Non c'è bocca che parli, non c'è emozione alcuna che trapeli, traspaia da volti ormai freddi, non c'è vita negli occhi né altro che scomponga lo stato immoto. Cupola di ghiaccio avvolge le mura lasciandole morire crepa su crepa. Cupa implosione di eventi ormai logori, di rancori saturi e speranze ultime lancia scintille su corpi vaganti, trascinantisi come zombie al di là della morte, con fatica, con le spalle alla vita. Tutto è rinuncia sotto il peso del mondo, tutto è rancore sotto il peso degli anni. Curare non si può le grandi ferite traboccanti di sangue e polveri infette, mutare non si può ciò che si fa duro nel tempo e che trova quiete nel gratuito silenzio, trova la morte in spropositate reazioni che alimentano nell'ombra il vomitare di un vulcano mai spento.
A un gabbiano sulla scogliera Quante spiagge sfiorano assenti i tuoi passi più fragili della rena nei mattini ancora ebbri di sensazioni e delle braci di qualche tardivo falò nelle lunghe estati chiassose...
chi le conta più?
Giocoso gabbiano colore del sale tu rammenti tutte queste feste pazze le lunghe danze le onde placide che van domando le melodie i tuoi occhi a sognare da lontano...
un giorno speciale.
Quante volte sei scappato lassù al faro che da tanti anni ti dà rifugio spalancando lo sguardo a quei racconti intrisi d'acque chiare e terre magiche che i tuoi amici hanno sorvolato...
ed intanto sogni.
Sogni di trovare l'isola meravigliosa che ti attende oltre il litorale natio la intravedi nello splendore dell'alba mentre assapori sulla battigia la mistura di scrosci e di silenzi...
il blu dei mari ascoltati.
I pensieri sorpassano il tempo e tu allora voli verso la scogliera lungo quel filo di vaga angoscia che già lega giorno e assenza d'ombre e là nel grigio il pianto si sperde nel vento...
le tue lacrime dolci nel mare.
Ma quando la spaventosa burrasca ha sciolto le mura dell'ultimo castello aspetta la calma e corri sulla spiaggia cerca fra le alghe sparpagliate dalle correnti sulla riva il tuo tesoro o nel cielo...
Oh, i miei sogni! Erano come fiori finti che nascondevo sotto l'erba del mio giardino già fradicia di pioggia e li dimenticavo. Erano così pochi i fiori veri e non li distinguevo, li confondevo sempre con i sogni.
Ora che il tempo avanza inesorabile come la macchina che trebbia il grano e sferraglia senza pietà, no, io non potrò sognare!
Raccoglierò i miei sogni come fiori di carta sgualciti e impolverati e li chiuderò nel cassetto più nascosto. Butterò la chiave per non aprirlo.
E tu sai che ne terrò soltanto uno, dei miei sogni: questo amore. Io non vorrò sapere, non m'importa di capire se il sogno che mi resta è un fiore o un coriandolo di carta. Sarà soltanto quello che puoi darmi.
Io curerò il mio amore come un vaso di viole, lo innaffierò con l'acqua del mio pozzo; solamente il tuo sole lo farà fiorire.
Immerso nella nebbia apro le braccia e procedo a tentoni, brancolando. Dove sei, amore? Io non trovo la strada che conduce alla tua casa e non odo la tua voce che mi chiama. Perché non hai appeso una lanterna alla tua porta?
Vago da solo in questa notte fredda, incespicando nei binari del tram, e mi accompagna il latrato di un cane. Ormai è tardi ed io non so sperare che tu mi stia aspettando ancora, come facevi una volta.
Disorientato vado percorrendo strade dissestate che non conosco, per venire da te; ma forse giro sempre attorno allo stesso isolato di case. Non so se mi avvicino o mi allontano.
E soltanto questo freddo pungente, che penetra nelle ossa e mi raggela le mani e i piedi, mi ricorda che sono vivo.
Forse sarà così la morte che ha da venire, come un mantello di nebbia che ci avvolge; e spariranno i contorni delle cose e non udremo più le voci amate.
Io non soffocherò il mio amore. Non ti chiederò nulla e accetterò soltanto quello che puoi darmi. Come un lupo assetato berrò l'acqua raccolta nei tuoi palmi e se vuote saranno le tue mani non devi fartene una colpa, avrò almeno la felicità di amarti.
Gli ingranaggi ruotano impazziti con fragore assordante a la lancetta dell'orologio gira a scandire il tempo breve che mi resta.
Ma questa volta io saprò distruggere la macchina che stritola i miei sogni.
La gente non sapeva che il maestro Bottarelli, che tutte le mattine puntuale prendeva la corriera, timido e solo, con le lenti spesse e la sua cartella piena di libri, fosse un delicatissimo poeta.
Dal suo cuore celato in un misero corpo sgorgavano versi limpidi e solari traboccanti di ricordi fanciulleschi e di serene visioni di fiori di siepe e di muraglia.
E nessuno poteva immaginare che un geometra folle e taciturno giunto alla soglia della sua vecchiezza, incipiendo la demenza senile, traumatizzato da un logico abbandono esprimesse con versi angosciosi la sua solitudine e l'amore per una donna.
A te mi legava un tenue filo mentre t'immergevi negli anfratti delle grotte marine popolate di strani pesci colorati e di coralli; poi mi apparivi sorridente fra le onde che ti sommergevano e portavi in mano una conchiglia contorta che suonava come il mare.
Oh non andare più, giù nella buia spelonca sommersa, figlio mio! Tu non lo sai, ma il filo esile che guida il tuo ritorno è lo stesso che mi lega alla mia vita; e basta un nonnulla per spezzarlo.
Che posso fare io, se questa corda che ci unisce è tranciata da una selce? Ti sento annaspare e tu ti perdi nel buio labirinto; e più non trovi l'uscita nascosta che porta in superficie. Il respiro ti manca, i tuoi polmoni stanno scoppiando e apri la bocca ingurgitando acqua salata. Stai morendo.
Io so che è la tua fine, mi tremano le gambe e sento che la corda allentata si riavvolge. Il sangue mi pulsa nelle tempie, non so che cosa fare per salvarti!
Fingevo di ammalarmi e tu venivi dal cielo, angelo mio, per consolarmi; mi provavi la febbre e trepidante mi rimboccavi bene le coperte e mi baciavi, lieve, sulla fronte.
Di colpo io fingevo di guarire, ti prendevo sul letto e ti baciavo e poi ti penetravo tutta notte. Ma, al primo canto del gallo, tu sparivi.
Adesso io mi sento proprio male, la falce della morte mi accarezza e i diavoli stanno attorno al letto aspettando la mia anima dannata.
Ti chiamo disperato e tu non senti. Angelo mio, perché tu non mi credi? Io non sono capace di mentire, sto morendo e il mio cuore già non batte. O mio angelo, tu devi venire, hai dimenticato qui le tue ciabatte.