Quanto al concetto di "essere", io ovviamente ne parlavo nell'unico senso in cui il mio discorso poteva avere un significato, cioè in senso ontologico. L'ontologia è la branca della filosofia che studia le modalità fondamentali dell'essere in quanto tale, al di là delle sue determinazioni particolari o fenomeniche.
Gli aforismi sono elaborazioni del pensiero: appartengono al territorio della filosofia (di solito spicciola), e possono derivare da esperienze di vita, ma anche da mere esperienze intellettuali. Anche quando nascono da esperienze di vita, però, ciò non è garanzia di esattezza delle conclusioni, perché c'è sempre la mediazione del pensiero, e due persone possono vivere la medesima esperienza traendone deduzioni diverse. Inoltre la lapidarietà della massima mal si presta a una riflessione approfondita su qualsiasi materia o vicenda.
Per questi motivi ritengo che l'aforisma abbia normalmente un valore "di effetto" lato sensu artistico, ma solo di rado un profondo valore intrinseco. Cosa quest'ultima che tuttavia talora avviene.
Io l'avrei scritta così: "l'onestà non dipende dalla cultura: anzi la si trova più frequentemente tra le persone incolte che sulle cattedre universitarie". (Perché sulle cattedre universitarie, da tanto tempo, in Italia allignano moiti disonesti).
Invece il ghetto e l'alta società, come dicevo, spesso non sono questione di cultura, ma solo di censo o di potere, e la cultura vi è equamente distribuita. Un mio caro amico, persona coltissima e geniale che appena laureato trovò occupazione in America come ingegnere in una fabbrica di aeroplani, era figlio di un portiere; e poiché in casa non riusciva a studiare per il troppo chiasso (aveva non so quanti fratelli e sorelle), studiò per tutta la sua giovinezza sulle scale del palazzo, all'ultimo piano, in prossimità della porta del terrazzo. Ho conosciuto invece tanti "figli di papà" dediti a perdite di tempo e gozzoviglie, che la cultura (non so l'onestà) non sapevano neanche dove fosse di casa...
Per questi motivi ritengo che l'aforisma abbia normalmente un valore "di effetto" lato sensu artistico, ma solo di rado un profondo valore intrinseco. Cosa quest'ultima che tuttavia talora avviene.
Invece il ghetto e l'alta società, come dicevo, spesso non sono questione di cultura, ma solo di censo o di potere, e la cultura vi è equamente distribuita. Un mio caro amico, persona coltissima e geniale che appena laureato trovò occupazione in America come ingegnere in una fabbrica di aeroplani, era figlio di un portiere; e poiché in casa non riusciva a studiare per il troppo chiasso (aveva non so quanti fratelli e sorelle), studiò per tutta la sua giovinezza sulle scale del palazzo, all'ultimo piano, in prossimità della porta del terrazzo. Ho conosciuto invece tanti "figli di papà" dediti a perdite di tempo e gozzoviglie, che la cultura (non so l'onestà) non sapevano neanche dove fosse di casa...