Circa l'universal'enigma identitario, il film si disinteress'a essere portavoce di tutti e ancor più a proporre uno straccio di risposta, limitandosi a concentrarsi per autosegregazione sulla specifica presa di coscienza da parte del protagonist'appartenente alla comunità nera e LGBT. "Diventa ciò che vuoi", "scoprì ciò che sei", quelle cosette che rinvian'all'incisione di Solone, uno dei 7 savi, sul tempio d'Apollo a Delfi tra la fine del VII e il VI secolo a.C.; m'avendo un cast all-black e il personaggio principale (forse) gày, allora vince l'Oscar come miglior film dell'anno. Ringraziate Trump. Comunque si salv'il finale aperto.
Mi (e vi) chiedo: sicuri ch'i Pere Ubu abbiano ragione? Impostat'il problema nei loro modo, c'azzeccan'o si precludon'ogni possibilità residua? È giusto demonizzar'i sostantivi invece degl'articoli (indeterminativi piuttosto che determinativi)? C'è una differenza radicale fra "Don't need a cure. Need a final solution" e "Don't need A cure/solution. Need The cure/solution": forse si passa dal sintomatico/palliativo al terapeutico definitivo/ultimativo/finale, e grazie non più a una contrapposizione netta, bensì a una (chiamatela, se volete) "analogia entis". Più di preciso, si potrebb'ipotizzare che non vadano criminalizzati cura/terapia/rimedio/soluzione: s'essi finor'hanno fallit'o addirittura peggiorato (entropicamente) le cose, forse non è per una loro problematicità intrinseca da teologia negativa, ma in quanto sono sempre stati applicati troppo tardi, successivamente all'irrompere del disastro ofitico (linguaggio biblico) aka del primigenio trauma psicocerebrale (linguaggio scientifico). S'esistesse una condizione ancor più precoce, preofitica e pretraumatica (quell'abbozzata sin'a Gn 2, 25), forse si potrebb'evitare l'innesco del passaggio dall'ipotetico sorgivo ruolo vittimario all'identificazione col carnefic'e dunque all'aggressività come meccanismo di difesa che da lì in poi segn'il resto delle nostre vite riducendole a un unico fiotto sintomatico: ripartendo da questa presunt'anteriorità rispett'al contagio col male, forse ci sarebbe permessa l'omogenesi dei fini lasciando la "négativité sans emploi".
Inoltre una simile prospettiva potrebbe risultare più esauriente nel capire la fenomenologia amorosa esperita da tutti: ci s'innamora dello "iam" e del "nondum", cioè di quel barlume d'innocente vittimarietà ch'una sensibilità spiccata riesce a cogliere nel passato più remoto e nella potenzialità futura più rosea delle persone, di noi stessi e degl'altri. Però il barlume resta tal'e svanisce nell'ennesimo Tabor precario, transitorio, effimero (la c.d. "primizia della Grazia"), nel "sasso nello stagno", nell'apertura-chiusura del Mar Rosso, nella dinamica illusione-delusione, in un evento ultraelastico ch'ipercontrobilancia l'affetto con la disaffezion'e l'elaborazione del lutto, sempr'e comunque a causa d'una tempistica sbagliata. La superadditività fra 2 o più traumatizzati non potrà mai condurre se non a un epilogo crocifiggent'e martirizzante. Cos'altro aspettarsi fra persone malate/già contagiate dal trauma psicoencefalico se non relazioni altrettanto malate? Coazione a ripetere, sì, ma nel senso qui accennato: un perseverare più ch'inutile, pernicioso, per motivi di tempistica. E s'invece fosse plausibile la diversità d'un incipit pre-traumatico/ofitico? È la Bibbia, non la scienza, ad alludere fin'a Gn 2, 25 a una "way out": sino a quel punto ci sarebbe disponibile l'accesso all'albero della vita. Il che significa ch'Atropo non irromperebbe a causa di Cloto, la "morte e morte di croce" di Filippesi 2, 8 non sarebb'inesorabilmente dovuta al semplice fatto della nascita, concepimento, "fiat" dell'"Annunciazione", gettatezza nel mondo. Sarebbe il quas'immediat'ofitismo del traum'a determinare la nostr'agonizzante mortalità, non la vita in sé e per sé. Vero? Falso? L'ha mai testato nessuno? A me non risulta.
