Credimi quando ti dico che ho camminato i tuoi passi e i percorsi e le distanze una notte o due che ho deciso fossero tue e le parole rimaste a mezz'aria come certe nuvole che non sanno se piovere o lasciarmi siccità d'emozioni. Credimi quando ti dico che le parole sarebbero state lette sulle mani in luogo d'un tacere timido e atterrito, ché frana il coraggio al tremare dei polsi e il fiato resta corto sui lunghi gesti e le carezze a doppio giro, nel tempo d'un passo, restare indietro e doppiare lo sfiorarsi, riproporsi, sulla pelle.
Fuori dalle ossa e dopo la carne le tue mani invocate cosicché la pelle ancòra eretta come vascello sul mare prima dei fiumi a sconfinare prima delle unghia arrossarsi e io in disfacimento piegata.
Chiederei alla malinconia sulla forza delle sue radici e del terreno fragile mentre a parlarmi del sangue mi ritroverei così vera nella carne e nell'anima in più vite trascorse e taciute dimenticate disinteressate passate in second'ordine
sono stata la mano che mi ha salvata.
Urlerei: "viva"! Difronte alla morte più crudele come fosse malìa divina.
Come s'io aderissi e tu uomo sprofondassi nel calco delle mie cavità e la tua ala destra divenisse piuma in solfeggio sugli echi dei gemiti tutti intorno sui muri nella pelle al buio così mi farei ramo e ancor più edera diventandoti intricata e fitta t'innesteresti nella possibilità degli spiragli col tuo seme a farmi seme.
Su un novembre fragile guardarci nudi rampicanti di carne sulle voglie delle foglie caduche.
Non ho preteso il tempo, le lunghezze, l'amaro del cambiamento, il ciclo delle stagioni. Il mio volere è vita degli attimi, la mutevolezza del secondo, lo stop, il respiro, il momento dopo, l'intervallo della palpebra mobile prima dello sbatter di ciglia e il chiedersi cos'abbia catturato la pupilla così, a contatto con la pelle nel punto del venir meno della visione e cosa ritrovi, come spettro inaspettato, in riapertura.
Inanellerei catene dalle ossessioni agli alluci tralasciando margini di respiro sulle bocche della possibilità
Coniugando imperativi tra sbarre di umori ferrosi e i condizionali sulle mani tra le attese e le promesse
| Mancate |
Quando ti scorro china in piena tra gli argini della pelle e gli orli delle dita a ogni alba spezzo alluminio e corro per starti più dentro ché ti voglio prigione su tutte le mie dipendenze
Taccio. Sulla risacca e in riva ciliare distese di mare a chinare il capo mentre il mio, fiero, costringe la brezza e fugge l'onda. Sul salmastro del vento d'alba e di tutti i tramonti del cuore quando c'è difesa sullo stantio delle memorie attraverso l'ultimo aggrapparsi ai seni come scogli, ché sei uomo e cento uomini e di due mani, mille. T'insinui, moti di vento su fermo corpo e t'inalo proveniente da tutti gli abissi delle mie viscere e di più dagli apici di tutti i cieli. M'increspo sulle scapole tra le linee dei tuoi palmi ché la tua acqua disseta. Attraverso tra Scilla e Cariddi come tu mi fossi unico passaggio e io, stretta a ridosso della tua pelle, muto in sirena silente, umana solo di voce che t'evoca in richiamo.
Aprire. E l'orrore, rarefarsi. Nebbie di libertà, accadere. Radici di dolore farsi autunno e foglie caduche nell'innesto d'ali in estroflessione d'immenso. Apro. Appena al di sotto delle ciglia d'ottobre, appena al di sopra dei venti. Restano margini d'avvenire, resto io, futura, ellissi cospirata tra sonni e veglie. M'apro. Spiragli sospesi tra le dita e nocche in difesa. Volo. Il possibile è pelle, guaina di cielo, migrazione verso un'altra me.
Sullo scenario d'anima il mio respiro, imperturbabile. Il soffio a ingrandir incendio e le vene a divampare. Sui resti dei sentieri battuti si scorgono ancora orme fresche, io stessa sono calco dell'ultima memoria così presente da darmi fremito. Osservo. Le distese dei resti, la scintilla in assalto, lo scoppio e il cielo tuona. Fiamma ingigantirmi rogo e immolare gli occhi. Assisto. Pulviscolo e cenere in discesa lavica. Vulcano emotivo che fa di me, sacrificio.
Se colasse nell'ultimo sapore e si facesse Verbo in distillato di metonimie e l'ugola divenisse condotto a contenere l'ultima sillaba | e tratti a tratti | Irrorerebbe di sangue denso tra le giunture d'una sineddoche _mia estensione
Scorrerei. Io. Come curva di china acida a corrodere.
Nuovo siero d'antiche lettere e nostalgiche vocali
Sull'amarezza d'un sigillo si scardinerebbero le fauci.
Ingrossarsi vene a defluire Parola - in morte del taciuto in resurrezione del detto - spostando pietra nel giorno del Grido.