Un film sul nesso fra storie e Storia dalla prospettiva pantragista dell'ultimo Hegel: Geschichte als Schlachtbank ("la storia come banco del macellaio"), un tritacarne qui reso con un trita alberi per cadàveri e un'ininterrotta mattanza qui resa dal letto del fiume Schuylkill ricoperto con le armi usate per gl'omicidi; Die Weltgeschichte ist nicht der Boden des Glücks. Die Perioden des Glücks sind leere Blätter in ihr ("La storia non è il terreno della felicità. I periodi di felicità sono in essa pagine vuote": frase divulgata da Taricone nel confessionale del GF1), pagine vuote qui rese dalle pareti imbrattate di sangue dai c.d. "imbianchini". Non è un "Gangs of New York" (2002) esteso a tutt'il 2° '900 statunitense, ma viceversa un effetto farfalla in cui le criminali, efferate, luttuose macrovicende emergono dall'affastellata combinazione d'una moltitudine d'episodi in sé minimi o pressoché insignificanti: un affresco puntinista. Lo spartito scorsesiano ha le sue (canoniche) dolenti note: dopo poco più di 2 minuti sono già stati piazzat'in scena una Madònna, un Crìsto e un Crocifisso, non è necessario attendere l'ultima mezz'ora affinché "The Irishman" sfoci nel cristocentrismo. Fors'al seminario e in seguito non gl'hanno fatto studiar'il Rudolf Otto che nel 1917 ha dimostrato come l'idea del ganz Andere, il Dio "totalmente Altro" della teologia apofatico-negativa, l'agostiniano aliud, aliud valde delle "Confessioni" 7.10.16, sia costitutiva dell'homo sacer d'ogni spiritualità e religione. Inoltr'il suo antropocentrismo invadent'e invasivo gli preclude la più ampia prospettiva paolina di Romani 8, 19ss: pur'il cosmo è stato sottomesso alla caducità e alla schiavitù della corruzione, attendendo con impazienza d'essere anch'esso redento. Infine in cotanta "epopea della fralezza" l'affabulatoria logorrea di Scorsese/Zaillian/De Niro/Frank Sheeran è più d'arzillo vecchietto che da moribondo: una geriatria pimpante e ancora vitalistica o survivalistica ch'ostacola pathos & pietas che (forse?) vorrebb'esprimere. La nonlinearità narrativa esacerba tal'aspetto.
C'è tramonto e tramonto: almeno "Stanlio & Ollio" (Baird, 2018) mostrava la tragedia dietro la comicità, mentre "Judy" gir'intorno alla performance della Zellweger e la sceneggiatura gir'a vuoto intorno all'autoreferenzialità della critic'allo star system/showbiz. Utile per un po' di gossip: la statura della Garland era di 147 cm.
Finit'i luoghi comuni, i clichés e gli stereotipi, finisce il film. L'Archibugi e Virzì come cosceneggiatore dovrebbero abbandonare le loro storie da salotto borghes'e tuffarsi nella vita reale.
C'è il road movie?
C'è il conflitto intergenerazionale?
C'è la partitin'a calcetto?
Ci sono personaggi, situzioni, frasi soapistiche?
Salvatores è tornato, anche se con un remake di "Rain Man" diretto da Kusturica.
1) Jerry Bruckheimer s'era quasi ritirato dal cinema per specializzarsi nelle serie televisive, e questa sua rentrée dimostra ch'aveva preso la scelta giusta.
2) Il nucleo del plot è un clone [...] di "Gemini Man" dell'anno scorso.
3) Scene e battute erano già superate al tempo dei sequel d'"Arma Letale" trent'anni fa, figuriamoci oggi.
4) Fuori dalle manovre geopolitiche dell'Academy, il Messico è di nuovo il regno del male.
5) Quanto mi spiace per il declino d'un bravo caratterista come Joe Pantoliano? Mi sto desensibilizzando al peggio.
