Cara signora Schubert, mi capita di vedere nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile a Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro. L'occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella che sbraita nel vaudeville locale.
Cara signora Schubert, un vicino mi ha detto: "Sono tornato all'infanzia per non leggere più Dostojevskij, Nietzsche, Marx. Ora leggo le favole. Mentre andavo al porto a prendere le ceneri di mia madre che arrivavano dall'Australia, fissavo inutilmente il sole al tramonto. La palla rossa rotolava sul posto. Da domani potrà incontrarmi esclusivamente in mia assenza. Sarò dai fratelli Grimm."
Sottometti la luce che ti resta a una penna che mai può dirsi sia banalità di male le trasmetti la notte come fosse una bevuta povera e insicura - le passi il suo contrario ed è il trionfo dei non colori che si fanno insieme pace e guerra, ma se tu alzi gli occhi - minuscoli animali impauriti, servi della regina di un colore che s'espande nell'alto senza limiti e discende poi all'orizzonte-mare - vedi che tutto è un imparare solo - e il corruccio, le rughe, la vecchiaia, e lo specchio che vive frantumandosi seppelliti nel più basso possibile ed insieme alla disapprovazione - il cielo è una lavagna senza tempo, le stelle si riscrivono ostinate, consce d'essere errori all'infinito, e la Luna tenuta tra le mani di Dio o di Nessuno, che barcolla negli attimi di silenzio del tempo è un gesso o un intonaco spezzato sotto d'un'unghia o le scosse di un sisma - l'insegnamento cede all'ignoranza di un arcaico che non vuol far conoscersi - e le pupille le vedrai assorbire altro inchiostro da questo calamaio e la mente ti sembrerà ficcata nel banco del tuo volto, potrà fingere d'alzarsi con il sonno... con il sogno!
Un vedere la fine tutta e ovunque, una pistola silenziosa germina il colore puntato su chi passa - scrittore, chiama, vieni a non vedere che cosa sia lo scrivere la Notte - tavolo alzato a telo con il cielo - una lavagna con segni di stelle indecifrabili ripetitivi e solo il gesso della luna crolla impercettibilmente nelle briciole al terremoto di un silenzio-luce - quando l'inchiostro domina c'è solo una lettera che non si sa leggere chiara come il mistero della Morte - come chi nell'esterno ha abbandonato il corpo per donare ad occhi aperti la visione dell'interiorità con due coppie di palpebre rivoltesi al passato, cadute ancor più dentro - solo il sogno una torcia miserabile un tentativo di interpretazione che riaffiorando non resta che a galla!
I Il cimitero della casa è esteso ed alla tomba della stanza bussa lo sguardo all'altro mondo della veglia - ma non apre, non apre, sa che dorme - si versa come lacrima fermatasi sulla guancia di un attimo compatto - sa che la decomposizione eludi che la testa è risorta dal naufragio - che il sonno naviga sulla sua zattera, che l'isola di un sogno si profila a un orizzonte d'interiorità - mentre il resto del corpo è rivestito dall'abbraccio materno di una bara che parte dalle dita dei tuoi piedi e arriva al collo a darti una carezza.
II Ma il volto fuoriuscito è la sua tomba con cui il visitatore si orienta per arrivare al suo ripiegamento e questo è morte è il suo lutto interiore - le pupille le versa nella notte perché nessuno veda che lui piange - mentre il resto del corpo è il suo fanciullo che nel lenzuolo ha la sua bara bianca.
III La specularità è un'invenzione - io sono il mare e il mio lenzuolo è spuma - e fluttuo in una morte provvisoria risalirò ché voglio raccontarla - ma non potrò, sarà il sonno sommerso assieme al cuore del suo sogno spento - le pupille son lacrime che aggiungono colore al lutto che rende la morte una vivente che non può vedersi tra la folla accecata dal suo pianto - mentre lassù si crea un'opposizione - anche la notte è un corpo che si oblia e sprofonda all'interno nel suo nero per sognare nient'altro che il suo sonno e le stelle ai non occhi che s'accendono sono quelle che invece fanno luce!
IV Tutto si spegne per mirare al nero nel profondo di sé, solo una luce, oscurità che abbaglia ed è uniforme - solamente le stelle si sparpagliano e con un'alternanza irrinunciabile compensano lassù l'assenza di occhi aperti a fare luce qui nel mondo!
V Ti crederai più solo nella morte quello che resterà altro da te - le tue pupille guarderanno nero ai loro piedi, l'unico colore per dire tutto ha preso la sua essenza e la trascina a rendere assentato quel passato che finalmente oblii - e le stelle saranno ribellione - il sacerdote della Luna muto nell'abito tranne che nel riflesso gettato, anch'esso è un'eco di silenzio - con la loro presenza si diranno lacrime in veglia a non spegnersi via reclameranno a sillabe la luce, la defunta di tutto l'universo!
VI A cosa serve quando è buio ovunque? Specularmente, e sono mare e terra? E il cielo è lassù solo a disperarsi in silenzio come di un gemello perduto nella morte più interiore? Quando il buio è al buio anche di sé le stelle, ecco, lo portano alla luce, luci che lo salvano dall'oblio, resurrezione in delle loro lacrime, sconfitta della fine nella stasi, sulla guancia di un tempo che non scorre!?
Fuori c'è il sole. Non è altro che un sole però gli uomini lo guardano e poi cantano. Io non so del sole. Io so della melodia dell'angelo e il sermone caldo dell'ultimo vento. So gridare fino all'alba quando la morte si posa nuda nella mia ombra. Io piango sotto il mio nome. Io agito fazzoletti nella notte e navi assetate di realtà ballano con me. Io nascondo chiodi per schernire i miei sogni malati. Fuori c'è il sole. Io mi vesto di cenere.
Gli assenti soffiano e la notte è densa. La notte ha il colore delle palpebre del morto. Tutta la notte faccio notte. Tutta la notte scrivo. Parola per parola io scrivo la notte.
Ho spiegato la mia orfanezza sopra il tavolo, come una mappa. Disegnai l'itinerario verso il mio luogo al vento. Quelli che arrivano non mi trovano. Quelli che aspetto non esistono. E ho bevuto liquori furiosi per trasmutare i volti in un angelo, in bicchieri vuoti.
Viaggiavo in piedi eppure nessuno mi offrì il posto anche se ero di almeno mille anni più anziana, anche se portavo, ben visibili, i segni di almeno tre gravi malanni: Orgoglio, Solitudine e Arte.