Giorni buoni giorni senza dolore giorni di albe e di tramonti che dipingono il cuore giorni di ore giorni di impetuoso colore giorni che non devono chiedere permesso giorni che arrivano ed è tutto diverso.
La mia carta di identità canta un inno stonato recita la storia di un'anagrafe in un combinato di numeri e lettere a ricordare che sono nato. La mia carta di identità è la solitudine di uno status l'apparenza di uno Stato la formale presenza di un'assenza. La mia carta di identità è già ciò che è stato di un bambino e di un adulto fottuto.
Scrivo a cuore contratto inseguendo il volo di un passero tra la puzza dell'asfalto rammollito dal sole cocente ed è neve e ginocchia che battono su pietre appuntito ed è il rosso di un respiro di dolore a impregnare di colore fogli su una scrivania desolata che sa di sorrisi di carta. Ed è profumo di Vita. Grazie.
e di morti - tanti - a conquistare la libertà di essere cittadini - persone - con dignità di arti e di scienze di emigranti per un pezzo di pane lasciando il cuore battere nelle case natie
Non si può spiegare come fa una formica ad alzare pesi e non si può spiegare come fa un arcobaleno a solcare mari e non si può spiegare come una foglia possa emozionare e non si può spiegare come la paura non faccia paura e come l'amore faccia all'amore. Non si può spiegare che l'inspiegabile possa accadere.
Non sono un letterato. Vivo. Vivo i colori. Vivo i profumi. Vivo il prossimo. Non sono un letterato. Scrivo. Scrivo emozioni che si aggrovigliano e diventano vita. Non sono un letterato. Cerco solo di abbracciare con tutto me stesso questa esistenza nonostante tutto. Perché un senso deve pur esserci. Vivo. Ora lo sapete. Quando mi incontrate, vi prego, non mi interrogate perché non sono un letterato. Scrivo e vivo. Vivo e scrivo. Semplicemente. Cerco solo di essere un uomo.
Quello che voglio dirti è che non basta la bellezza quella fatta solo di carne quella pregna solo di luccichio quella di cartapesta che la vedi già a un chilometro che barcolla. Che di questa bellezza non rimane neanche uno strascico di profumo neanche un ritaglio di emozione neanche un ricordo appassito. Questa bellezza si aggroviglia solo e diventa rovo e si accartoccia su se stessa. E non resta niente. Nulla.
Mi fermo su marciapiedi che sanno di strada e rincorro il colore delle macchine sfreccianti al suono di clacson e voci di marmitte e assordanti semafori dettano il rombo del motore e mi batte il cuore come tacco che sbatte su gradini e sudo di luci riflesse di sole grondante e ritrovo passeri storditi d'un volo lento come un sogno che sembra afferrarsi per poi svanire e d'un colpo un arcobaleno cangiante come luci alternate di un Natale stremato di una festa d'un tempo che non può esserci altro tempo e un affanno come pugno nello stomaco nonostante la voglia di continuare a camminare magari vicino a quella mano tra le tante che mi possa colmare. Non chiedo tempo. Ma chiedo scusa.