare.
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu:
vocali,
Dirò un giorno le vostre origini latenti:
A nero busto irsuto delle mosche lucenti
Che ronzano vicino a fetori crudeli,
Golfi bui; E, candori di vapori e di tende,
Lance di ghiacciai, bianchi re, brividi
d'umbelle;
I, sangue e sputi, porpore, riso di labbra
belle
Nella collera o nelle ebbrezze penitenti;
U, fremiti divini di verdi mari, cicli,
Pace di bestie al pascolo, pace di quelle
rughe
Che imprime alchìmia all'ampia fronte dello
studioso;
O, la superna Tromba piena di strani stridi,
Silenzi visitati dagli Angeli e dai Mondi:
- O, l'Omega, violetto raggio di quei Suoi
Occhi!
Sbagliando strada, lentamente (come accade
a chi, smarritosi, non vuole andare
brancolando, e scrupoloso consulta la carta,
eppure va dove lo portano le gambe),
guidato non dal pilota automatico,
ma da un organo che si fonde con il ritmo,
ad ogni svolta compi la tua scelta,
come un baco intrufolatosi in un labirinto.
Quando ai capricci più bislacchi
fa da complice un passo incerto,
a condurti non è il senso
dell'orientamento, né la guida, ma il destino.
Vi son città dove le carte stesse si confondono,
dove, riflesso nell'eterno vis-à-vis,
ti rendi conto irrimediabilmente
di quanto fragile ed effimero tu sia.
[…]
E lo studioso locale con lo storico pignolo,
ignorando che vi sia voltato l'angolo,
vanno a finire in un cortile di colombi,
dove il leone muove l'ala di pietra –
accanto a un coccodrillo mezzo morto
(più che un drago, pare un merluzzo),
che, infilzato dalla lesina del santo,
crepa, poveretto, di malinconia
e di curiosità. Quanto al santo,
qui è messo alla pari con la bestia
da lui trafitta – il principio è lo stesso.
Entrambi anelano a sprofondare nel limo,
cosa che, peraltro, non sarà presto
(benché il fondo continui a scendere):
quanto più cedevole è il basamento,
tanto meno è soggetto al potere del tempo.
[…]
Vivere sull'acqua porta a dubitare
della finitezza, e fa perdere il gusto
di balbettare "fermati" a un istante –,
come un bimbo privo di giudizio…
[…]
Il rovescio delle isole è consunto.
L'acqua pare insondabile, ma non è profonda.
Più bianche della panna su una torta,
le nuvole s'appiccicano alla mia guancia irsuta.
Da un palazzo all'altro, dondolando
sul vaporetto,
guardando la ruggine spenta di un colore
bruciato,
sotto la pioggia di vetro dell'Adriatico,
made in Murano,
e nella scia della tranquilla carovana
mi aprivo un varco da San Marco
a Rialto
per un pertugio di legno marcio e di basalto.
E i pilastri, i balconi, i frontoni, le
palafitte intagliate,
le imposte, e i gradini nell'acqua bassa,
le trine,
e gli altri arabeschi di pietra s'increspavano
nel canale,
e i fianchi del vaporetto respingevano
i frantumi.
Nell'umido crepuscolo l'imbarcadero
s'avanzava coi lampioni colorati, e sull'orlo
il tavolato
irrequieto mandava bagliori di perla,
la città s'offuscava e lampeggiava,
nell'aere torbido
della sera, d'increspatura veneziana,
e gravava con una ciocca tinta scompigliata;
come scostando dalla fronte un
capello spezzato,
Venezia diceva, modulando la voce:
"Lasciatevi guardare, voi che accanto
mi passate,
di faccia e di profilo, e di tutto il visibile,
nella luce che si spegne prima della
vera notte,
lasciatevi guardare da vicino, coi miei occhi.
Voi girate con la giostra del Tempo,
dall'ombra uscite nella festa del mattino,
avanzando assieme all'acqua del canale
verso la barriera con cui m'incorniciò
la storia, moltiplicata per la pietra.
Punto e basta. E dico: Amen!
Voglio dire nella lingua del clamore
dalle feritoie del vecchio bastione,
dalle piazze, dai mercati, dalle
torri campanarie,
che la legge veramente sta alla
vostra volontà.
Io rimango. Voi passate. Così dev'essere,
non sono ancora un colonnato in rovina,
sono tutta intera e giungerò in capo
al mondo,
come un mortaio che spara nell'eternità.
Passerete, ma San Marco resterà,
una barca deserta se ne andrà
per il canale,
nessuno sui ponti, sul litorale,
e allora leverò lo sguardo al cielo e
– O Dio! –
lassù, nella confusa lontananza, dove
sfreccia un asteroide,
il mio ultimo spettatore socchiuderà
gli occhi".
Di nuovo parlo con i rovi,
Di nuovo infinito è il bisogno dei pioppi.
Si freme
Assieme ad ogni filo d'erba
Quando si rimane soli.
Per scordare il tuo rimprovero
Senza un briciolo d'amore,
Guardo i passeri saltellare
Tutto il giorno lungo il cornicione.
Tra le mani stringo le ginocchia
Forte, fino a farmi male. Poi di scatto
Mi rialzo, lancio un fischio
Da maschiaccio, e mi sfugge un sorriso.
Dalla tua matrice
io salgo immemore
e piango.
Camminano angeli, muti
con me; non hanno respiro le cose;
in pietra mutata ogni voce,
silenzio di cieli sepolti.
Il primo tuo uomo
non sa, ma dolora.
Non posso ricordare. Ma quei momenti
puri dureranno in me come
in fondo a un vaso troppo pieno.
Non penso a te, ma sono per amore tuo
e questo mi dà forza.
Non ti invento nei luoghi
che adesso senza te non hanno senso.
Il tuo non esserci
è già caldo di te, ed è più vero,
più del tuo mancarmi. La nostalgia
spesso non distingue. Perché
cercare allora se il tuo influsso
già sento su di me lieve
come un raggio di luna alla finestra.