Ed era il tramonto. Una lieve brezza carezzava e il cielo si stagliava in una sfumatura di colori dall'arancio al blu. L'affanno non si placava e il sudore segnava il cammino. D'un tratto, un albero maestoso mi venne incontro come a volermi incoraggiare. Mi riverì, sì, e io lo abbracciai. Forte.
C'era una volta il coronavirus era una mosca rossa dispettosa in ogni mossa e il suo ronzio era fastidioso disturbava tutto ciò che era gioioso perché voleva un mondo noioso. Svolazzava su ogni cosa e seccava pure una rosa tanto era odiosa. Voleva catturare gli uomini per metterli nella sua prigione dove non esiste emozione. "Non dovete vedere arcobaleni" – diceva - "perché è meglio un mondo di veleni". Allora, giunse un gigante buono e del cuore si sentiva il suono. Era tutto colorato giallo, bianco, nero e aveva il mondo disegnato ed era pure "mascherato". Il coronavirus intimorito chiese: "dove va buonuomo così vestito?". "Voglio far volare il mondo come un aquilone" – rispose il gigante buono - "cielo azzurro e solleone". E soffiò forte ma forte che la mosca rossa non ebbe altra sorte se non di ridare la vita alla morte. Così tutto il mondo tornò colorato dalla paura liberato e di quelli che la mosca aveva imprigionato - e, purtroppo, mai liberato - rimase un arcobaleno tanto amato perché grazie a loro il gigante buono, finalmente, era arrivato.
Scatto foto a ripetizione. In maniera ossessiva, immortalo ogni alba e ogni tramonto. È come se guardare il cielo fosse terapeutico. Mi dona sollievo. Mi fa respirare. Mi fa stare bene. Perdermi così. Senza giustificazione.
Siamo un puntino in questo universo. Un puntino dannatamente bello, sorprendente, quanto misterioso. Siamo un semplice puntino. Vaghiamo alla ricerca di non si sa cosa. Eppure siamo lì: un puntino, un solo puntino. Scaliamo arcobaleni, spegniamo pure stelle. Un puntino. In un universo. Siamo neve in una torrida estate. E siamo caldo in un inverno rigido. Siamo rosa in un mare di spine. E siamo spine in un mare di rose. Un puntino. In un universo. Siamo.
Mi sveglio di sobbalzo. Colo di sudori. Butto a terra le lenzuola e scappo per le scale così come sono in pigiama e niente mi ferma corro per le strade grido e sento solo la mia eco che mi rincorre appena passo e le finestre sono tutte nere sembrano murate e i portoni sono tutti senza uscita e sale polvere e freddo e più grido e più sento il silenzio. Di colpo mi sveglio e sento il suono disturbato di una tv che annuncia: "è finita. W la vita."
Ma cosa ca**o vuoi che ci diciamo ma cosa ca**o lamentiamo ché la fortuna a noi ci sta dando ancora una mano ché la vita ancora la sentiamo ché il tempo lo incrociamo ché un passo lo facciamo e lo so che ci manchiamo ma so pure che ci siamo e non siamo solo effetti ma siamo pure affetti sotto questi tetti siamo tutti uguali tali e quali e sembra non ci siano squali ché siamo tutti in mezzo al mare a remare, sì, per imparare, ancor più, ad amare.
Imbrattiamoci di cielo e sorseggiamo un po' di sole che poi ci sono anche le stelle per il dolce magone e sotto ogni lampione e sotto ogni ombrello ricordiamoci di noi ché pure la pioggia fa il bello.