Poesie personali


Scritta da: the lost writer
in Poesie (Poesie personali)
L'amore è come un soffio di vento,
arriva sconvolge tutto e par stupendo;
rinfresca l'animo e il pensiero,
illudendo che tutto sia più leggero;
ma quando esso svanisce ti lascia un gran dolore,
un vuoto che perisce;
non porta con se solo ciò che ti ha donato,
ma anche parte del tuo cuore, il tuo amore dato.
Composta sabato 9 ottobre 2010
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Rosanna Tafanelli
    in Poesie (Poesie personali)

    Risorta

    La tua spada per trafiggermi,
    il tuo mantello per raccogliermi,
    nella tua coppa tu berrai il mio sangue
    ed ancora me ne chiederai.

    Sarai dolce carnefice del corpo
    ed angelo della mia anima,
    con te non vivo più, amor mio,
    e senza te io muoio.

    Sarai il mio cavaliere e il mio assassino,
    sarò la dama tua ed il sogno,
    uccidimi d'amore quando vuoi,
    tornerò sempre accanto a te.

    Nell'alba del domani nuovo, poi,
    mi troverai risorta,
    pronta a donarti ancora tutta me,
    fino alla fine del tempo.
    Composta lunedì 3 gennaio 2011
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Grazia
      in Poesie (Poesie personali)

      Vado per la mia strada

      Vado per la mia strada...
      Non è la più facile.
      È tutta in salita.
      Irta e scoscesa.
      A volte da tracciare.
      Tra dirupi e sterpi e spine.

      Andrò sotto il sole cocente.
      Proseguirò sotto le intemperie.
      Affronterò uragani di violenza.
      Sopporterò la grandine dell'invidia.
      Patirò il gelo della derisione.
      Continuerò a salire senza tregua.
      Mi riposerò all'ombra della solitudine.
      Mi disseterò alla fonte della verità.
      L'amore che ho dentro mi riscalderà.

      Andrò sempre avanti.
      Fiera, instancabile.
      In cima al monte.
      Niente mi fermerà.
      Questa è la mia strada.
      Questa è quella che scelgo.

      Non mi importa del dolore.
      Non mi importa della solitudine.
      Non mi importa se non capirete.

      Vado per la mia strada.
      Strada non tracciata.
      Strada da scoprire.
      Passo dopo passo.

      Guaderò fiumi di dolore.
      Mi arrampicherò sulle rocce dell'indifferenza.
      Abbatterò i muri della menzogna.
      Cancellerò i sentieri dell'inganno.
      Cadrò e mi rialzerò.
      Soffrirò e mi farò male.

      Vado per la mia strada.
      Senza paura, senza esitazioni.
      Vado per la mia strada.

      E arriverò alla vetta.
      Prima o poi.
      Più vicina al cielo.
      Toccherò le nuvole.
      Vedrò volare l'aquila.

      Vado per la mia strada.
      Solitaria e scoscesa.
      Tra mille pericoli.
      Anche da sola.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Brunason
        in Poesie (Poesie personali)

        Per-dono

        Quest'anno a Natale
        qualcuno così amato
        che m'ama davvero,
        con premura m'ha sollecitato:
        "Coraggio, perdona!

        Dona gioiosa al tuo cuore la pace,
        fà grazia, ti prego,
        al cuore di pietra
        di chi t'ha ferito,
        piagato, abbattuto.

        E anche tu, orsù, chiedi il perdono
        a chi lungamente, con forza
        hai ignorato e bandito,
        sdegnosa hai evitato
        e dal cuore sfrattato!

        Perdona generosa,
        scusa e condona".
        Shhhhhh...
        Ecco, il cuore ha accettato!
        Evviva! È tutto passato!
        Composta martedì 21 dicembre 2010
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Brunason
          in Poesie (Poesie personali)

          Pace

          È ormai il tempo
          di seppellire l'ascia di guerra.
          Dando la pace a te,
          dono la pace anche me.

