Non so nemmeno perché tra tanti furori la mia schiena rimane bianca e dritta se una fiamma arde irrimediabilmente e si fa lingua che mi lecca tutte le mie parti femminili così i miei nervi bagnati mi generano incesto tra i pori e le mani.
Nella forma del vizio ammaccata su un peccato maggiore vacillo col corpo basculante sull'abbandono storta sulla frusta delle memorie che mi fa vertebra inclinata sul piano dell'effimero Guscio logoro d'una sotterranea anima.
Ci sono cose che m'appartengono più delle stesse mie labbra che carpiscono il gusto in prossimità delle tue vicinanze quando t'allontani per farmi sopravvenire il nostalgico ed il nulla l'orlo della vuotezza di carne e tutti i perimetri dei respiri che tra i miei aliti si confondono quando poggio la bocca sulle superfici tremule dei tuoi immensi confini.
Quando fai l'amore senza riguardo e mi pretendi l'anima che un bacio sembra un morso ed un abbraccio una morsa e divincolarmi m'è impossibile nella tua stretta, conservo l'immagine di te che t'avventi sulla mia pelle come a dismettere la tua per indossare la mia. Lì, verso sera, dietro ad una finestra.
Mettimi in corpo e fammi danno tra le carni ricerca infinita di vastità tra i pori tremuli ch'io vibri con ali che paghino dazio all'inferno Ho la fuga nella tua prigione che mi fa morsa ché il tuo artiglio mi arpioni questa finta opposizione.
Stretta nell'irrisolto gravata dall'incompiuto in uno scenario di attesa - resa - lecco le ferite con papille corrose ché il veleno mi ha inacidito fino all'ultimo senso e messo il gusto in croce ed ogni forma di sapore è allentata dall'amaro dei giorni inconcludenti in questa sconfitta cocente che riflette la mia immagine su ogni superficie che mi diventa carnefice di sembianze sfatte.
Ho i segni delle mie/tue ultime malattie, ché la tua assenza è mano chirurgica su tagli esistenti prima di te infetti, dopo di te e mi sei come un dio che mi nasce a segnare le epoche del mio carname.
Come mi taglia questo cielo? Cade a pezzi ad emularmi l'anima si gonfia del turgore dei miei pianti e le membra come fronde di salice scendere in distillato di stanchezza - stranezza - e disperdere fogliame in punta di radice di piede ché la fuga è impossibile e la terra mi fa groviglio e prigione tra le caviglie deboli
Mi mangiano i vermi come aguzzini a decretarmi morte in vita e seppellimento senza feretro ché il mio trapasso è qui in atto in quest'agonia esistenziale a me riservata
Traghetto senza muovermi in uno Stige immobile ed asciutto.
Dammi la voragine il non senso il precipizio in punta di piedi il sapore in punta di lingua apriti nel mio messaggio sono senza parola e tanti respiri mentre ci uniamo i fiati e mi sei labirinto visione di fuga miraggio di salvezza - invece condanna.