7 anni e 8 mesi fa
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Due stunt di "Matrix" come regista e produttor'esecutivo, lo stesso protagonista Reeves, lo stesso coprotagonista Fishburne, però della trilogia wachowskiana 1999-2003 non è rimasto manco il "bullet time". Rece dei professionisti: "Divertiment'assicurato se a cervello spento." Cervello che? Oltre l'action, western, noir, wuxia, splatter, revenge, exploitation, così inverosimilment'estremo da sfociare nel caricaturale. Highlander reboot e ributtante, migliora il suo score dall'80ina di vittime del 1° capitolo a 141. Forse disponibile un multiplayer per sfidarlo dalla console di casa. L'inseguimento sotterraneo come quello nelle fogne viennesi de "Il terzo uomo" (Reed, 1949) e iI prefinale sul calco della scena nella sala degli specchi de "La signora di Shanghai" (Welles, 1947) sono l'unica cosa ch'esige una reale vendetta.
S'"il saggio sociologico più venduto nella storia americana" ("New York Times") è "La folla solitaria" di Riesman e risal'al 1950, direi ch'il problema non nasca* coi social, ma ch'i social forniscan*'al problema una nuova forma. Se l'uomo è un "animale sociale" ("animale politico": politikòn zôon, Aristotele, "Politica", IV secolo a.C.), il suo bisogno comunitario finora s'è dimostrato più funzionale al reindirizz'esterno della propri'autodistruttività ch'a fini pacifici e benigni.
*Chiedo scusa per ben due "consecutio temporum" di fila.
7 anni e 8 mesi fa
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Inoltre una simile prospettiva potrebbe risultare più esauriente nel capire la fenomenologia amorosa esperita da tutti: ci s'innamora dello "iam" e del "nondum", cioè di quel barlume d'innocente vittimarietà ch'una sensibilità spiccata riesce a cogliere nel passato più remoto e nella potenzialità futura più rosea delle persone, di noi stessi e degl'altri. Però il barlume resta tal'e svanisce nell'ennesimo Tabor precario, transitorio, effimero (la c.d. "primizia della Grazia"), nel "sasso nello stagno", nell'apertura-chiusura del Mar Rosso, nella dinamica illusione-delusione, in un evento ultraelastico ch'ipercontrobilancia l'affetto con la disaffezion'e l'elaborazione del lutto, sempr'e comunque a causa d'una tempistica sbagliata. La superadditività fra 2 o più traumatizzati non potrà mai condurre se non a un epilogo crocifiggent'e martirizzante. Cos'altro aspettarsi fra persone malate/già contagiate dal trauma psicoencefalico se non relazioni altrettanto malate? Coazione a ripetere, sì, ma nel senso qui accennato: un perseverare più ch'inutile, pernicioso, per motivi di tempistica. E s'invece fosse plausibile la diversità d'un incipit pre-traumatico/ofitico? È la Bibbia, non la scienza, ad alludere fin'a Gn 2, 25 a una "way out": sino a quel punto ci sarebbe disponibile l'accesso all'albero della vita. Il che significa ch'Atropo non irromperebbe a causa di Cloto, la "morte e morte di croce" di Filippesi 2, 8 non sarebb'inesorabilmente dovuta al semplice fatto della nascita, concepimento, "fiat" dell'"Annunciazione", gettatezza nel mondo. Sarebbe il quas'immediat'ofitismo del traum'a determinare la nostr'agonizzante mortalità, non la vita in sé e per sé. Vero? Falso? L'ha mai testato nessuno? A me non risulta.
*Chiedo scusa per ben due "consecutio temporum" di fila.