Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Gli dissi: mai
vidi nulla come i tuoi occhi,
mai vidi
nulla come i tuoi occhi.
E solamente vedevo il fuoco
e non il nero
in fondo alla loro oscurità.
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Gli dissi: mai
vidi nulla come i tuoi occhi,
mai vidi
nulla come i tuoi occhi.
E solamente vedevo il fuoco
e non il nero
in fondo alla loro oscurità.
Entrò nelle mie celle recondite.
Dissi: dalla sua vibrazione i miei
spazi sono stati posseduti. Un
vento al quale nulla sfugge si ac-
cende nelle vele del mio deside-
rio. Le sorgenti del riparo s'inten-
sificano.
Ancora una brace
fuse torrenti vivi.
E i nardi si aprirono
per dispensare i balsami.
Bevi le ombre – disse,
bevi l'oscurità
dell'amore mortale
e chiudi gli occhi tra le mie ali
che sono la barca che attraversa
spazio e tempo.
So la strada e la neve, so in che casa
abitata da sempre troveranno
un riparo luminoso nell'anno
del gran freddo le miti ossa, l'invasa
d'oscura dolcezza anima. Si fanno
scorte, di schegge per la stufa è rasa
la cantina, di sopra si travasa
farina gialla e riso. Senza affanno
si cerca sulle onde corte la voce
antidiluviana che rassicura
gracchiando, sì, è finita la paura,
interrotta causa neve l'atroce
partita, l'interminabile, stanca
corsa del tempo. Più nessuno manca.
Ho veduto solo una volta
un sole così insanguinato.
E poi mai più.
Scendeva funesto sull'orizzonte
e sembrava
che qualcuno avesse sfondato la porta
dell'inferno.
Ho domandato alla specola
e ora so il perché.
L'inferno lo conosciamo, è dappertutto
e cammina su due gambe.
Ma il paradiso?
Può darsi che il paradiso non sia
null'altro
che un sorriso
atteso per lungo tempo,
e labbra
che bisbigliano il nostro nome.
E poi quel breve vertiginoso momento
quando ci è concesso di dimenticare
velocemente
quell'inferno.
La natura talvolta fa seccare
un arbusto, talvolta scalpa un albero-
il suo popolo verde lo ricorda
nel caso in cui non muoia.
Foglie stremate alle nuove stagioni
testimonioano mute -
e noi che abbiamo un'anima moriamo
più sovente, e non così vitalmente.
Il suo volto era un letto di chiome,
Come fiori in un prato-
La sua mano era più bianca dell'olio
che bruciando alimenta le luci sacre.
La sua lingua era più tenera
dell'armonia che oscilla nelle foglie-
chi l'ascolta può rimanere incredulo,
ma chi ne fa esperienza crede.
Senza anni né lamenti sulla terra solenne
fra le morbide virgole del bene, il ventre
stilla
l'ultimo saluto per te che ottusa come dio
non sai di aver dipinto con sabbie spente
questi acuti colori. Solidamente
m'insapora
le labbra quella pesca granata che ha fatto
l'osso docile e più lievi d'un passero
le vene.
Il nulla ci ha ottenuti facilmente
per languide astenie delle viste e del ferro.
Nei porti restiamo, ognuno ostrato al suo
infranti dal più tenero spruzzo, in pace
narcotizzati da liquidi domestici.
Più vigorose abilità pretende l'Avventura.
Benedico il tuo fianco.