Entrò nelle mie celle recondite. Dissi: dalla sua vibrazione i miei spazi sono stati posseduti. Un vento al quale nulla sfugge si ac- cende nelle vele del mio deside- rio. Le sorgenti del riparo s'inten- sificano.
Ho veduto solo una volta un sole così insanguinato. E poi mai più. Scendeva funesto sull'orizzonte e sembrava che qualcuno avesse sfondato la porta dell'inferno. Ho domandato alla specola e ora so il perché.
L'inferno lo conosciamo, è dappertutto e cammina su due gambe. Ma il paradiso? Può darsi che il paradiso non sia null'altro che un sorriso atteso per lungo tempo, e labbra che bisbigliano il nostro nome. E poi quel breve vertiginoso momento quando ci è concesso di dimenticare velocemente quell'inferno.
Il suo volto era un letto di chiome, Come fiori in un prato- La sua mano era più bianca dell'olio che bruciando alimenta le luci sacre. La sua lingua era più tenera dell'armonia che oscilla nelle foglie- chi l'ascolta può rimanere incredulo, ma chi ne fa esperienza crede.
Senza anni né lamenti sulla terra solenne fra le morbide virgole del bene, il ventre stilla l'ultimo saluto per te che ottusa come dio non sai di aver dipinto con sabbie spente questi acuti colori. Solidamente m'insapora le labbra quella pesca granata che ha fatto l'osso docile e più lievi d'un passero le vene.
Il nulla ci ha ottenuti facilmente per languide astenie delle viste e del ferro. Nei porti restiamo, ognuno ostrato al suo infranti dal più tenero spruzzo, in pace narcotizzati da liquidi domestici. Più vigorose abilità pretende l'Avventura. Benedico il tuo fianco.