          E oggi, infine, perdono.
          Graziando condono,
          e con semplicità ti dono.
          il regalo più bello.

          Ti offro quello
          che mai hai inseguito
          bramato, preteso:
          il mio perdono.
          Composta martedì 21 dicembre 2010
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Armando
            in Poesie (Poesie personali)

            Raccoglitrici di Olive

            Sotto gli ulivi ultime reti tese
            olive già mature nella cesta
            sorride un sole debole e la brina
            carezza gli ultimi radi cespi d'erba
            sparsi ai bordi dell'aia liscia e spianata
            che i rami ombreggiano incostanti.

            Un libro su una cesta capovolta,
            le scale tra i rami strette ed avvinghiate
            l'equilibrio che manca e che barcolla
            un sorriso che da lontano tende
            ad una prostrazione dissipata
            ad un affetto che ormai tutto s'è spento.

            E nel frantoio cigola la cinghia,
            semi oleosi la macina frantuma
            cola il verde liquor, unge la brocca,
            la boccia cambia colore, rinverdisce.

            E lei sorride ancora debolmente,
            un sorriso che sa d'ira e d'intesa
            mentre la cesta afferra e la sospinge
            sul motocarro che romba e che barbuglia,
            tracce profonde nella terra arrossa.

            Trilla tra i rami dei mandorli nostrani
            un suono stanco di campana a sera
            lei ancor sorride e già tende le mani
            lieve si segna e sale una preghiera.
            E la regala a me che ormai dispero
            in quest'angolo perso di maremma,
            pensa di cancellar quel segno nero
            e quel rosso che la palude ingemma.
            Composta lunedì 20 dicembre 2010
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Nello Maruca
              in Poesie (Poesie personali)

              Redentore

              Fredda era la notte ed innevata
              e la Pia Donna di bontà infinita
              di stanchezza e doglianza già stremata
              Al Redentore del mondo dava vita.
              Bussò Giuseppe a tutti i casolari
              Onde dare a Maria caldo giaciglio
              ma tutti gli occupanti furo avari
              Disdicendo Chi portava Divin Figlio.
              Aveva posto solo in una stalla,
              per letto il fieno d'una mangiatoia,
              al respiro del bue e l'asinella
              tenea Maria della maternità la gioia.
              Lui di tutto il creato possidente
              luogo migliore per nascere non ebbe,
              per l'ingordigia dell'umana gente
              nacque in miseria ed in miseria crebbe.
              Quel sembiante Umano, ch'era Divino,
              da Castissima Donna concepito
              al Dio Grande e Beato era l'affine
              ma da bieca umanità non fu capito.
              A Betlemme di Giudea resta la Grotta
              Che il Vagito Divino prima intese;
              luogo diviene di retta condotta
              cui grazia rende il cristiano e rese.
              Regnava, allora, nella Giudea Erode,
              uomo protervo, essere triviale
              d'ognuno paventava tranello e frode,
              poiché l'istinto suo era carnale.
              Seppe, dai Magi, di Gesù la nascita
              che di Giudea predicavano Re,
              decretò, quindi, togliere la vita
              agl'innocenti sotto gli anni tre.

              Al Puro putativo Padre Giuseppe
              un Angelo veloce venne in sogno:
              corri in Egitto, non badare a steppe
              ch'Erode al Piccoletto porta sdegno.
              Dell'Angelo a Maria dato l'avviso
              lasciavano quel luogo benedetto,
              in braccio Gesù dal casto bel sorriso
              in cerca d'altro tetto e d'altro letto.
              Quando l'Onnipotente al sonno eterno
              gli occhi chiudeva al bruto re regnante
              fu la Divina Famiglia di ritorno
              alle mura paterne, alla sua gente.
              A Nazareth di Galilea con i parenti
              rimaneva Gesù fino ai trent'anni,
              per essere battezzato tra le genti
              incontravasi al Giordano con Giovanni.
              Sconfiggeva Satana tra i monti;
              poscia, in testa a moltitudine gaudente
              cominciava gl'insegnamenti itineranti.
              Or visitando questa or quella gente.
              Seguito da Gerusalemme e da Giudea
              sanava storpi, ciechi ed ammalati;
              da riva al mar di Cafarnao in Galilea
              tutti erano accolti, toccati, graziati.
              Dai guarimenti dati al Suo passaggio
              la Siria tutta n'ebbe conoscenza;
              Ovunque dava del Padre il buon messaggio
              mostrando la grandezza e la Sua scienza.

