Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)
E poi
una volta che moriranno
io ballerò
perduta nella luce del vino
e l'amante di mezzanotte.
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E poi
una volta che moriranno
io ballerò
perduta nella luce del vino
e l'amante di mezzanotte.
Come il vento senza ali richiuso nei miei occhi
è la chiamata della morte.
Solamente un angelo mi legherà al sole.
In che luogo l'angelo,
in che luogo la sua parola.
Oh perforare con vino la soave necessità di essere.
Sei la pupilla dell'oscurità
quella che per oggetto ha altrove luce,
sei un ciglio come sbarre di una cella
che nella sfatta prigione del corpo
paga per il reato d'ogni sonno.
Sei una polvere lacrimante sogni
che con scongiuri di riflessi implora
si tenga in vita la sua solitudine.
La mano tesa su nessuna guancia,
il sentimento di un sangue sereno,
l'accensione promessa della luce,
una rosa che partorisce un lampo,
un amore allo specchio di sé stesso,
l'intermediario di una discendenza,
la primavera, giù, dentro l'autunno,
tutt'un unico dito di violenza,
la ferita che non aveva origine
si rimargina e veste come abito
di lutto la sua crosta ch'è materna.
Ma rapire la luce per condurla
agli abissi sotterranei del mare,
e trascinarla giù, donando il buio,
ed il cielo, suolo cimiteriale,
veste di lutto d'unico defunto,
torcia di insonnia dell'ossa ch'è ora,
orientamento nel Tempo di giù -
è vano, il capovolgimento è in atto:
è una ribellione sopraggiunta,
è un riso di pianto, il firmamento,
son ceneri di vaste solitudini,
lumini a nessun santo, incluso Dio,
riflessi, petali di fiori in polvere,
visite in nessun luogo e dappertutto,
smarrimenti tra fiamme di carboni,
dove ad un punto si riaccende il sogno...
La scrittura d'inchiostro.
Il tavolo del cielo si fa libro
rovesciato sull'infimo lettore,
la sua richiesta d'ascoltarlo è cieca.
Ogni insonne si lascia dominare
come un cane da un non padrone ancora,
dal vento che spargendo quel profumo
del suo manifestarsi sa promettere
la carne non ancora rivelata.
E così insegue la sua oralità.
L'ombra di inchiostro scorre via bevuta
dal foglio della strada che si ubriaca
di un lungo sorso vano, ché non resta,
non raggiunge la meta col fermarsi.
È tutto un non pensiero.
Un equilibrio strano.
Un non sapere quello che si vuole.
Il nudo infinito non avere
alla stanza del cuore – seppi l'essere!
Quando aperta la porta della pelle
caddi nel sotterraneo – la mia anima
che qualcuno mi disse erroneamente
era interiore, non potetti più
volere ritornare per smentirlo.
Ci sembra sia il risveglio,
ma è soltanto agonia che ci proietta,
girandoci e rigirandoci su
e giù, a questa morte ch'è la vita.
Rinasciamo nel sonno.
Doglie sono le palpebre.
Ovunque l'utero delle pupille.
E l'eiaculazione della luce,
il sogno che è riflesso di una stella
annegata nel nostro – con l'inganno –
essere divenuti oramai acqua.
È la tenebra a obliare la sua terra!
Nulla più solitario di una stella.
Nessuna condanna più perentoria
della sua impiccagione su nell'alto,
lacrima che mai più potrà invocare
di scendere, cadere, dissiparsi.
Il suo sangue di luce testimonia
la gemellarità ch'è interminabile.
Ed il buio è una loro creazione,
sovrane al loro attorno, separè
per non vedere nel sonno di vita
la simile, l'identica. Infelice,
luciferina, ma priva di dio
si sogna altrove, si scaglia nel basso
col suo riflesso sempre più sbiadente (si).
Il cigno della Luna solo collo.
Un collare di osso che vorrebbe
richiamare il passato da padrone
quando davanti a sé, circolarmente
in sempre più profonda lontananza,
s'avventurava il cane della luce,
fino all'addio pacifico del sangue
con il canto morente dell'azzurro,
con la visione di pupille a lutto
della sua sepoltura
nella tomba più liquida possibile,
nel parlare leggero del suo pianto,
condannato a un'eternità di spazio.