Così sommersa da attutire ogni memoria annacquata fino ai ricordi annegati annaspo tra i tempi divenuta, io, abisso con i frammenti del cuore posti a fondali la riva lontana e il reale umido lente d'ingrandimento del cielo oltre ancòra io, altro. Ho costruito un regno di suoni mancanti chè a toccarli con i polpastrelli rattrappiti disfarebbero l'eco. Mi terrò in aria per farmi tornare le cose del mondo sospesa navigante. Il mio nome sarebbe onda nel battesimo di quest'acqua. In_crespa sino alla marea.
Fiammeggia l'ira sul divario dei tempi nel nostalgico raso al suolo e fatto cenere profetizzando vita sul male nel morso di cuori azzimi cogliendoci le pieghe che fa la carne sul dolore sinottico della lettura comparata delle nostre ossa.
Annidata in un volo retrocesso a contare tutti gli abbracci mancati tenermi in gabbia dalla parte dei rami spezzati come gli abbracci solitari di chi si cinge da solo la vita e tutt'intorno anche l'aria e i polmoni quando del nido resta la difesa rapace e un canto straziato che gioca tra l'eco e la lontananza
D'un battito d'ali ricordo solo il cader delle piume nere pece a invocar pace nel garbuglio impigliato.
Quest'oggetto pietoso che rotea le cornee fino a macchiare d'intera visione chi s'allontana e il mondo l'inghiotte rimpicciolendolo ingrandendosi la vita e lascia traccia e scia
Quando m'abbandono e sono invisibile alla pelle dimezzata alla luce pur non staccandone la memoria di un intero remoto
All'ombra d'un inverno fragile ad ingiungere al sole d'esser meno nei raggi ed invocare alla neve d'attecchire per rendere più secchi i venti fino ad inaridirmi le labbra e screpolare un fiore coraggioso che s'erge sul telaio d'un cielo fosco e dipana nebbie cardiache lì dove il gelo m'avesse colto sprovvista là quandanche mi si fosse storta la luna seguendo il profilo d'un fiore coraggioso che mi regalasti – petali, lambirmi –.
Su mille soli che mi gravitano attorno è il buio, la cecità, il furore, a bruciare più di qualsiasi tramonto che si spegne in cenere tra i monti di un cuore che va in eclissi.
Sono un sole che adombra anche le albe, le ciglia a galera delle pupille e i palmi, i palmi così concavi da entrarci il mondo.
Ho un volo d'ali incompiute che a sferzare il vento migrerei l'ultimo cuore che mi rimane
del lancio, ho rasentato terra sullo schianto, s'è arrossito il tonfo
sono - adesso - lo svuotarmi delle ossa e l'essere leggera, il mio corpo come cielo su un passato di nebbia attraversarmi nella mattina - dopo la notte - a ovest del gelo verso pelle nuova
tra l'emigrazione e l'esilio del rimosso, la coscienza dell'ora.
Volessero toccarti ciò che ti appartiene t'uscirebbero dai pori sudore e lacrime mie ché di ogni maledetta altra carezza per me ne faccio ago e del tuo piacere la mia ferita. La mia intuizione più profonda cerca il gelo per anestetizzare ogni richiamo.