Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia

I fratelli Grimm

Cara signora Schubert, un vicino mi ha detto:
"Sono tornato all'infanzia per non leggere
più Dostojevskij, Nietzsche, Marx.
Ora leggo le favole. Mentre andavo al porto
a prendere le ceneri di mia madre che arrivavano
dall'Australia, fissavo inutilmente
il sole al tramonto. La palla rossa rotolava
sul posto. Da domani potrà incontrarmi
esclusivamente in mia assenza. Sarò dai fratelli
Grimm."
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Lungo gli omeri scende la fontana
    del tuo sorriso luminoso, in forma
    di dolcezza materna tutta umana,
    quando il nostro-volerti più non dorma.

    Ogni male, ogni morbo si risana
    sotto i tuoi piedi, la cui fulgida orma
    perdura anche se tu sii già lontana
    in virtù della tua fulminea norma.

    L'atto benedicente, che sorregge
    con le tue mani il tuo divino figlio,
    è amore che sorpassa ogni altra legge.

    È lui la carità di tutti i mondi
    che, in questo terreo militante esiglio,
    al nostro involontario petto infondi.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Sottometti la luce che ti resta
      a una penna che mai
      può dirsi sia banalità di male
      le trasmetti la notte come fosse
      una bevuta povera e insicura -
      le passi il suo contrario ed è il trionfo
      dei non colori che si fanno insieme
      pace e guerra, ma se tu alzi gli occhi -
      minuscoli animali impauriti,
      servi della regina di un colore
      che s'espande nell'alto senza limiti
      e discende poi all'orizzonte-mare -
      vedi che tutto è un imparare solo -
      e il corruccio, le rughe, la vecchiaia,
      e lo specchio che vive frantumandosi
      seppelliti nel più basso possibile
      ed insieme alla disapprovazione -
      il cielo è una lavagna senza tempo,
      le stelle si riscrivono ostinate,
      consce d'essere errori all'infinito,
      e la Luna tenuta tra le mani
      di Dio o di Nessuno, che barcolla
      negli attimi di silenzio del tempo
      è un gesso o un intonaco spezzato
      sotto d'un'unghia o le scosse di un sisma -
      l'insegnamento cede all'ignoranza
      di un arcaico che non vuol far conoscersi -
      e le pupille le vedrai assorbire
      altro inchiostro da questo calamaio
      e la mente ti sembrerà ficcata
      nel banco del tuo volto, potrà fingere
      d'alzarsi con il sonno... con il sogno!
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        Scritta da: Andrea De Candia
        Un vedere la fine tutta e ovunque,
        una pistola silenziosa germina
        il colore puntato su chi passa -
        scrittore, chiama, vieni a non vedere
        che cosa sia lo scrivere la Notte -
        tavolo alzato a telo con il cielo -
        una lavagna con segni di stelle
        indecifrabili ripetitivi
        e solo il gesso della luna crolla
        impercettibilmente nelle briciole
        al terremoto di un silenzio-luce -
        quando l'inchiostro domina c'è solo
        una lettera che non si sa leggere
        chiara come il mistero della Morte -
        come chi nell'esterno ha abbandonato
        il corpo per donare ad occhi aperti
        la visione dell'interiorità
        con due coppie di palpebre rivoltesi
        al passato, cadute ancor più dentro -
        solo il sogno una torcia miserabile
        un tentativo di interpretazione
        che riaffiorando non resta che a galla!
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          Scritta da: Andrea De Candia
          I
          Il cimitero della casa è esteso
          ed alla tomba della stanza bussa
          lo sguardo all'altro mondo della veglia -
          ma non apre, non apre, sa che dorme -
          si versa come lacrima fermatasi
          sulla guancia di un attimo compatto -
          sa che la decomposizione eludi
          che la testa è risorta dal naufragio -
          che il sonno naviga sulla sua zattera,
          che l'isola di un sogno si profila
          a un orizzonte d'interiorità -
          mentre il resto del corpo è rivestito
          dall'abbraccio materno di una bara
          che parte dalle dita dei tuoi piedi
          e arriva al collo a darti una carezza.

          II
          Ma il volto fuoriuscito è la sua tomba
          con cui il visitatore si orienta
          per arrivare al suo ripiegamento
          e questo è morte è il suo lutto interiore -
          le pupille le versa nella notte
          perché nessuno veda che lui piange -
          mentre il resto del corpo è il suo fanciullo
          che nel lenzuolo ha la sua bara bianca.

          III
          La specularità è un'invenzione -
          io sono il mare e il mio lenzuolo è spuma -
          e fluttuo in una morte provvisoria
          risalirò ché voglio raccontarla -
          ma non potrò, sarà il sonno sommerso
          assieme al cuore del suo sogno spento -
          le pupille son lacrime che aggiungono
          colore al lutto che rende la morte
          una vivente che non può vedersi
          tra la folla accecata dal suo pianto -
          mentre lassù si crea un'opposizione -
          anche la notte è un corpo che si oblia
          e sprofonda all'interno nel suo nero
          per sognare nient'altro che il suo sonno
          e le stelle ai non occhi che s'accendono
          sono quelle che invece fanno luce!

          IV
          Tutto si spegne per mirare al nero
          nel profondo di sé, solo una luce,
          oscurità che abbaglia ed è uniforme -
          solamente le stelle si sparpagliano
          e con un'alternanza irrinunciabile
          compensano lassù l'assenza di occhi
          aperti a fare luce qui nel mondo!

          V
          Ti crederai più solo nella morte
          quello che resterà altro da te -
          le tue pupille guarderanno nero
          ai loro piedi, l'unico colore
          per dire tutto ha preso la sua essenza
          e la trascina a rendere assentato
          quel passato che finalmente oblii -
          e le stelle saranno ribellione -
          il sacerdote della Luna muto
          nell'abito tranne che nel riflesso
          gettato, anch'esso è un'eco di silenzio -
          con la loro presenza si diranno
          lacrime in veglia a non spegnersi via
          reclameranno a sillabe la luce,
          la defunta di tutto l'universo!

          VI
          A cosa serve quando è buio ovunque?
          Specularmente, e sono mare e terra?
          E il cielo è lassù solo a disperarsi
          in silenzio come di un gemello
          perduto nella morte più interiore?
          Quando il buio è al buio anche di sé
          le stelle, ecco, lo portano alla luce,
          luci che lo salvano dall'oblio,
          resurrezione in delle loro lacrime,
          sconfitta della fine nella stasi,
          sulla guancia di un tempo che non scorre!?
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            Scritta da: Andrea De Candia

            La gabbia

            Fuori c'è il sole.
            Non è altro che un sole
            però gli uomini lo guardano
            e poi cantano.
            Io non so del sole.
            Io so della melodia dell'angelo
            e il sermone caldo dell'ultimo vento.
            So gridare fino all'alba
            quando la morte si posa nuda
            nella mia ombra.
            Io piango sotto il mio nome.
            Io agito fazzoletti nella notte
            e navi assetate di realtà
            ballano con me.
            Io nascondo chiodi
            per schernire i miei sogni malati.
            Fuori c'è il sole.
            Io mi vesto di cenere.
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