Poesie inserite da Andrea De Candia

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Scritta da: Andrea De Candia
Nella spera del sole, intenerite
per l'azzurro mattino che le imbeve,
s'affollano le prime margherite
a infoltir di freschezza questa lieve
ripa, che si fa prato
pel verde che le è nato.

Labili suoni, che la luce informa
in fantasie fiorite ora dal suolo
svelano che la terra, benché dorma
già primaverilmente, esala il volo
dei suoi sognanti amori
che diventano fiori;

mentre le nubi in molli atteggiamenti
imitano d'amplessi e baci d'aria
le loro stesse curve sorridenti
sdraiate in quella nudità plenaria
cui non si danno veli
nel talamo dei cieli.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    Somiglia a un desiderio musicale
    questo prato ammirevole di fiori.
    E i suoi riposi, usciti nella luce
    primaverile della nostra gioia,
    respirano silenzi, innamorati
    dei sentori dell'erba: erba che sogna
    d'abbracciarsi all'ignuda aria distesa
    fra le corolle offerte della terra
    come labbra che il sole apre di baci.
    I pensieri di musica, taciuti
    quasi un pudore della primavera,
    nascondono di fiori le sue curve
    voluttuose, che la nube imita
    nei suoi diafani seni galleggianti.
    Si trasformano in spazio di silenzio
    melodioso in bei capricci d'oro
    ond'ella di soppiatto si vagheggia
    negli amplessi che sognano essere donna,
    benché la terra maschilmente soffra
    nell'attesa che l'uomo la sollevi.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Nelle ceneri delle stelle apparse
      in una solitudine
      respingente sé stessa e numerosa
      il corpo incorrotto della luce,
      le sue pupille come delle suppliche
      che lacrimano giù nell'aria buia
      ch'è l'anima di tutti e di nessuno
      trovano forse il riposo di un sogno
      col riflesso sulla schiena del mare,
      che russa senza avere le narici.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        Anche se buio è il mare come il cielo
        tu ti ricorderai dell'umiltà,
        ritirerai l'offerta della lampada
        e chiuderai la bocca alla tua porta,
        le imposte chiuse come orecchie aperte
        ad ascoltare tutto il sonno - dentro -
        questa preghiera - morte e solitudine -
        sappi che non è cielo di nessuno -
        che non c'è alcun pianeta al tuo di sotto
        e nemmeno uno sguardo che si innalza
        a scongiurare di essere salvato -
        e Lui non è diverso da te stesso -
        si fa Pietà, da tuo amante diventa
        la più misera madre - la più liquida
        delle sculture che fa solo il Tempo,
        Tempo, quel genio artista, Tempo stronzo,
        Tempo che ci molesta, con le mani
        ci tocca, ci stiracchia, ci stravolge
        i connotati più che sottilmente -
        ma sappi il sogno non è mai supino -
        Inferno che non poggia su un terreno -
        l'anima è nuvola di fumo - bluff -
        ti risvegli e la pelle si ritrova
        sulla sabbia di scheletri pestati -
        e vieni, vieni, vieni ora ti chiama
        quest'amante illusoria che risucchia
        ancora te nella sua inesistenza -
        liane di pupille in questa selva -
        il lutto pianta in faccia il suo colore
        senza pudore di luci stellari
        gettando i fazzoletti delle nubi
        nella pena del non aver cestino -
        ché questa è Eternità - il non riposo
        il non trovarlo mai e il non saperlo.
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          Scritta da: Andrea De Candia

          Dove sei?