              Moltiplicava i pesci e pure
              il pane, le acque quietava, comandava
              i venti, ai tormentati dava le Sue cure,
              sui mari e sopra i laghi camminava.
              Nemici farisei, scribi e sinedrio
              da Giuda, Suo discepolo, tradito
              ebbe Pilato giudice avversario
              capo di crudel popolo inferocito.
              Al posto di Barabba condannato
              fu crocefisso in mezzo due ladroni;
              Spirò, il cielo fu squarciato, fu boato,
              tremò la terra, tremaro i sommi troni.
              L'esanime Divin Corpo torturato,
              avvolto nel lenzuolo di bianco lino
              al suolo della tomba fu adagiato
              d'uomo devoto, avverso di Caino.
              Restava il Corpo esanime tre giorni,
              indi in cielo accanto al Padreterno,
              in terra, poscia, dai lochi Sempiterni
              a recare agli Apostoli governo.
              l'incredulo dei dodici Tommaso
              le dita nelle piaghe mettere volle,
              restò, ciò fatto, sgomento ma persuaso,
              cadde in ginocchio nelle carni imbelle.
              Ai Discepoli, Gesù, lascia la pace
              indi s'invola al Divin Palagio
              e, dal cospetto di Dio, dall'amor verace,
              guida gli Apostoli al Divin Messaggio.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Nello Maruca
                in Poesie (Poesie personali)

                Il fico

                Ogn'anno al giungere dell'estate afosa
                a noi che al fresco tuo ci si riposa
                fico, che vecchio ti ricordo d'anni assai,
                di frutto dolce non fosti avaro mai.

                Delle cure avute, quasi a dispetto,
                quest'anno di pregiati fichi fai difetto,
                giacché confronto non è coi passat'anni
                di pene mi riempi e tant'affanni.

                Ma ora che ci penso, mi ricordo,
                tutto mi torna in mente or che ti guardo:
                Tu pure l'anno scorso fosti fermo
                e prim'ancora ti mostrasti infermo.

                Qui ti lasciò mio nonno al dipartirsi
                e ancor prima il bisnonno vide aprirsi
                la bella chioma che tale fu per anni
                che, poi, curò mio padre per trent'anni.

                A loro mai donasti alcun cordoglio
                ma a me, che t'accarezzo come figlio,
                dal dispiacere m'hai levato il sonno
                come non mai a padre, nonno e bisnonno.

                Io non ho forza più di tolleranza,
                da me s'è dipartita la pazienza;
                ora m'appari come fossi morto
                perciò toglierti voglio dal mio orto.

                Con quest'arnese ch'è d'acciaio puro
                ti tolgo il fiato con un colpo duro,
                levoti, così, dal mio cospetto
                onde non far mai più alcun dispetto.

                Molto frutto, per te, questo fusto tira
                e nulla feci per muovere la tua ira;
                bene mi comportai sempre finora
                e riconoscoti mio padrone ognora.

                Per te produco, nobile signore,
                nella giornata, fresco, a tutte l'ore,
                dei tuoi bimbi soggiaccio a frusta e grida
                ferma la mano, non renderla omicida.

                La frutta la produco in abbondanza.
                son sempre pronto, in ogni circostanza,
                son sempre qui che sono ad aspettarti
                qual è lo sbaglio, forse il troppo amarti?

