Della poesia nuda mi è rimasto il mare e il cibo dei granelli di versi umidi oltre la riva delle parole sul significato delle maree l'orizzonte lontano la pelle vicina noi al porto l'acqua ai polmoni le emozioni taciute tonnellate di detriti da tutti i moli dei ricordi: io annaspavo. Centinaia di correnti mille passi e sarebbe servito solo nuotare come pesci muti in branco da due uno e io tu e me e tanta acqua lì, al mare sulla poesia nuda.
Ai piedi stanchi delle stelle ho gettato sassi in mari di nuvole e l'anima mi è apparsa un trionfo di tonfi e cerchi come grande cielo in mistero di abissi diluita in spuma è così intimo il mio buio che si rimane sfrattati nella me più disabitata e non è dato possedere neppure una stanza sfitta ché le porte mi stanno tutte sulla pelle in fila come i pori a indicarne il congedo e l'esilio sono presenza solo a me stessa all'appello del sentire -del sentirmi- con la mano alzata come allieva impreparata piena di lumicini timidi e tremanti.
Casuali, a rotolarci sulle vite e i passati negli occhi con il coraggio di dirci battuti registrandoci i battiti e gli affondi di notte. Dispari a cercare equilibrio e misura sul fianco per tenerci presenti promesse di pelle e sporchi fino alle confessioni tra le macchie dell'errore si scorgono i pori. Come se il tuo fosse sonno e la mia morte. Non curo il pavimento sul quale poggiamo le anime sono altrove a guardarsi in nome di questo nostro addio. Non avrai altro desiderio all'infuori del mio.
Di certi desideri carnivori mi piace la saliva che si prepara all'assaggio il pre-gusto, il presagio e l'innocenza del pasto che rende sazi ancor prima del morso. Quando la mente azzanna le debolezze tutte Con le intenzioni slacciate aperta sulla pelle fino a screpolare anima in vista sui tuoi orecchi a sentirmi con le dita resto, solo, ossa spolpate.
Dell'amore e sull'amore ho cercato il non sapere ho spento lumi franato strade tra il dubbio e il rifiuto resa tabula rasa ho trasfuso noumeno di china sotto il fenomeno d'ogni dolore nel dolere intangibile bagnato per due volte nello stesso sangue -soffro dunque sono- d'ogni inganno estetico sull'anima estatica del cuore ho fatto cosmo arché di carne e battito sui giudizi universali maieutica del desiderio sulla dialettica scettica tra me e la pelle ho elevato le potenze d'ogni atto schiudendomi sulle mie verità eclettica tra le emozioni stoica nella perdita.
Al giorno non porto luce chè il buio persevera aggrappandosi agli istanti sebbene il cristallo del tempo resista alle schegge delle pietre scagliate dai miei umori enfatici
su tutte le dipendenze ho trascritto l'impotenza del r_esistere e la resa ha posto domande su frantumi e cocci tra i teatri dell'io indicibile rimosso negato inibito e la presenza scenica delle difese strenue delle proiezioni parallele delle introiezioni feroci costella in posizione fetale e va verso una me simbolica
ricordo il vagito e l'urlo dei primordi s'attacca alla mammella materna e alla perdita è tutta mancanza il mio essere l'ossessione lo sa e la maniacalità ne prende parte
ab origine!
Sotto censura come una condanna superegoica
sussulto transferale e primitivo d'una me selvatica e primitiva.
Ho scoperto stagioni di vita Susseguirsi, raccontarsi Allo scostarsi di seta s'una schiena candida E le vertebre fan storia – la mia - Tra gli inverni d'una nuca nuda E l'umide ciglia del Sumida
Ho pianto preghiere Quando i ginocchi son diventati piedi E la mia mano, rosso ciliegio selvatico a cinque petali, come spaventoso seppuku Sulla grande bocca delle nostalgie A riempire d'oro e d'espiazione la colpa E dal ventre mi è partita l'anima con un taglio netto
Pura sullo Yozakura, mortificando Hanami Terribile e buia Infiorescenza notturna Sul mio corpo flesso Come forte sakura Infine, la bellezza del cadere
Eppure, guerriera Nel tempio della mia coscienza A far d'ogni lotta, rito Sovrana, io, d'un matsuri schintoista
Son piovuti fiori dalla lama nella recisione del passato
Queste spalle, non appaiono neve di fuoco? Benedetto sia il mio tremare e il mio ardere.
Per quanto fragile, profondo pozzo sia la clausura e lenta la cura dei marchi a saracinesca sui sigilli ti riscopro confuso al mio sangue nel divario di colore col dovere di sentirti il diritto d'essere il rovescio d'ora
Annusato | come se d'aria si parlasse | per celia di dita pittoriche sottopelle che farebbero teatro sgraziato di ogni mio io possibile sui fregi accennati del tuo profilo
Nell'intimo presagio sei intuizione sottile, sinestesia invasiva.
Fatta mare su tutta la carezza dell'onda lungo il fianco che si presta al desiderio rimasta spossata dalla burrasca è stato il tempo del viaggio tra la comparsa, l'assenza, la riva e l'anca a farmi azzurra e nuda dall'abisso alla superficie imitare finta quiete ora è quasi terra, la pelle e ciottoli lisci, i seni che più non vedi. Se tutta quest'acqua che possiedo t'annegasse prometterei, immergendoti nella stessa, il battesimo d'ogni tua rinascita. Navigarmi sarebbe esistenza.
Se "accarezzami l'anima" fosse un imperativo plausibile sarebbe, d'un tratto, rivolta sulle tue mani, una dichiarazione di guerra sullo stato di grazia per la mia pelle. Immagino. Ha tanto il mare di questi pensieri, ne detiene persino la quiete – e non si sarebbe detto, ma è così – ché non si può sbattere i pugni sulle onde, ma caderci di pancia, sì! Sino al dolore di chi precipita, sino al rimanere sulla riva, dopo ogni attacco ad aspettare. Se accarezzarmi l'anima fosse stato possibile.