Deconstructing "Manhattan" Anch'Allen ha perso la partit'a scacchi con la mòrte. Il suo alter ego Roland Pollard (Liev Schreiber*) reagisce alla propria produzione artistica definendola "un fumante mucchio di mèrda esistenziale": "tutto quello che ho fatto fa schìfo", "fa vómitare" ed "è umiliante". Abbandona la saletta di proiezione privata e se ne va "gironzolando tra i set giocando a fare 'Viale del tramonto'". Lo sceneggiatore Ted Davidoff (Jude Law) cerca di convincerlo che si tratti della solita crisi creativa, ma Pollard ricompare solo per chieder'ubriaco ad Ashleigh Enright (Elle Fanning) di scappar'assieme nel sud della Francia: una nuova musa per un nuovo inizio. Non c'è spazio per la bergmaniana fuga nostalgica ne "Il posto delle fragole": la "pillola rossa" di "Matrix" ha un effetto devastant'e il resto del film è un implacabile gesto autodenigratorio sulla propria gioventù biografica e registica, il Gatsby Welles* di Timothée Chalamet, con le sue speranze, desideri, velleità, amori, progetti, musiche, letture, battute umoristiche, è ridìcolo e l'ingenuità giovanile non lo giustifica. Alle 18 nel Central Park Zoo prend'avvio l'ennesim'inganno.
* Schreiber ha interpretato Welles in "RKO 281" (Benjamin Ross, 1999)
Un "noir-rion" (Sanità) con fotografia, scenografia, costumi di prim'ordine. Anche Servillo è ben diretto e sembra recitare invece di portar'in scena la sua maschera. Però a cosa serve un epigono di Frank Miller nel 2019? Igort esordisce alla regia ribadendo alcune sue straordinarie qualità, tuttavia resto convinto che si sia perso fra l'89 e il '90, quando si mascherò d'artista vulcanico, autore poliedrico e multivalente, mentr'er'un talentuosissimo Calimero cagliaritano in furiosa cerca di sistemazione ancor più e prima che di riconoscimenti o notorietà internazionali. La sua base creativa er'a Bologna, vivev'a Parigi, insegnava Disegno alla scuola d'alta moda di Milano, lì ha collaborato col "linus" d'ODB, ha inciso 3 dischi vergognosi anche solo come parodie. Ma è appunto a Bologna che sforna i suoi capolavori, le tavole per la rivista "Fuego" èdita tra febbraio e luglio 1990. Si può entrare nella storia del fumetto con appena 6 numeri? Lui ci riuscì e meritoriamente, con dei personaggi transumanisti, iperpalestrati fallomorfi grondanti fallimento in desolati campi totali e capaci d'esprimersi giusto col turpiloquio d'Hopper in "Blue Velvet" (1986). Cronenberg e Lynch assieme in ogni singolo disegno, "càzzo càzzo càzzo, lungo martirio alla nuova carne". Igort sfonda e dal '91 pubblica per case editrici nipponiche, "Fuego" termina la sua ragion d'essere quale trampolino di lancio e chiude. D'allora il cagliaritano non ha più prodotto nulla di paragonabile, fra rielaborazioni e ristesure impiega circ'un decennio per ultimare "5 è il numero perfetto", opera di finzione sul camorrista Peppino Lo Cicero che nel 2003 vinc'il premio come libro dell'anno al Frankfurt Bookfair e che col tempo è diventato il suo "graphic novel" più popolare, amato da John Woo, Takashi Miike, Johnnie To. Eppure l'Igort non derivativo bensì d'un'avanguardia estrema e cristallina, visionaria e malata, è altrove, in quella manciata di numeri forse reperibili su eBay.