                Osi essere sdegnoso ed arrogante?
                Dimentichi che sono alto e importante?
                Tosto ti sfratto dall'orto e dal cospetto
                perché osi mancarmi di rispetto.

                Con questa scura ch'è tagliente
                più di quanto il tuo mordente dente
                ti stendo lesto sulla nuda terra
                giacché osasti dichiararmi guerra.

                No! non toccarmi con quel ferro rozzo;
                se morir debbo fa che sia in un pozzo:
                Mi pare a questa fine esser più degno
                che se pur vecchio, tenero è il mio legno.

                Per l'affanno di padre, nonno e bisnonno
                rimanda la mia fine al prossim'anno;
                fallo pel fresco che ti stai godendo
                e per il frutto ch'ivi oggi gustando.

                Taci! Scampo per te alcun non è,
                schiavo sei, io sono podestà e pure re
                e fermare non posso l'omicida impulso
                finché non t'ho da mia vista espulso.

                Il dolore lasciommi senza fiato
                giacché pugno violento avea sferrato
                alla base del fico, della cui ombra
                affidato avea in sonno le mie membra.
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Nello Maruca
                  in Poesie (Poesie personali)

                  Dialogo

                  Tu, che rilassato, all'ombra degl'austeri
                  pioppi sprofondato sei in sonno tranquillo
                  e resti steso al loco dei misteri,
                  tornato sei alla terra, suo pupillo.

                  Tutto scordato hai dacché sei chiuso,
                  tutto scordato hai dacché sei steso;
                  se piove resti là, come recluso,
                  tra cielo e terra resti là, conteso.

                  Manco ti smuovono i caldi raggi
                  di cocente sole d'estiva calura,
                  né scuotonti li vermi dei paraggi
                  e d'aria t'è ripugna ogni fessura.

                  Prima che fosti tu, fui così pur'io.
                  Prima che mi partissi stetti lassù,
                  non sai che stare dolce è in quest'oblio:
                  Ah! perché non scendi pure tu quaggiù?

                  Non devi mai dormire perché già dormi,
                  non devi mai svegliarti, non è risveglio;
                  ten stai disteso sotto i grandi olmi,
                  posto più quieto non esiste e meglio.

                  Beato te se scendi in quest'anfratto:
                  Il luogo lo dimori senza sosta,
                  nessuno sogna mai di darti sfratto,
                  stai pur tranquillo: Non arriva posta.

                  Maestri qui non sono né mastri d'ascia,
                  avvocati e notai qui non trovi;
                  chi quivi approda tutto a terra lascia,
                  non sono né alberghi né ritrovi.

                  Pioggia mai fu e immenso mare giace;
                  tutt'è frastuono ma rumor non senti.
                  Se qui ti stendi resti in grande pace;
                  l'Alme son tante e tutte son'assenti.

                  Fors'io verrei pure in quella valle
                  ove mi dici che c'è tutto e nulla,
                  lasciando, ahimè, la conosciuta calle
                  per coricarmi in quell'oscura culla.

                  Ma il dire che tu fai parmi mistero:
                  Nel cranio gira forte l'emisfero,
                  nel petto dice il cuor: Voglio pulsare:
                  Non dire nulla ancor, lasciam'andare

                  Scendere in tale luogo non mi lice
                  ove ognuno parla e nessun dice,
                  ove tutt'è silenzio e nulla tace,
                  ove frastuono è ma è grande pace.

                  Il racconto, mi pare d'altro mondo
                  e partorito da mente malata;
                  è come in aria fare il girotondo
                  e la matassa è troppo ingarbugliata.

                  Tutto il tuo racconto è un enimma
                  che in toto pare solo melodramma:
                  Indi, eternamente restati laggiù
                  ch'io preferisco starmene quassù.
                  Vota la poesia: Commenta