          Qualcuno, l'eco della mia memoria,
          l'ha definito Dio ed ha condannato
          la libertà d'azzurro dello sguardo
          ad una sbarra unica di buio,
          dei finti pentimenti della luce
          che singhiozzano le loro ragioni
          ai tribunali infimi degli uomini,
          ecco, quello che sono queste stelle,
          non ti danno nessuna assoluzione,
          tu gridi nel silenzio e chi ti ascolta
          è il silenzio stesso seppellito
          nella tomba di un vento che non c'è
          "nello stanotte dell'eternità".
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            Scritta da: Andrea De Candia
            Dire addio alla luce, e ché sia il nero
            il colore che illumini la vita
            questo lo sa nel sonno il senza sogno,
            lo sente e non lo può testimoniare
            nella sua solitudine abissale –
            s'aprì come oceanica voragine
            a separare il petto dalla schiena
            si trovò a navigare solo al centro
            senza potere arrivare alle sponde –
            che cosa vuole dire questa Luna
            che come ultima ostia viene offerta
            alla fame notturna senza labbra,
            al fedele che non è una persona,
            a un sacerdote che non può più esistere,
            la fase intera è la sua comunione –
            vive d'ossa la vita che si nega
            nell'aldiqua che al corpo pur prolunga
            il suo tempo di permanenza.
            In corso
            le esequie, il lutto il cielo lo ha vestito
            fino a cambiare colore di pelle,
            ma l'anima dell'aria è pur la stessa,
            incolore, impalpabile, sfuggente,
            trafitta, trapassata, già guarita
            dalla ferita di un passaggio insonne –
            O angeli vegliate su di me
            le lacrime remote dei riflessi
            mi cadano alla tomba che ora sono
            dice il mare col sussurro dell'onde –
            ma resta più profondo il suo segreto
            col suo seppellimento nella pace –
            strappate dalla cecità comune
            le stelle, gocce di cera consunta,
            resistenti al cadere fin nel fondo,
            custodite il ricordo col colore
            che ebbi e fui, posatevi all'ingresso –
            esso è la sola chiesa che rimane
            e non respinge alcun sguardo ascendente
            a trovare pietà nella carezza
            del suo palmo infinito, interminabile,
            prima di una Babele dimostrate
            nell'eterno presente di una lingua
            sulla pagina scritta ove parlate
            la sua preghiera – ch'è la sola acqua!
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              Scritta da: Andrea De Candia
              Questo mare è un inferno di quiete
              non si vede la luce sotterrata
              e il suo colore è
              troppo profondo come il suo passato,
              quando il lutto si cala sul silenzio
              si raddoppia l'oblio
              di un volto mai esistito,
              lo sguardo è come fosse tutto il corpo,
              chiede un appoggio nel cielo - è un inganno
              che sia una vetta, eppure è in alto, è piana! -
              non c'è guancia, né palpebra, né mento,
              solo qualcosa che ricorda ciglia
              e pupille e il mio corpo
              costretto dentro a fare un passo indietro
              il petto mosso è un passo di scarpa -
              si corruga la fronte, il sopracciglio -
              la pena è questa eternità esibita
              palmi aperti a donare solitudini,
              la clessidra del tempo si è fermata,
              non c'è una fratellanza tra i granelli,
              si riconosce quello che fu il Sole,
              il firmamento è la sua autopsia,
              cenere che lo lascia lacrimare
              senza che cada scivolando piano,
              ed il riflesso è un po' l'ultima carta,
              è un dire tentennando, ma a sé stessi,
              vorrei morire, stendermi supino,
              voglio arrivare a fondo, io, discendere.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                Sepoltura resuscitante in stelle,
                quando il lutto che unisce spazio e tempo,
                ben memore di sparpagliare luce,
                dà come di una rappresentazione
                di un pugno arreso in palmo che fa andare
                in continua discesa solo ceneri,
                coreografia delle solitudini,
                con l'applauso delle mani dell'onde,
                un sipario che a riva è di silenzio,
                e alle spalle è già il pubblico di sabbia,
                e sono io col vento a disturbare
                la mia venuta via, andata altrove.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  Un dito che minaccia di silenzio
                  che si fa divorare dalle onde -
                  la cecità che diventa pupilla
                  onnipresente, abito di lutto
                  che senza più le lacrime di luce
                  dà l'idea d'accennarsi come pianto
                  su quelle cose appena sottostanti -
                  un cigno che si bagna, che scompare -
                  un canto materiale del colore -
                  l'ultimo biondo con le spalle al muro -
                  d'un azzurro morente di spavento -
                  ecco le nozze nere con la morte -
                  e la sposa del nulla che abbassò,
                  nel mostrarlo, il suo velo, con la luna
                  come ostia offerta alla voracità
                  di tutta una nessuna bocca fatta
                  dal tempo nello spazio - il lividore
                  di una ferita che era già crosta -
                  un riflesso fu un gemito di perla,
                  che gridò l'orfanezza dalla sua ostrica.
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                    Scritta da: Andrea De Candia
                    Cercare dove il mare porta tracce
                    di spegnimento, dove si rivela
                    la realtà sommersa,
                    dove esso non è più nessun riflesso,
                    ma un'esistenza autonoma,
                    placenta che racchiude in sonno il feto
                    solare, nelle sue alterne capriole,
                    nel tuffarsi da nessun trampolino,
                    nella caduta nera della morte,
                    nella cenere buia che ha ormai reso
                    il cielo un posacenere incrostato,
                    dove il colore stesso ha oltrepassato
                    persino il no al fumo che ancor vede
                    l'insonne barcollante sulla strada -
                    egli facendo scendere il suo sguardo
                    vide il suo passo tastare la terra -
                    un'infinita madre in resistenza -
                    sbronze di luce, quei lampioni in fila -
                    sorsi e sorsi riofferti senza fine
                    a una bocca più estrema che arrancava -
                    non ostruirono lassù le stelle -
                    scintille ancora calde dell'incendio
                    che mai vi fu, minacce inesistenti,
                    su un cumulo di ceneri e carboni.
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