Da quando, ormai oltre 40 anni fa, s'è compiuta la massificazione del weberiano "disincanto del mondo" e chiunque ha dovuto esperire la triplice inefficacia soterica dell'aspettative spirituali, tecnoscientifich'e sociopolitiche, quest'inedito disastro storico non poteva non abbattersi anche sulla commedia (all')italiana: un fallimento come risata e com'amarezza, nel caso specifico né il Sordi de "Il tassinaro" né il De Niro di "Taxi Driver". Apologia d'un "carpe diem" che con l'aggravarsi della volatilità è regredito a "carpe momentum", si sono spiaggiati pur'antropologi, fenomenologi, filosofi, teologi: eludend'il problema, esso non verrà risolto ma nemmeno rimarcato, sottolineato, evidenziato, esacerbato. Disperàti e rassegnàti, è il tempo cronicizzato dell'"operazioni nostalgia": neoeudaimonie aristoteliche, neomarxismi ottocenteschi, neoteocon pro-life che saldano USA, UE & Russia, oppure combinazioni teorematiche, corollaristiche, derivative di paradigmi mythos-logos già confutati (la paleoastronautica, il singolaritanismo/singolaritanesimo, altre mirabilia sincretistiche "next age"). Ed è il tempo estenuante di film con Brignano come protagonista del Null'odierno, dov'il "tutta un'altra vita" cela maldestramente l'italianissim'arte d'arrangiarsi tra furbate, doppiogiochismi, imposture, illegalità. "Nel secolarismo i santi bisogn'averli nei paradisi fiscali".
"That's Not Really Funny", Eels 2001: https://www.youtube.com/watch?v=SQD0z8eB_jA. Son'undicenni, vengono presi per "Stranger Things" ma "Undi" non c'è. Nonostant'un cast accattivant'e un messaggio in definitiva riflessivo, "Good Boys" di Gene Stupidisky è minato dalla (s)manìa d'abbandonarsi ripetutamente a un umorismo profano: Seth Rogen colpisce ancora.
C'è il conflitto intergenerazionale?
C'è la partitin'a calcetto?
Ci sono personaggi, situzioni, frasi soapistiche?
Salvatores è tornato, anche se con un remake di "Rain Man" diretto da Kusturica.
2) Il nucleo del plot è un clone [...] di "Gemini Man" dell'anno scorso.
3) Scene e battute erano già superate al tempo dei sequel d'"Arma Letale" trent'anni fa, figuriamoci oggi.
4) Fuori dalle manovre geopolitiche dell'Academy, il Messico è di nuovo il regno del male.
5) Quanto mi spiace per il declino d'un bravo caratterista come Joe Pantoliano? Mi sto desensibilizzando al peggio.
Anch'Allen ha perso la partit'a scacchi con la mòrte. Il suo alter ego Roland Pollard (Liev Schreiber*) reagisce alla propria produzione artistica definendola "un fumante mucchio di mèrda esistenziale": "tutto quello che ho fatto fa schìfo", "fa vómitare" ed "è umiliante". Abbandona la saletta di proiezione privata e se ne va "gironzolando tra i set giocando a fare 'Viale del tramonto'". Lo sceneggiatore Ted Davidoff (Jude Law) cerca di convincerlo che si tratti della solita crisi creativa, ma Pollard ricompare solo per chieder'ubriaco ad Ashleigh Enright (Elle Fanning) di scappar'assieme nel sud della Francia: una nuova musa per un nuovo inizio. Non c'è spazio per la bergmaniana fuga nostalgica ne "Il posto delle fragole": la "pillola rossa" di "Matrix" ha un effetto devastant'e il resto del film è un implacabile gesto autodenigratorio sulla propria gioventù biografica e registica, il Gatsby Welles* di Timothée Chalamet, con le sue speranze, desideri, velleità, amori, progetti, musiche, letture, battute umoristiche, è ridìcolo e l'ingenuità giovanile non lo giustifica. Alle 18 nel Central Park Zoo prend'avvio l'ennesim'inganno.
* Schreiber ha interpretato Welles in "RKO 281" (Benjamin Ross, 1999)